L’Interstellar Overdrive degli Ancient Sky, dalla Big Apple atterra direttamente sui nostri piatti stereo, non per rapirci e analizzarci dopo sopra un tavolo autoptico, ma per “rapirci” i sensi e il cervello in un evoluto sound psichedelico che uno non si aspetta se non riferito chiaramente a quello dei lontani Sessanta, ma qui siamo nel Terzo Millennio e da quanto pare il motore lisergico che questo “T.R.I.P.S.” – uscito da noi per Sons Of Vesta – ancora tiene in caldo – e che caldo – sembra proprio arrivare integro da lì, loro ci aggiungono quello speziato e crudo mix di post-rock, Heavy psych e stoner rifilato per ingigantirlo, ed il risultato non è affatto male, roba da “eroi svalvolati”, ma non male davvero.
Più che una band circoscritta un combo composto da membri differenti che sulla ribalta underground NewYorkese intrecciano, organizzano, sperimentano nuove fasi di suoni aggregati, miscelano le alchimie “drogate” di multi sonorità e le trasferiscono su tracce, tracce che sono delle autentiche bombe THCizzate, grandi esplosoini sensoriali che ammantano e fanno rizzare il pelo e la goduria conseguenziale; un progetto in cui confluiscono membri di Ghastly, City Sleep, Darkest Hour e Verse En Coma, tutti musicisti che della fusion ne fanno il loro lato artistico pronunciante e che – ovviamente ci sono anche importanti ispirazioni fruttifere che arrivano da band come, tra le tante, Earth, Dead Meadows – tra ossessioni, stati vegetativi e ipnosi di massa, riescono ad arrivare fin dentro i ricettori della psiche, e questo credetemi, non è poco.
Nella loro Brooklyn, gli Ancient Sky, sono considerati eroi alieni mentre da noi sono praticamente sconosciuti, ma la loro aurea che si equilibria tra grandi voli e cosmi elettrificati sta catturando tutti, un background percussivo da orgasmo, un galleggiare tra liquidi e micro particelle lunari con in mezzo il rock che esplode e frantuma ogni resistenza, brani come l’amniotico gassoso che increspa “Towards the light”, lo stupendo riflesso Floydiano che vive in “Snow in the cemetery”, i fuochi accesi di Grateful Dead nell’ipnotica ballata dedicata a Ray Bradbury “Ray Bradbury” e la metafisica slabbrata che viene magnificamente vomitata nelle pastorali spaziali di “The wind”, arrivano sulla bocca dello stereo e ti uccidono di bellezza dentro, ti fanno maledire quel giorno che nella tua infanzia remota volevi rispondere alla consueta domanda: cosa vuoi fare da grande?, e tu avresti voluti dire, a tutta voce, l’astronauta, ma non ti veniva mai in mente.
Disco con i contro-apparati produttivi!