I Peter Punk sono invecchiati. Le foto e il video di “Trashers” sono impietosi, non si esce vivi dagli anni 90. Ma forse per quella generazione non esiste proprio nessun altro modo di invecchiare. La pelle è destinata a diventare dura, ricoperta in gran parte da inchiostro e rivestita ancora di canottierazze e pantaloncini mai troppo corti. Cortissime invece rimangono le loro canzoni, potremmo nel 2014 trovare pregi e difetti di una vecchia automobile che fa molto fumo, arranca ma ti da la sicurezza di portarti sulla strada giusta.
Il Seme Della Follia è un disco Punk a 360 gradi, da vere teste dure (stessa formazione degli esordi!), autoprodotto, senza compromessi e fronzoli. Tempo velocissimo, accordi distorti e precisi, cori da pogo feroce. “Lo Stesso Fuoco” parla chiaro, “sveglio da un letargo e pronto a gettarmi nella mischia”, il letargo è durato dieci anni ma il suono è puro e crudo come agli esordi. Persino i testi rimangono terribilmente adolescenziali, non può non far sorridere l’inno alla nuova diva del porno “Sasha Grey” dal momento che viene cantato da dei cazzutissimi quarantenni. Poi parte “I Veri Ladri” e spunta fuori una bella strofa Ska che tanto ci aspettavamo, anche qui le parole di Nicolò Gasparini non sono di certo di sopraffina poesia ma semplici e efficaci come dopotutto devono essere le canzoni di dura lotta contro il sistema. C’è da dire che il pezzo su cui hanno puntato i ragazzi non è di certo il miglior bel biglietto da vista che potevano permettersi. In “Trashers” si esagera: video con Andrea Diprè, citazioni a youtubers di ultima generazione e un brano che non brilla né per potenza né per melodia, molto più azzeccata è “Ombra Longa Day”, elogio ad una manifestazione enogastronomica di Treviso, ormai ferma dal 2008. Frasi in dialetto, riferimenti popolari e tanto spirito etilico e festaiolo, tutto contornato dal bell’assoletto di chitarra del sempreverde Stefano Fabretti. Il resto del disco ha un ritmo altissimo dall’inizio alla fine a parte il relax Reggae della prima parte di “Destini”, carina ma evitabile dato il contesto in cui viene inserita. Per fortuna il pezzo dopo poco più di un minuto si tramuta in genuina ignoranza Hardcore. La nostalgia ritorna spesso e prepotentemente, e come potrebbe non essere così? I Peter Punk oggi non guardano troppo in avanti, ma questo non è così un male. Fanno il loro sporco lavoro e battono la loro strada sicura con gli stessi occhi, la stessa ironia, gli stessi sorrisi e la stessa incazzatura di vent’anni fa. “Nucleo Storico” è il miglior pezzo del disco e più di tutti gli altri fa sorridere per la sua leggerezza: “la mia testa mi ricorda quanto ero carico, scoppiava anche l’alcool test”. Del Punk italiano forse in pochi sentivano la mancanza, mai si è pensato che fosse necessario. Ma nessuno si azzardi a rinnegarlo e a dire che non fa parte della storia della musica popolare italiana, le mode passano ma la Signora Grinta è ancora li con gli artigli ben affilati.