Andrea Rock Tag Archive

Ritorna il Big Bang Music Fest

Written by Eventi

Si terrà dall’1 al 5 giugno la V° edizione del Festival della città di Nerviano (Milano), Big Bang Music Fest  (www.bigbangmusicfest.com).
Interamente organizzato dall’Associazione Culturale giovaninervianesi.it, la manifestazione musicale si svolgerà presso il Parco Comunale di viale Papa Giovanni XXIII, un’area verde di circa 4000m2 completamente a disposizione dei partecipanti e attrezzata con strutture ristoro, zona relax, zona mercatino e zona concerti, a ingresso rigorosamente gratuito.
Questa la line up prevista per l’edizione 2016:
1 giugno: PUNKREAS, Fratelli Calafuria, Merdonald’s
2 giugno: OTTO OHM, Raphael, Piero Dread, The Manzi
3 giugno: COEZ, Rancore, Ackeejuice Rockers, Ted Bee, Shiva
4 giugno: PLANET FUNK DJ SET, Aucan, Durdust, We Are Waves
5 giugno: IL TEATRO DEGLI ORRORI, Sick Tamburo, Andrea Rock, Voodoo

I concerti inizieranno alle ore 21.00 e termineranno entro le 00.30 circa. Dopo ogni performance live sul main stage, ci saranno degli aftershow dj set a tema con la serata, presso l’area ristoro.

Nelle giornate del 2, 3, 4 e 5 giugno la manifestazione sarà aperta dalle 11.00 del mattino e ospiterà varie attività per bimbi, famiglie, sportivi e cittadinanza in generale. In programma esposizioni d’auto d’epoca e Vespe, dimostrazioni di parkour, crossfit, basket e calcio. Per i più piccoli, ci sarà a disposizione un’area gonfiabili oltre a laboratori di giocoleria e intrattenimento.
Inoltre non mancheranno bancarelle d’artigianato dove acquistare t-shirt e gadegt, oltre a info point gestiti dalle diverse associazioni del territorio per informare sulle attività della zona, oltre che promuovere un utilizzo consapevole degli alcolici. Il pomeriggio di domenica 5 giugno sarà dedicato alla danza, con un concorso gratuito organizzato dal partner Koreutica.

Contatti Utili:
Pagina FB: www.facebook.com/Big.Bang.Music.Fest
Evento FB: www.facebook.com/events/1588769408117563
Website: www.bigbangmusicfest.com
e-mail: bigbangmf@gmail.com

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Andrea Rock – Hibernophiles

Written by Recensioni

Hibernophiles è un titolo curioso per un album, una di quelle parole che richiedono di essere analizzate per capirne il senso, e in effetti, un significato esiste, sia letterale, sia per il suo autore Andrea Rock. Wikipedia ci da una mano e ci dice che Hiberna è il nome che i romani usavano come riferimento per l’Irlanda, di conseguenza se sei un Hibernophilo sei una persona legata a doppio, se non triplo, filo alla cultura irlandese. Andrea Rock scegliendo questa parola come titolo della sua prima opera da solista, si dichiara quindi amatore incondizionato dell’Irlanda e della sua cultura e ci fornisce subito le giuste coordinate per inquadrare gli undici brani di Hibernophiles.

L’album ha senza dubbio due grandi caratteristiche: una forte impronta autobiografica e la perfetta rappresentazione degli stilemi della musicale irlandese, anche se filtrati e contaminati dalle precedenti esperienze musicali di Andrea. Il cuore selvaggio e irlandese del disco trova forza ed espressione nel singolone “Bury Me a Irish”, conforto nel classicone ritmato e festaiolo “Galway Girl” di Steve Earle, una certa commozione ed emozione nella ballad “Flag”. Il brano “Larry the Legend”, omaggio a Larry Bird, star del basket NBA completa la rose dei brani che usano al meglio le sonorità e i canoni del genere. All’interno di questo mondo popolato da prati verdi, pinte di guinness, violini, banjo e fisarmoniche spuntano qual e là brani meno Irish e maggiormente influenzati  dal Classic Rock come la chitarrosa “Never Stop Drinkin”, la bonjoviana “What It Take To Be a Man” e “Be Still My Heart”, e anche ispirati da un pizzico di Punk come la cover di “Story of My Life” dei Social Distorsion,  anche se il nuovo arrangiamento la priva della grinta e del piglio che la contraddistinguevano. Il racconto di Andrea si chiude con “Not Afraid” un mix ritmato di Hip Hop e banjo, che spazza via le belle immagini di prati verdeggianti e ispirate a favore di un brano più moderno, vicino ad un pubblico giovane. Hibernophiles è un album ben fatto, senza cadute clamorose e molto orecchiabile, fedele alla dichiarazione d’amore dell’autore e per questo forse pecca di poca vivacità. Le tematiche e le storie, perlopiù autobiografiche, sono condivisibili e raccontano un mondo fatto di passioni, esperienze di vita, amici, pub  e pinte di guinness. Tutto questo lo rendono diretto, accesibile e facile da ascoltare.

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Finley 16/05/2014

Written by Live Report

Iniziamo la nostra copertura del Theatre Quinto Festival, una rassegna che durerà fino a giugno e che vedrà susseguirsi sul palco del locale rozzanese gli act più diversi, dai Finley ad Andrea Nardinocchi, passando per i gli Yokoano, i Nadar Solo e Dargen D’Amico. La serata inaugurale è affidata ai Finley, band che non ha bisogno di troppe presentazioni: scoperti giovanissimi da un sempre vulcanico Claudio Cecchetto, i quattro inanellano successo dopo successo, diventando il paradigma della band gggiovane che “dice” di fare Punk Rock, e diventano presto una rodatissima macchina scalda-ragazzine, passando addirittura da Sanremo. Da qualche anno i Finley hanno aperto la loro etichetta, Gruppo Randa, senza che questo abbia portato ad un cambiamento nella loro proposta musicale. C’è sempre curiosità intorno a gruppi di questo tipo, che appaiono come strane entità create negli uffici di qualche etichetta, scoprendo il fianco a critiche preconcette e a idiosincrasie astratte. Abbiamo cercato perciò di vederli con i nostri occhi, per scoprire come vivono la dimensione del live, il rapporto con il pubblico, le loro canzoni.

Quando arrivo, davanti al Theatre la fila è ancora lunga. Mi dicono che le prime ragazzine si sono presentate all’entrata intorno a mezzogiorno. Si potrebbero fare succose elucubrazioni sull’aspetto socio-psicologico di un concerto dei Finley, ma per quelle vi rimando ad un precedente report… Nel locale sta già suonando il secondo gruppo d’apertura, i Made In Italy, Pop Rock ironico che critica in maniera sottile alcuni stilemi della musica per teenager (dal finto rap di certi pezzi dance alle mostruosità stile One Direction passando, per l’appunto, anche dagli stessi Finley, di cui eseguono una cover “autorizzata” dalla band stessa…). Finito il loro set parte un breve cambio palco e poi eccoli: Ka (chitarra), Dani (batteria) e Ivan (basso, nella band da qualche anno) salgono on stage mentre in sottofondo parte… l’Inno di Mameli. (Non guardate da questa parte, non ho idea del perché. Scelta terribile, comunque).

Passato il momento patriottico, arriva Pedro (voce). Giusto il tempo di tirare una sonora botta di microfono sulla paletta del basso e il concerto parte a bomba, a grappoli di tre/quattro canzoni eseguite spalla a spalla. La prima parte del live è adrenalinica e tesa (“Gruppo Randa”, “Fuego”, “Tutto è Possibile”): i quattro pestano duro, canzoni Rock lineari e senza troppe pretese ma energiche, soprattutto nelle ritmiche, dove si distingue la bravura tecnica del batterista Dani, capace di sostenere groove rapidi e infuocati, vera spina dorsale dello spettacolo Finley. Come sempre, il rapporto con i fan è centrale: molto più che in altri casi, il concerto è letteralmente fatto per loro. Non manca nessuna canzone delle più famose (ci sarebbero disordini e sommosse), e i ringraziamenti al pubblico sono ubiqui e continui: grazie a chi arriva da lontano, grazie a chi ci segue dagli inizi, grazie a chi ci supporta e ci permette di continuare a fare musica. Il concerto prosegue caldissimo, i pezzi lenti sono veramente pochi: ci si concentra sulla velocità, sulla melodia di ritornelli cantati in coro a squarciagola (“Un’Altra Come Te”, “Adrenalina”, il richiamo al ritornello di “Dentro alla Scatola”). I pezzi sono tutti classici del loro repertorio: testi banali fatti per essere imparati a memoria e cantati a pappagallo, alcuni con prese di posizione apparentemente forti ma basate sul niente, come “La Mia Generazione”, che fa tanto effetto fiction di Rai2. Mi accorgo peraltro che alcuni momenti del live sono estremamente preparati: la presentazione in medias res de “La Mia Generazione” è la stessa identica che fecero l’anno scorso quando li vidi la prima volta, e anche l’introduzione di “I Fought the Law” dei Clash rimane uguale, come uguale rimane l’idea di far salire Roberto Broggi ad accompagnare il brano con il violino, promuovendo l’operazione benefica Punk Goes Acoustic ideata da Andrea Rock, che verso la fine del concerto verrà ospitato dalla band per qualche brano, tra cui una “Blitzkrieg Bop” abbastanza spompa. Ma prima il live fa in tempo a rallentare un po’, mentre i Finley si danno a “Ricordi”, loro brano sanremese che si porta dietro tutti i cliché del caso. La gente inizia piano piano ad uscire, il concerto si sta allungando (non credete chissà che, avranno superato a malapena l’ora, a questo punto: ma non stiamo parlando di Springsteen, stiamo parlando dei Finley).

Dopo il già citato passaggio sul palco di Andrea Rock, la band ci abbandona per qualche minuto, dando il tempo al pubblico di intonare “Diventerai una Star”, il loro pezzo più famoso. Scatta quindi l’encore, con partenza acustica e pianti tra il pubblico (giuro) per “Fumo e Cenere”, seguita a ruota dall’ultimo brano, “dedicato a chi pensa che abbiamo fatto solo questa”, ovviamente, “Diventerai una Star”, cantata da tutto il pubblico con una sola voce. Applausi, saluti, inchini. I Finley mi confermano così tutte le impressioni che già avevo avuto l’ultima volta, un anno fa: una band tecnicamente mediocre (a parte forse Dani, il batterista), sicuramente professionale e capace di gestire in modo sufficiente un palco e una platea di questo tipo, dando al pubblico tutto ciò che vuole e facendo più spettacolo che musica. Le loro canzoni sono banali, vuote di senso, niente più che materia vendibile, e infatti funzionano benissimo nelle pubblicità, a Sanremo, e con le ragazzine (ma non solo: si segnalano anche quarantenni ballerine e più-che-ventenni ubriache e scatenatissime, oltre a parecchi individui di sesso maschile, anch’essi esaltati). È musica da vendere fatta da un gruppo costantemente in vendita, e che, purtroppo, la gente non smette di comprare. Una volta accettato questo, il live assume le caratteristiche di un evento eseguito con professionalità e mestiere. Ma la passione e l’arte stanno tutte da un’altra parte.

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