Si è fatta attendere un po’, ma alla fine è arrivata, pronta a calcare il palco del Blah Blah di Torino. Beatrice Antolini ha una giacca stile Ministri ed i capelli biondi, diversi da quelli rossi della copertina di Vivid, e diversi anche da quelli neri che aveva ai tempi di “Confusion is Best”, la canzone con cui l’ho conosciuta. “È una psicopatica dei capelli” penso subito, “o una coraggiosa che non teme i cambiamenti”. Qualunque sia il modo in cui si voglia vedere la cosa, resta il fatto che questa patologia nei confronti dei capelli ce l’ho anche io, e Beatrice mi fa sentire meno sola al mondo. La one woman band si dimostra subito attenta nei confronti del pubblico, ci saluta calorosamente, in maniera grintosa, poi indossa le cuffie e con altrettanta grinta comincia a picchiare sulla batteria, lo strumento che andrà per la maggiore durante la serata, perché solo per alcuni pezzi si sposterà alle tastiere. I brani suonati sono tratti principalmente dal suo ultimo EP, Beatitude, uscito lo scorso 11 novembre per La Tempesta, e dal suo ultimo album, Vivid, del 2013. La posizione alla batteria dovrebbe già farmi intuire molto dell’evoluzione sonora di Beatrice, che avevo lasciato aggrappata all’elettronica. È il ritmo ora a fare da padrone, forte, ossessivo, a tratti tribale. E mentre lei picchia sulla batteria e incanta con la sua voce, in sottofondo una base fatta di suoni elettronici, chitarre, piano ecc. completa l’opera. Per un solo pezzo Angelo Epifani salirà sul palco ad accompagnarla con la chitarra, il resto della musica sarà tutto di Beatrice e di una miriade di suoni, che andranno ad abbracciare diversi generi musicali, dal Pop all’Electro wave, passando per il Rock e la musica psichedelica. ll concerto volge al termine, ed è un vero peccato. Beatrice per un’oretta ci ha rapiti, fatto scuotere il capo, battere velocemente i piedi, ballare. A fine concerto chiacchiera con tutti nell’area merchandising e dà un bacetto a chiunque si sia messo a parlare con lei o le abbia fatto un saluto (o abbia acquistato il disco, ovvio). Sul palco restano i tre cuori luminosi della scenografia, che non sono però tre cuoricini del cazzo, ma sono cuori con tanto di arterie e vene, grandi e luminosi. E penso che sia un po’ questa la Beatitude che canta Beatrice, una medicina preziosa per chi ha un grande cuore che batte e se ne sbatte di tutto ciò che non conta davvero; un cuore che si illumina al suono di quella magia che ci pulsa dentro, e che qualcuno prima di noi ha chiamato Musica.