Luogo d’ascolto: ai fornelli, as usual.
Umore: di uno che vorrebbe esser tornato da un viaggio in Indocina per capire quanto è prezioso quello che sta cucinando.
Nel comunicato stampa I Nastri ci dicono di aver un’impostazione Elettropop alla Bluvertigo o Subsonica. Ed infatti una certa tendenza ad atmosfere rarefatte in cui le chitarre siano poco incidenti c’è tutta. In “Love Love Love” la metrica serrata della linea melodica, delle parole e un certo sapore di Prog tutto cambi di tempo e organi spinti fanno pensare ai Bluvertigo di “Acidi e basi”. I Subsonica invece proprio non li ho sentiti, troppo diversa l’impostazione rispetto alla Dub House di Samuel e soci. I Nastri esordiscono con un disco molto corposo, di quattordici pezzi. Esordio ambizioso davvero che presuppone la sicurezza che tutti i pezzi siano degni di entrare in un album. Vi dirò, ho pensato che avessero ben riposto questa sicurezza: buone trovate armoniche, voce particolare ma non sgraziata, ottimi suoni e temi di synth e piano, arrangiamento nel complesso molto curato e non troppo easy per essere pop; tutto buono, almeno fino al quarto pezzo “Niente è Importante” o come l’ho subito ribattezzato “Se mi fai un altra rima baciata rimetto”.
Cito testualmente in modo da attenermi ai fatti: “spara a chi non sarò mai, ci crederai, perfetta complice, spara a chi non sarò mai, non mi tradirai, ma dai; sparo a chi non sarò mai, non mi vedrai, continuo a fingere, sparo a chi non sarò mai, tanto già lo sai; non fare rumore, niente è importante… ” e via proseguendo fino alla fine del pezzo. Dopo tale virtuosismo in rima mi sollevo sulla sedia e comincio ad ascoltare gli altri testi. Purtroppo, scoprendo la tracklist, mi rendo conto che il gigantesco disco d’esordio de I Nastri è nient’altro che un buon Ep. Troppi quattordici pezzi per un disco,sarebbe troppo anche per Springsteen. Troppi i brani che manifestano un ego ipertrofico rispetto alla qualità di almeno metà di questi. Troppa pochezza testuale ed esercizio di rime, poggiata su un impianto musicale gradevole che però nel complesso suona un pelino patinato. Le parole spesso sembrano buttate a caso solo per far suonare bene la melodia, senza o con poca ricerca lessicale; per intenderci, come si fa nelle voci guida in pre produzione, registrate in un finto inglese solo per dare l’idea del testo ancora da scrivere, quei provini in cui i versi finiscono sempre con why, faraway o say.
Lo so, direte voi Nastri: ogni pezzo mica deve essere un canto della Divina Commedia e le hit anglosassoni tradotte dall’inglese non sempre sono capolavori testuali. Avete ragione. Absolutely. Ma in Inghilterra quando devono cucinare il loro piatto nazionale aprono un barattolo di pelati e ci si mettono intorno con dei piatti e dopo esser andati di corpo non si puliscono il muscolo detrusore dell’ano (ndr leggi culo). Io invece sono ben fiero di cucinarmi,mentre ascolto il vostro disco, una bella amatriciana e poi di potermi fare un meritato bidet. Comunque dai, vi aspetto ai fornelli per il secondo disco.