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Anohni – Hopelessness
Anohni, già Antony Hegarty degli Antony and The Johnsons, con Hopelessness si dà alla carriera solista partorendo un disco che è epico e cupo insieme, in cui la luce e l’ombra s’intrecciano e si scontrano in un campo di battaglia fatto di drum machine e sintetizzatori analogici, beat storti e una voce angelica che è il vero punto di forza di tutto il lavoro.
Hopelessness è la colonna sonora di un party sotto le bombe, ma non nel senso vascobrondiano: è una festa che è più un rito, un rito d’espiazione, denso, epico dicevamo, intenso come una preghiera urlata; come se le bombe non fossero una metafora, ma delle bombe, delle bombe vere. E sono vere, anche se non cadono sulle nostre teste ma altrove, su altre teste, su altri corpi, che non ballano ma muoiono, davvero, oggi, ora. È un disco pieno di senso di colpa, di frustrazione, di ansia: per le bombe sganciate dai droni americani, appunto (“Drone Bomb Me”, “Crisis”), ma anche per il riscaldamento globale (“4 DEGREES”), per gli uomini violenti, cresciuti da una società che li premia e li alleva (“Violent Men”), per un presidente e una nazione imperialista da cui ci si sente traditi (“Obama”, “Marrow”), per la pena di morte (“Execution”), per la stessa razza umana che sa solo distruggere, come un virus (la title track). Insomma, Hopelessness è un disco pieno di negatività, di tristezza, di disperazione (come da titolo), e Anohni rigetta tutti questi dolori in un disco che musicalmente è invece spesso luminoso, come se la musica e, soprattutto, la sua voce potessero inglobare le parole e pulirle dallo sporco anche solo attraverso il suono.
Non c’è quasi nulla di acustico, tutto è arpeggiatori, ritmi sghembi, frizzoni di synth, campanelli elettronici, tutto ondeggia intorno a questa voce ultraterrena, che sale, scende e trascende. Un disco che solamente si avvicina a essere Pop senza mai diventarlo compiutamente: è un’elettronica retrò, a tratti graffiante, altre volte quasi liturgica, che non si ascolta a cuor leggero se non fermandosi pochissimo sotto la superficie (in quel caso, è accessibilissima). Hopelessness è un’accusa (e auto-accusa) esplicita e dolorosa, a volte anche troppo esplicita e troppo dolorosa; è un disco sinceramente dolente, sentito e appassionato, che accarezza le orecchie e disturba la coscienza. Forse esagerando. Forse no.
Sarah Stride – S/t
Sarah Demagistri è Sarah Stride. Sarah Stride è Sarah Demagistri cantautrice milanese che da tanti anni calca la scena artistica e musicale italiana. Il progetto dunque nasce dalla voglia, dopo tanti anni di gavetta musicale, di far uscire finalmente un album tutto suo e questo accade anche grazie all’incontro e al connubio con i compagni di viaggio Alberto Turra, chitarra, William Nicastro, basso e Antonio Vastola, batteria.
Nel 2012 esce quindi l’album omonimo e di debutto Sarah Stride che si apre con il brano “Metallo”, scritto in collaborazione nientepopodimeno che con Melissa P. di “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire”, che si presenta come un’apertura interessante e un brano Rock dalle tinte oscure. Si prosegue con “Eco Breve” e“Tra i Miei Gesti” brani dall’atmosfera non tanto felice cantati quasi alla maniera di Irene Grandi. “Prove di Volo” e “La Preda”oltre a un’estesa melanconia presentano immagini poetiche che sono il racconto di un percorso, di una crescita fatta di incontri e disillusioni, di perdite e di meraviglia, di dolcezza e determinazione ma soprattutto di confronto e di incessante dialogo che abbiamo con la realtà che ci circonda e con noi stessi. Il sesto brano “L’Indispensabile” a tratti ricorda invece la voce e lo stile di Giusy Ferreri, uscita da X-Factor qualche anno fa. Tinte squisitamente Dark si possono ascoltare in “Fuori da me”, con un bellissimo arrangiamento di archi del M° Turra, come per gli ottoni che si sentono in giro per l’album, che prosegue con “Casca la Terra” che riprende un po’ il gioco infantile, “Lasciamo che Sia” e la cover “Te lo Leggo Negli Occhi” di Endrigo/Bardotti. L’album omonimo si chiude quindi con i brani“Giò” e “Respira” dal sound preciso, noir e soprattutto compatto.
Un album di debutto interessante per le collaborazioni ma soprattutto per le tante citazioni simili a prestiti e ringraziamenti a Tory Amos, Antony And The Johnsons, Jeff Buckley, Nick Cave. Un album di debutto fatto anche di idee precise, dal gusto vocale squisitamente retrò anni sessanta o tipicamente progressive anni ottanta. Un album, infine, che si accompagna anche con un altro lavoro uscito nel 2013 Canta Ragazzina, nel quale Sara Demagistri reinterpreta cover come “La Notte”, “Non Esiste l’Amor”, “Pugni Chiusi” del più importante cantautorato maschile anni sessanta.