Arctic Monkeys Tag Archive
Kalpa – A Certain Feeling [STREAMING]
Ascolta in anteprima l’EP di esordio del giovanissimo producer triestino.
Continue Reading666 dischi per vivere male l’estate
Un po’ di musica che vi consentirà di sopravvivere ai tormentoni latini.
Continue ReadingRecensioni | aprile 2016
Lucio Leoni – Lorem Ipsum (Alt Pop, Rap, Ska) 6,5/10
Stornelli romani che illustrano beffardi la generazione di quelli nati negli anni ‘80, che a volte si accalcano in spoken di Rap nostrano, altre volte molleggiano su melodie composte e vagamente sintetiche. L’album di esordio di Lucio Leoni è ironico e singolare, un’eccentrica voce fuori dal coro che merita sicuramente più di un ascolto.
[ ascolta “Domenica” ]
Martingala – Realismo Magico Mediterraneo (Indie, Blues) 6/10
Anima Blues, vestito Indie e tante esperienze diverse alle spalle: loro sono i Martingala, progetto parallelo ai Café Noir di Alessandro Casponi, Davide Rinaldi ed Emanuele Zucchini. Il loro disco d’esordio ci parla delle maree dell’animo umano raccontate in chiave blues-dream risultando pregno di un empirismo italo-Shoegaze. Alla luce di ciò nessun titolo fu mai così azzeccato.
[ ascolta “La prima volta che ascoltavo musica” ]
Med In Itali – Si Scrive Med In Itali (Jazz Samba, Swing, Songwriting) 7/10
Cantautorato ironico dal retrogusto amaro e sfrontatezza Jazz per il secondo album del collettivo piemontese. L’estro nelle composizioni, in bilico tra tropicalismi e retromanie, regala scorrevolezza a un disco strutturato bene e suonato anche meglio. A volte la tradizione musicale italiana riesce ad evolversi in maniera diversa, senza necessariamente precipitare nel Lo-Fi e nell’Indie Pop.
[ ascolta “Comico” ]
LNZNDRF – LNZNDRF (New Wave, Psych Rock) 7,5/10
Supergruppi che hanno la faccia di quelli che suonano insieme da decenni. Il progetto che vede impegnati i gemelli Devendorff (The National) e Ben Lanz (Beirut) è un esercizio ispirato e compatto, tra ambientazioni rarefatte e psichedelia ipnotica, in direzioni inaspettate per chi temeva una mera collisione tra i sound delle due band di provenienza.
[ ascolta “Future You” ]
Heathens – Alpha (Electro, Dark Wave, Trip Hop) 7,5/10
Con Tommaso Mantelli aka Capitain Mantell alla produzione, il sound dei veneti Heathens si fa mellifluo ed elegante, un’oscurità elettrificata al neon che echeggia ai Radiohead e ai Massive Attack ma che non è mai ruffiana. Tra le collaborazioni, anche Nicola Manzan (Bologna Violenta). Maturità compositiva fuori dal comune per una formazione che è appena al secondo disco.
[ ascolta “Parallel Universes” ]
Nonkeen – The Gamble (Elettronica, Lo-Fi, Avantgarde) 8/10
Nils Frahm come Re Mida, che maneggia vecchi nastri e li trasforma in oro. Con gli stessi compagni di allora, tra levigature e campionamenti le incisioni di Frahm quindicenne diventano impasto sonoro denso e magnetico. Il progetto Nonkeen è Elettronica suonata che ammicca al Krautrock e al Prog, ma con la disinvoltura di una jam session.
[ ascolta “Saddest Continent On Earth” ]
W.Victor – Che Bella Cacofonia (Alt Folk, Cantautorato) 7/10
Ci porta a spasso per generi e luoghi questo ultimo lavoro di W.Victor, che guarda al Folk del sud della penisola ma anche a quello balcanico, e ci srotola sopra un songwriting intimo e scanzonato allo stesso tempo. Strumentazione tradizionale e un timbro vocale intenso sono sufficienti a completare un disco ironico e ispirato.
[ ascolta “Sempre Canto Per Lei” ]
Silence, Exile & Cunning – On (xxxxxx) 6/10
Tutt’altro che nostrano il sound di questa italianissima formazione, che guarda con criterio al Post Punk frivolo degli Arctic Monkeys ma poco si sforza di aggiungere alla formula collaudata, tra parentesi Funk e qualche surfata di devozione ai Beach Boys. Il risultato è omogeneo e ben suonato, ma forse non basta per fare breccia nelle orecchie.
[ ascolta “Last, Proximate End” ]
Wild Nothing – Life of Pause (Synth Pop, Dream Pop) 5,5/10
Al terzo lavoro in studio l’autocitazionismo è di certo una scelta prematura. Jack Tatum ha tirato a lucido la produzione ma si è dimenticato di aggiungere l’ingrediente infallibile che aveva usato in Gemini e in Nocturne: l’intensità. Se non l’avesse fatto, probabilmente avremmo digerito qualsivoglia variazione sul tema. Risveglia dal torpore “To Know You”, ma solo perchè suona preoccupantemente Talk Talk.
[ ascolta “A Woman’s Wisdom” ]
L’Orso – Un Luogo Sicuro (Synth Pop, Indie) 5/10
L’Indie Pop de L’Orso è in preda a un’infatuazione per l’Elettronica easy e un po’ datata. Senza alcuna pretesa di trovare esperimenti arditi in un disco Pop, il risultato resta comunque eccessivamente banale. Gli episodi faciloni non riescono ad essere appiccicosi quanto in realtà vorrebbero, e gli incisi di cantato quasi Rap non aiutano.
[ ascolta “Non Penso Mai” ]
Igor Longhi – The Flow (Modern Classical) 6,5/10
Igor Longhi è un pianista triestino che si muove nell’ambito del minimalismo neoclassico. Un ascolto piacevole, un Ep nel quale Longhi mostrerà un’anima melodica che nella sua semplicità risulterà ricca di sentimenti e sfumature. Seppur non ancora ai livelli degli attuali e principali autori del genere questa naturalezza, leggera e cinematografica, colloca sicuramente Longhi tra i nomi più promettenti dello stesso.
[ ascolta “#loveisgenderfree” ]
Camera d’Ascolto: il SelfieVideoclip di “Dieci Minuti (sotto la pioggia)”
Figli della crisi…di nervi, come recita il titolo del loro ultimo lavoro, i Camera d’Ascolto hanno pubblicato un SelfieVideoclip (ufficiale) per il secondo singolo “Dieci Minuti (sotto la pioggia)”. Il video si ispira liberamente ad “R U Mine” degli Arctic Monkeys e ad un episodio de I Simpsons ed è stato girato in poche ore a budget pressoché zero (se escludiamo la benzina) utilizzando unicamente la videocamera interna di un Nokia Lumia 920.
The Anthony’s Vinyls – Like a Fish
Sono abbastanza spensierati gli Anthony’s Vinyls che con il loro mix di Funky Indie Rock spaziano tra ritmo sfrenato, squarci di Surf Rock che fa molto California’s mood, giri di basso sempre presenti, fino ad arrivare ad una voce complementare ma non per questo fondamentale. Ci siamo capiti? Spero di si. Si inizia con “Chromatic Games” dove troviamo basso e batteria a dirigere un botta e risposta tra due chitarre: una detta il ritmo e l’altra la segue a ruota libera, a volte si scambiano i ruoli e a volte lasciano chorus e delay a casa per diventare più distorte e accattivanti. Stesso discorso per “My Sister Shouts”, quest’ultima con l’aggiunta di giochi di pan a rendere ancora più vivo il tutto (e in cui i fucking non mancano nelle parole di Massimiliano Mattia), come anche per “Just Can’t Get Enough” dove i giovani romani ci invitano a ballare come non ci fosse un domani. Più lente, Rock e che lasciano maggiormente spazio alla voce sono invece “Running Man” (primo singolo estratto), “My Body”, e “Like a Fish”. Si ritorna alla cassa dritta e alla voglia di ballare con “Poppy” per poi arrivare a “Radio Obsession” quest’ultima a mio dire la traccia più riuscita del disco e quella più movimentata e radiofonica. Si chiude con “The Train of Their Life” (con tanto di traccia nascosta) dove finalmente la batteria prende possesso del pezzo lasciandosi sfogare tra rullate e cattiveria mentre la voce rimane libera con tanto di cori. Molto Rock’n’Roll insomma.
Ecco che dopo il primo EP 5 Points & 70 Euros del 2011, l’album A Different Water del 2012, gli Anthony’s Vinyls ritornano con un disco genuino coerente dall’inizio alla fine, che mette in risalto il suono sicuramente non nuovo ma comunque caratteristico di questa band. Un suono tra Daft Punk e Arctic Monkeys ottimo da ascoltare live quando si ha voglia di muoversi a ritmo sfrenato ed allegria.
Trupa Trupa – ++
Devo ammettere di non essere mai stato troppo attento alla scena underground polacca eppure, proprio quest’anno, finisco per imbattermi in un paio di perle veramente niente male, considerando che, vado a memoria, prima di loro per me la musica polacca era, al massimo, le colonne sonore di Franz Waxman o le composizioni di Chopin. Poi, quasi per caso, mi capita di ascoltare prima il gioiello Drone degli Stara Rzeka, Cień Chmury Nad Ukrytym Polem, tra le migliori cose ascoltate nei mesi andati e poi questo più confacente e ordinario ++ dei Trupa Trupa. La prima cosa che ho notato è una sorta di bassa fedeltà volontaria per il corpo del sound e involontaria in alcuni passaggi, evidente nell’opera degli Stara Rzeka ma che si presenterà lampante anche nella chiusura della prima traccia di questo ++ quando il pezzo è troncato bruscamente e in malo modo. Certo, due indizi non fanno una prova ma mi viene il dubbio che nell’ex Polska Rzeczpospolita Ludowa l’attenzione alla forma sia meno maniacale che in altri lidi. Eppure non è certo questo quello che resta quando l’ascolto diventa reiterato, ossessivo, maniacale. Quello che emerge è una capacità di suonare moderni, attuali, quasi innovativi, senza scomodare troppo l’estro.
Il suono dei Trupa Trupa è tutt’altro che polacco, anzi pesca a piene mani dalla tradizione britannica più o meno datata, eppure mantiene intatta un’atmosfera cupa, cruda, che odora di Post-Punk post bellico, carico di rabbia e nero come una ribellione solo formalmente soffocata. Suona come la collera e la speranza di una Berlino divisa da un muro d’odio la traccia iniziale (“I Hate”) con le sue vibrazioni stile Joy Division, le sferzate elettriche, fredde come il vento nordico che soffia il nove novembre e invaso da schizofrenici passaggi irrealmente allegri. Concedendo all’album qualche attenzione in più di quanto siete abituati a fare potrete notare anche testi tutt’altro che banali, anche se spesso incentrati sul classico e (stra)abusato tema della morte mentre musicalmente, oltre che dagli anni 80, la band pesca a piene mani dalla psichedelia britannica, dal progressive, da Canterbury passando per il Krautrock teutonico, il Garage sixties e un’infinità di altre contaminazioni occidentali (“Felicy”, “Over”, “Sunny Day”, “Dei”, “Exist”) sfruttando le ritmiche ossessive per proporle in chiave danzereccia e travolgente (“Miracle”, “See You Again” che Arctic Monkeys e Babyshambles avrebbero volentieri preso in prestito per dare carica ai loro nuovi album).
Bellissimi anche i passaggi più eterei, Pop, armonici che talvolta somigliano a vere e proprie filastrocche e che mettono in mostra un lato apparentemente più nascosto dei quattro ragazzi, quello che si rivolge con più attenzione alla melodia e al sogno (“Here and Then”, “Home”). Qualche parola a parte merita “Influence”, traccia numero dieci e penultima della tracklist, talmente straordinaria da meritare nessuna parola e un silenzio ossequioso. Le voci (nell’album sono di Kwiatkowski, Juchniewicz e Wojczal mentre Pawluczuk si limita alle sole percussioni) diventano protagoniste di una lugubre poesia malinconica, e gli strumenti, compreso il sax di Witkowski che suonerà anche in “Dei”, disegnano solo un sottile paesaggio sullo sfondo, creando un’atmosfera inquietante ma allo stesso tempo pregna di sogno.
Un disco che meriterebbe più attenzione di quella poca che probabilmente avrà in un occidente incapace di scoprire, stupirsi, innamorarsi. Un album che spero possa non passare inosservato almeno a chi mi sta leggendo proprio ora perché se è vero che il popolo d’internet ha più strumenti a disposizione dei morti viventi seduti davanti alla tv per scegliere la propria musica, è anche vero che non sempre è capace di cogliere il meglio da una proposta tanto ampia.
Aa. Vv. – Streetambula
Streetambula è la compilation, di ben 20 pezzi in due dischi, che è stata prodotta in seguito all’ottima riuscita del concorso omonimo, svoltosi l’estate scorsa a Pratola Peligna (AQ). Prepariamoci quindi ad una carrellata dei brani presenti nei due dischi della compilation: due canzoni per gruppo più alcuni extra affidati ai De Rapage, vincitori del concorso. Aprono le danze The Old School, che, come da nome, regalano una ballabilissima “Rock’n’Roll All The Night” da vera vecchia scuola, sorprendentemente solida e frizzante. Nulla di nuovo, ma di certo un Rock’n’Roll che sta in piedi e che avrà fatto agitare una buona fetta di pubblico. Ci spostiamo in zone più raccolte con “Gloom” de A L’Aube Fluorescente, che invece, a dispetto del nome altisonante, si buttano su un Rock alternativo lineare e molto inglese, anche piacevole se vogliamo, suonato con coscienza e scritto con criterio, ma senza guizzi particolari.
Doriana Legge ci fa prendere una piccola pausa con “Palinsesti”, arpeggi in delay, pad iridescenti di synth in sottofondo, voce alternativamente sospesa e teatralmente piena (anche troppo, a volte) accompagnata da cori leggerissimi, e poi si sale a cercare l’esplosione, il climax, che però non arriva: viene solo suggerito da una chitarra distorta e dall’andamento vocale (pesa forse il non avere in organico qualcosa di percussivo – una batteria – che sostenga il crescendo). I De Rapage, vincitori della kermesse, infiammano tutto con l’energica “Il Grande Rock In Edicola”. Sembra di essere tornati a cavallo tra gli anni 80 e 90, sommersi da riff in distorto sostenuto e batterie ossessive, dove rullo e charlie fanno da padroni, a combattere una guerra assai rumorosa con le voci, sguaiate e sporche, come ben si confà all’impianto ironico-divertito dell’ensemble. La potenza live della band è fuori discussione: granitici, anche se non danno molto di più dell’energia grezza che producono.
“Crazy Duck” dei Dem è una sorta di Blues che triangola tra percussioni povere e continue, riff elettrici pieni di ritmo e groove, e una voce femminile che non sbaglia una virgola. Esibizione stralunata e a mio parere molto, molto divertente, che si perde un po’ quando rallenta sugli accordi di chitarra ritmica – ma poi si riprende, folle come in partenza, in un inseguimento allucinato di chitarra e percussioni. Stravaganti il giusto per spiccare nella massa, orecchiabili quello che basta per farmeli riascoltare con piacere. Approvati. Di nuovo Rock energico, questa volta dai Too Late To Wake: “Smooth Body” parte infuocata, cassa in quattro, promettendo assai bene (zona Foo Fighters); poi rallenta, si appoggia su un Rock in inglese più smorto e banale, con una voce che, sebbene calda in basso, non brilla sulle alte. Niente di eccezionale, nel complesso, ma con qualche idea interessante sparsa qua e là.
Un intro sospeso tra gli anni 70 e gli Arctic Monkeys per i Ghiaccio1, che in “Roby” si lanciano in un brano veloce, con sezione ritmica indiavolata e una voce trasformista, che qua e là tocca la timbrica di un Giuliano Sangiorgi qualsiasi. Poi rallentano, si rilassano, e ripartono, con un basso che sembra rubato a prodotti vari di Lucio Battisti. Notevole il tentativo di miscelare mood e generi diversi in un brano di poco più di 4 minuti (la coda scivola verso sonorità Reggae, e aggiunge varietà all’esibizione). La canzone non rimane troppo impressa, ma nel complesso si fanno ascoltare con gusto. The Suricates aprono con un intro Noise a cui seguono arpeggi sognanti, in un racconto Post-Punk straniante e circolare (c’è un po’ di confusione in ambito vocale, ma verso la metà del brano la cosa inizia ad avere un senso e a suonarmi così com’è: una voce che grida, sporca, gonfia di delay, esagerata). Un delirio generale ammaestrato, che riesce a tratti ad ipnotizzarmi. Non male.
Il Disco 1 si chiude con due extra firmati De Rapage che appaiono senza titolo: il primo, che dovrebbe intitolarsi “To Be Hawaii”, è una ballad in cui la band abbandona l’energia grezza del Rock italiano primi anni 90 per darsi alla leggerezza – sempre ironico-demenziale ovviamente. Devo dire che il pezzo sta in piedi anche musicalmente, con quel giro di chitarra facilissimo e per questo bello, paraculo ma bello. E mi sento di dire che avrebbe funzionato alla grande anche ad avere un testo più serio (ma non staremmo parlando più, probabilmente, dei De Rapage). Il secondo extra torna un po’ sul sentiero del già visto, si canta e si sbraita e si picchia e si ride, ritornelli da quattro accordi e strofe goliardiche, sempre suonando sporchi & granitici insieme.
Passiamo dunque al Disco 2: ecco di nuovo The Suricates, stavolta alle prese con “New Islands”. Intro psichico e allucinato, qualche intoppo qua e là sul nascere nel reparto chitarre, per un brano che stenta a decollare, ma poi si riprende: lento, lungo, ipnotico. Soundscapes di pianoforti, chitarre che si rincorrono, ritmiche incalzanti. L’onda scende, poi risale. Strumentale ed allucinatorio. Torna Doriana Legge, stavolta con un bel palm mute ritmico di chitarre ad introdurre “Scambisti Alla Deriva”. L’impianto è abbastanza confuso, con qualche imprecisione sparsa. Si è sempre dalle parti di una canzone d’autore post: c’è molto Lo-Fi, c’è molta teatralità, manca forse un focus maggiore. Il pathos, invece, c’è tutto. “Lisergia” per i Ghiaccio1: abbandonate le velocità Indie-Rock, ci si butta su un simil-Western con copiosi bending e momenti di frizzante distorsione strumentale. Un po’ peggio, un po’ noia.
I Too Late To Wake iniziano epici e brillanti la loro “Grey For A Day”, un Rock lento e malinconico, che, sempre senza sorprendere troppo, si dimostra composta con mestiere, mentre la voce ancora pecca nel registro alto (purtroppo). “Ngul Frekt Auà”, dedicata agli “alternativi del cazzo con la barba”, è il secondo pezzo “ufficiale” dei sempre più ghignanti De Rapage. La musica s’è ammorbidita e l’intento ironico è più preciso e affilato. Rischiano più volte di scadere nel cattivo gusto tanto per, ma qualche colpo di reni all’ultimo secondo sembra salvarli (il ritornello in dialetto, ad esempio – e chissà poi perché). Mi avevano lasciato con una simpatia inspiegabile nelle orecchie, ritornano un po’ meno luminosi e un po’ più piatti i Dem, che in “Ready If You Want Me” abbandonano la (bella) voce femminile per un cantato maschile più piatto, e un registro, in generale, più seventies. Sempre minimale, sempre percussioni leggere, chitarre frizzante e voci, il brano, sebbene sia sempre fuori di testa e pieno di arzigogoli ritmici e strutturali che proteggono lo spettatore dal disinteresse eventuale, non riesce a rimanermi incollato come quello del Disco 1. Sempre più inglesi e sempre più compatti gli A L’Aube Fluorescente (e più me lo ripeto, più il nome mi sembra figo – fuori di testa, ma figo). “Lizard” è un fascio di luce coerente e orecchiabile, che mi fa muovere la testa a ritmo, scritto bene e con una voce davvero poco italiana. Anche qui, niente di particolarmente nuovo, ma il lavoro è fatto bene, e potrebbe bastare.
Li abbiamo inquadrati nel Disco 1, non fanno che confermarsi qui: The Old School si presentano nella loro “We Are The Old School”, un Rock’n’Roll come dio comanda, e non c’è davvero bisogno che vi dica altro – nel bene e nel male. Chiudono il party, come sopra, i De Rapage, con due ulteriori extra: sempre Rock energico, sempre la demenza più spinta, con argomento, nello specifico, l’omosessualità e la terribile esperienza di terminare il rotolo di carta igienica (con una variazione-litania: “mestruo, assorbenti, ciclo, vomito”… ci siamo capiti).
Concludendo questa lunga carrellata di presentazioni varie: la compilation di Streetambula sorprende, e molto, perché una qualità mediamente così alta non era preventivata. Certo, l’audio non è dei migliori, le imprecisioni ogni tanto si fanno sentire, e tante band magari devono ancora mettere a punto qualcosa nei reparti tecnici: ma l’inventiva, la varietà e la passione che si possono trovare dentro questa compilation dimostrano che in giro c’è veramente tanta gente che ha qualcosa da dire. Il futuro sarà fatto di miriadi di band, che vivranno in una galassia musicale sempre più ampia e variegata, e ognuno di noi avrà mille sfaccettature da scoprire, senza doversi per forza aspettare la grande band dei nostri tempi. Iniziamo a guardarci intorno: date un’ascoltata a questa compilation e potreste incrociare qualcuno che vi convincerà a seguirlo con curiosità. Non si sa mai.