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Jiurrande – Jiurrande EP

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I Jiurrande sono un duo acustico calabrese. Un duo di cugini, Ettore e Luca, che fin dalla scuola superiore hanno condiviso l’amore per la musica, l’hobby di una vita messo da parte per parecchio tempo, per poi decidere, però, di riprendere in mano le loro canzoni, riarrangiarle, scriverne di nuove e registrarle in casa tra Lamezia Terme e Platania (Cz) all’inizio del 2012. Questa è la loro biografia stringatissima, come pochissime sono le loro pagine sul web e questo certo non aiuta a conoscere il progetto.

Ma andiamo avanti. Alla fine della registrazione viene fuori un Ep omonimo, il primo lavoro discografico dei Jiurrande, formato da sei brani. Il primo è “Demo Goldsound” che più che brano lo potremmo definire un piccolo intro stile musichetta dei giochi 8 Bit. Il tutto continua con “Elastici” con il suo intro di chitarra e la forma canzone pop-rock più ortodossa, rispetto anche all’intero lavoro. Nonostante l’homemade  che si avverte fin da subito, il ritmo rimane l’elemento più piacevole del brano anche se qualche volta in maniera quasi impercettibile cade, al contrario della voce che non convince affatto fin dall’inizio,non amalgamandosi mai con la musica, con l’intonazione e con il ritmo. Un’alchimia che non c’è insomma. “In Dormiveglia” è il terzo brano che come inizio utilizza sempre la chitarra; la forma del pezzo è uguale al precedente, le impressioni della parte strumentale sono positive al contrario di quelle vocali, che peggiorano nettamente in “Autunnando”, quarta canzone nella quale si percepisce qualcosa di strano anche a livello strumentale (saranno stati gli strumenti scordati?) e naturalmente anche a quello vocale, il cui lamento diventa insostenibile. Penultimo passaggio è “Il Saggio” che, come prima, lo potremmo definire una poesia con sottofondo musicato al contrario dell’ultimo pezzo “Deliri”, in realtà  ghost track che non aggiunge niente e non toglie niente.

Insomma Jiurrande, avete aspettato ben dieci anni prima di riprendere a suonare la vostra musica, potevate aspettare un altro anno, altri due anni, prima di registrare e mettere in giro il vostro lavoro perché comunque il tempo è l’unica cosa davvero importante; parlo del tempo per studiare, per perfezionarsi, per creare uno stile. Questo a mio parere non è un Ep pronto; allora qual è il senso di mettere in circolazione un lavoro nel quale gli elementi positivi sono ben pochi rispetto a quelli negativi? Non certo per pubblicità o per creare con la musica una prospettiva. Forse per gioco, ma anche il gioco allora deve essere fatto bene altrimenti a nessuno andrà più di giocare.

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Impression Materials – It Shouldn’t be a Matter

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Ci sono album che ci accompagnano in molti momenti della nostra vita come piccole colonne sonore che risuonano in sottofondo e la maggior parte delle volte s’incollano a ricordi d’incontri, partenze, addii, serate a ridere tra amici o a scaldarsi davanti ad un falò. Tra i miei preferiti ci sono quelli che generano la loro magia e si legano ai viaggi, il lavoro solitario di Impression Materials è senza dubbio un ottimo candidato a questo ruolo.

It Shouldn’t be a Matter è il risultato delle fatiche di Stefano Elli, un vero è proprio one man band nostrano dall’anima Blues, che si lascia dietro lo stesso sapore dolciastro e romantico della migliore tradizione dylaniana d’oltremanica. Bastano nove tracce per trasportarti in uno splendido viaggio tra deserti assolati, scogliere ventose e montagne innevate. La voce di Stefano però si distacca dall’immaginario a stelle e strisce, incarnata dal padre Bruce, e colpisce risultando molto pulita e limpida, priva del tutto di sporcature e graffi. L’album si narra nato tra live e registrazioni casalinghe, ma non ha nulla di casereccio e approssimativo, le capacità da polistrumentista di Stefano ed in particolare l’uso della chitarra, che predilige, creano tracce strutturate, ritmiche e ricche di suono, ma al tempo stesso dal sapore intimo e personale. Tutto scorre come parole di un unico discorso e nel complesso solamente due tracce stonano come pesci fuor d’acqua all’interno di questo quadretto trompe l’oeil “The Lamb” e “Staring at The Kitchken”, ereditate da un’esperienza musicale precedente e riarrangiate per dar corpo al disco. Eccetto i due estranei, brani come “Profite or Benefice” e “Strong Behavior” sono delle vere ballate di puro Folk americano in versione acustica, “Dance Thru” ti cattura per il sapore caldo e ritmico e “Narceine” ti lascia sul ciglio di una porta con le chiavi in mano.

Stefano Elli e il suo progetto Impression Materials ci consegnano un insieme di tracce che confermano una lezione spesso valida in musica: less is more. Canzoni spogliate di fronzoli e abbellimenti, ma non spoglie di storie da raccontare ed emozioni da suscitare. Letteralmente non dovrebbe essere un problema, infatti, non lo è ascoltare questo album leggero e impalpabile come l’anima che racconta, non invade le orecchie non ti fa scatenare in danze selvagge, ma la sua potenzialità sta proprio nel prenderti per mano e accompagnarti dolcemente nel tuo personale viaggio.

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Silent Carrion – Suprematism EP

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Molti filosofi nel corso dei decenni si sono dibattuti sul considerare o meno questo il migliore dei mondi possibili e se cuore non fa sempre rima con sole, spesso lo fa con amore, anche se ci sono delle eccezioni. I Silent Carrion, band trentina, infatti, faticano a sentirsi attori di questo giocoso gioco e con un nome che richiama saghe dal sapore horror si lancia musicalmente in un’ardita sperimentazione: Il primo EP, di una trilogia Drone Noise Metal, titolato Suprematism I Jupiter. Ora, per chi non si fosse perso tra cupcakes fluo e golosi pan di stelle, il Drone è un genere poco familiare alla penisola italica, figlio ingrato, forse, di Madame Black Metal e Monsieur Doom.

Non spaventatevi, quindi, voi che ascolterete l’EP, se il livello di gradevolezza e melodia scenderanno a livelli minimi, da fossa delle Marianne. Ammetto che ronzii e rumori non sono un ascolto facile per tutti i palati musicali, anzi si dovrebbe parlare di nicchia salvo che uno non sia nato in Norvegia. Con queste premesse le sei tracce, esclusivamente strumentali dell’Ep, non si presentano al meglio; i ragazzi trentini ci provano a creare nuove forme espressive del genere contaminandolo con l’Elettronica, l’Ambient e il Metal, ma l’esperimento non riesce alla perfezione e risulta poco convincente. Le classiche atmosfere Drone si perdono nel caos che si crea e sembra di vagare tra la casa di Dracula di una Gardaland attempata e un bosco del varesotto durante un raduno delle bestie di Satana. Perché anche se si parla di rumore, non vuol dire che questo non abbia delle prerogative o attitudini, e se in alcune tracce si riesce a percepire un non so che del primo Burzum sotto prozac, non si riesce a ritrovare lo stile da manuale dei padri Sun O))), creatori del manifesto programmatico del genere.

La sperimentazione spesso è un’arte e al tempo stesso una necessità per dei musicisti, e innovare e contaminare probabilmente ne rappresentano le chiavi, ma non sempre i generi lo permettono. Questo Ep non riesce a colpire nel segno, ma considero i Silent Carrion coraggiosi nell’intraprendere e nel portare avanti una loro visione musicale di un genere a dir poco ostico. Probabilmente nemmeno il Vegan Black Metal Chef avrebbe potuto, visti gli ingredienti, creare un piatto così amaro da buttar giù. Credo che questo non sia per i Silent Carrion il migliore dei mondi possibili.

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Adele e il Mare – Origami EP

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Adele e il Mare non è una donna sognante e marinaia, ma una band di tre ragazzi milanesi che scegliendo questo nome d’arte hanno trovato il modo di dipingere il grigio della loro città natale attraverso nuovi colori. Si descrivono genuini e credono che la musica sia una via con il quale esprimere emozioni interiori nascoste, e per preservare questa loro spontaneità hanno deciso di fare tutto da soli: sono arrangiatori, musicisti, produttori e fonici di loro stessi. Insomma una band completamente Do It Yourself, e tanto di cappello!

Origami è il viaggio di Adele e il Mare, un viaggio intimo e profondo descritto dal suono di cinque tracce. Si parla di strade, intese come decisioni e vie da affrontare in “Camminerai”, brano che inizia con un fantastico giro di batteria picchettato e che alla fine ti lascia un senso di speranza misto sofferenza. In “Novembre” il lato nostalgico di Simone (frontman e chitarrista) inizia a scorgersi, e si racconta attraverso metafore fatte di colori e parole sospese nell’aria. Un po’ come un bimbo intento ad afferrare un palloncino che fluttua nell’aria, un palloncino colorato, un palloncino troppo alto per lui, un palloncino che purtroppo potrà solo guardare volare via. Dopo “Novembre” seguono “La Pioggia è Finita” e “L’involontario Sogno di Enea”, ed anche qui direi che l’immagine del bimbo con il palloncino è esaustiva, in quanto l’argomento centrale che lega un po’ tutte le tracce sono le cose che non tornano, le cose che se ne vanno via così, sospese. Chiude il tutto “Domani”, un brano che lancia un messaggio di speranza al mondo, ricordando a tutti che anche se oggi il cielo è grigio è scuro, ci sarà un domani più limpido e chiaro.

Gli Adele e il Mare si descrivono come una band Indie-Rock, ma a me sanno più di Indie-Pop e mi ricordano tanto i Velvet, specialmente il brano “Dolevo Dirti Molte Cose”. Non so se a loro possa far piacere o meno questo mio accostamento, ma comunque sia è ciò che il loro suono e soprattutto i loro testi mi hanno ricordato.

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Psychodeus – An Ode to The Numinious EP

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Premettendo che a me ciò che spesso suona strano e sperimentale piace, devo dire però che io dei Psychodeus non c’ho capito nulla. Non ho compreso una parola di ciò che viene cantato (nonostante sia un cantato recitato, quasi da comizio) e che il mix di suoni elettronici/acustici è a mio parere una pasta che ancora si deve amalgamare. Troppo caotico il tutto insomma, e troppi sono i  generi che la band mischia senza riuscire ad ottenere un suono che li differenzi e li renda riconoscibili. Nonostante l’accozzaglia di suoni, le batterie Hardcore e le calme pause che preannunciano un malefico e cattivo futuro, bisogna riconoscere l’originalità di questi giovani napoletani nello scegliere i nomi delle tracce e riuscire così in questo modo a dare un senso a quello che si ascolta. Infatti l’Ep An Ode to the Numinious si compone di due tracce (che in realtà sono cinque e vi spiego tra poco il perchè). La prima, “Maelstrom”, inizia con un fischio acuto e disturbante che ti entra nel cervello creando fastidio e sgomento ed il titolo della traccia dunque descrive perfettamente le sensazioni che il brano suscita, ma è con il secondo brano, “Ceremonies of Passage”, che il collegamento tra titoli e musica prende definitivamente forma. La traccia di ben 15 minuti, viene suddivisa infatti in quattro parti, i quattro passaggi da celebrare per coronare i momenti essenziali che ogni persona deve affrontare durante la propria esistenza. Quindi abbiamo la pre-nascita, la post-nascita, l’età adulta, e per finire la post-morte. Si nasce, si cresce e si muore, dunque si vive. E questo è il loro modo di “celebrare il passaggio”.

Per chi volesse, An Ode to the Numinious è scaricabile gratuitamente da qui.

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Pig Tails – So What

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Due ragazzi di Mantova. Solo due. Niente basso, niente seconda chitarra. Un organico ridotto all’osso, col cantante che suona anche la chitarra e il batterista. Questi sono i Pig Tails, che hanno dato alla luce So What, il loro full lenght composto di dieci tracce, oscillanti tutte tra il Punk americano e il Grunge anni ’90. Energia da vendere, indubbiamente, come si intuisce già da “Spitfire”, brano modellato sulle sonorità Garage con chitarre anni ’70 e un retrogusto pop, un po’ alla White Stripes.

È con la title-track “So What”, però, che si delinea meglio lo stile del duo: un bel Punk’n’Roll graffiante, su cui si muove la linea vocale dalla timbrica chiara seppure urlata. Particolarmente interessante in questa traccia è la perizia strumentale: i due ragazzi sono davvero molto bravi anche nella ricerca timbrica. “Papercut” e “The Revolution” sono profondamente in debito con i primissimi album dei Green Day quelli delle distorsioni, dei pantaloni al ginocchio e delle scarpe da skater, non certo quella copia patinata di loro stessi che sono ora. Con l’intro di “I Promise”, invece si evidenzia un certo gusto per la dissonanza che ricorda le esperienze del Grunge dei Nirvana di Incesticide, con un cantato più trascinato che lanciato: la ballad finisce però presto per diventare un po’ noiosa e ripetitiva, meritandosi in poco tempo l’etichetta di pezzo meno riuscito del disco.

Per fortuna parte “Stonecutter II” con il suo bel riffone Seventies: il brano potrebbe non essere davvero nulla di speciale, ma gli effetti usati alla voce allontanano dall’Hard Rock tradizionale e lo stacco improvviso che muove verso il Grind rendono la canzone ulteriormente originale. Lo stesso si può dire della successiva “We Can’t Fall”, mentre con “Too Bad” si torna al classico Punk-Rock. La chitarra di “Reptiles” richiama di nuovo il Grunge, ma quello degli Alice in Chains questa volta, e il disco si chiude con un nuovo richiamo ai Green Day, con la tripartita “I’ll Be Here”.

I Pig-Tails giocano con la forma canzone, scombinando le canoniche relazioni e apparizioni delle strutture strofiche e dei ritornelli, mescolando i generi, allargando le maglie di compenetrazione degli stili. Solo sono due e sembrano tanti e hanno i numeri per poter dire qualcosa. L’impressione è che, al momento, stiano esplorando un terreno in cui già molto è stato detto così tutto suona già sentito, ma l’augurio è quello di individuare un taglio più personale, che, supportato dall’indubbia capacità tecnica, non potrà far altro che portare un po’ di fortuna.

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Tre Tigri Contro/Amelie Tritesse – Tre Tigri Contro Amelie Tritesse 7” split

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Partiamo dall’occasione. Record Store Day. Nato nel 2007 dalla mente di Chris Brown è molto semplicemente una giornata (terzo sabato di aprile) celebrativa per tutti i negozi musicali indipendenti, durante il quale le band realizzano ristampe, dischi ad hoc, remix e tutte le possibili prelibatezze e rarità che ogni buon collezionista sognerebbe di possedere. L’occasione di questo split è proprio il Record Store Day, sesta edizione. Un 7”, 200 copie in vinile nero e busta di cartone pressato, 100 copie in vinile colorato in scatole di cartone ondulato con copertine dipinte a mano. Già immagino i collezionisti folli con la bava alla bocca. Oltre al feticismo c’è però la musica e ci sono due formazioni di punta della scena alternativa abruzzese, due band che hanno diviso palchi, sudore e gioia. Da un lato Amelie Tritesse (Teramo) con “L’Agnello di Dio” e il loro classico Read’n Rocking, una miscela di parole e suoni, musica e testo, di Spoken Word e Alt Rock che si piazza a metà strada tra Massimo Volume e Art Brut. “L’Agnello di Dio” non aggiunge nulla a quello che gli Amelie Tritesse ci hanno spiegato essere già due anni fa con l’uscita di Cazzo ne Sapete Voi Del Rock’n Roll. Una storia, raccontata più che cantata, ironica e surreale per certi versi, con una timbrica, un’impostazione vocale (Manuel Graziani, l’artefice), un accento e una sonorità che sarà snervante, quasi insopportabile per alcuni, ma che, al tempo stesso, ha reso gli Amelie una creatura dalla firma distintiva. Il secondo brano dello split è invece una sorpresa. Loro sono i Tre Tigri Contro (Giulianova), power trio emergente che, nel brano “I Lunedì al Sole (Io Non Voglio Lavorare Più)”,  unisce l’ironia di un certo cantautorato italico, tra Rino Gaetano e il Claudio Baglioni di “Portaportese”, all’energia, l’irriverenza e la follia dei più attuali Zen Circus. Del circo Zen sembrano ricalcare anche lo stile dei testi, che, per quanto possano far storcere il naso agli ascoltatori più intellettuosnob, è innegabile riescano a strappare più di un sorriso (“Io non voglio lavorare più! / Davanti al televisore ventidue ore al giorno / e le altre due le vivrei solamente di porno”). I due brani di Tre Tigri Contro Amelie Tritesse, sono molto diversi uno dall’altro ma stanno benissimo insieme, come i due risvolti della stessa medaglia, come due modi diversi di affrontare la vita, diversi e eppure simili perché legati da un sottile filo di disillusione. E alla fine aver avuto tra le mani una delle trecento copie dello split sarà un piacere anche per le orecchie, oltre che per il nostro spirito di feticisti incalliti.

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Carmilla e il Segreto Dei Ciliegi – Anche se Altrove

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La musica come essenza di infiniti mondi mentali. Come bagliori di nuove vite attraverso un percorso molto spesso lastricato di ostacoli. La musica come ripartenza verso un’anima nuova che vive e respira “anche se altrove”. L’arte a trecentosessanta gradi per sfiorare quella perfezione celestiale che quando si tramuta in suono si schiude sulla nostra natura più autentica, quella natura più fragile: l’identità nascosta, talvolta strappata dalle gelide parole degli altri. Una perfetta peregrinazione per presentare il primo album Anche se Altrove di uno dei più interessanti gruppi del panorama pugliese Carmilla e il Segreto Dei Ciliegi. Il significato del nome è duplice. Infatti da un lato c’è Carmilla, noto vampiro della letteratura irlandese che si rigenera nelle varie epoche e che qui diventa immagine di quel Suono/Essenza che sopravvive al tempo e ai cambiamenti, dall’altro ci sono i fragili ciliegi simbolo tradizionale di forza e invito alla rinascita nella cultura orientale. Insomma Anche se Altrove è una porta, un varco che se attraversato porta ad un’esistenza parallela fondamentale per ricominciare un nuovo viaggio, sulle vie e sulle emozioni di una vita già vissuta, forse da cui prendere esempio.

Anche se Altrove è l’album di esordio, in uscita a breve, dei Carmilla e il Segreto Dei Ciliegi, giovane band che attraverso undici brani raccoglie la bellezza, quella più profonda di un mondo difficile, ostile, in declino, ma sempre degno di essere amato con tutte le forze. Undici brani Rock, a tratti forte, come il bellissima “Anche se Altrove” che da il titolo all’album, sospirato, dondolante e cornice di testi studiati e affascinanti. Un fascino che da subito si scorge dall’artwork di Patrizia Emma Scialpi. Una ragazza che dondola appesa ad un filo d’erba è l’immagine della vita libera da domande e dalle oppressioni quotidiane. E sono proprio queste le sensazioni che suscitano i loro brani, un senso di forza, di libertà, ma anche una profonda ricerca di se stessi e delle origini del mondo. Interessante è il brano “Dorjiee” indissolubilmente legato alla causa tibetana, utilizzato anche per l’apertura straordinaria del Padiglione Tibet nella performance di danza contemporanea Elemento Sottile. Come interessante è “Addestro il Pensiero” brano che apre l’album, o come “Inosservata”, “Non Oso o Non so” e “Clochards” che parla dell’amore con la A maiuscola.

Insomma, un primo album interessante nella sua intera concezione, ma anche un lavoro studiato e soprattutto vissuto nel tempo e in linea con le esperienze della band, formata da Giuliana Schiavone, voce e chitarra acustica, Anna Surico, chitarra elettrica e tastiere, Roberto Ficarella, batteria e tastiere, e Marco Bellantese, basso elettrico.

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Sarah Stride – S/t

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Sarah Demagistri è Sarah Stride. Sarah Stride è Sarah Demagistri cantautrice milanese che da tanti anni calca la scena artistica e musicale italiana. Il progetto dunque nasce dalla voglia, dopo tanti anni di gavetta musicale, di far uscire finalmente un album tutto suo e questo accade anche grazie all’incontro e al connubio con i compagni di viaggio Alberto Turra, chitarra, William Nicastro, basso e Antonio Vastola, batteria.

Nel 2012 esce quindi l’album omonimo e di debutto Sarah Stride che si apre con il brano “Metallo”, scritto in collaborazione nientepopodimeno che  con Melissa P. di “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire”,  che si presenta come un’apertura interessante e un brano Rock dalle tinte oscure. Si prosegue con “Eco Breve” e“Tra i Miei Gesti” brani dall’atmosfera non tanto felice cantati quasi alla maniera di Irene Grandi. “Prove di Volo” e “La Preda”oltre a un’estesa melanconia presentano immagini poetiche che sono il racconto di un percorso, di una crescita fatta di incontri e disillusioni, di perdite e di meraviglia, di dolcezza e determinazione ma soprattutto di confronto e di incessante dialogo che abbiamo con la realtà che ci circonda e con noi stessi. Il sesto brano “L’Indispensabile” a tratti ricorda invece la voce e lo stile di Giusy Ferreri, uscita da X-Factor qualche anno fa. Tinte squisitamente Dark si possono ascoltare in “Fuori da me”, con un bellissimo arrangiamento di archi del M° Turra, come per gli ottoni che si sentono in giro per l’album, che prosegue con “Casca la Terra” che riprende un po’ il gioco infantile, “Lasciamo che Sia” e la cover “Te lo Leggo Negli Occhi” di Endrigo/Bardotti. L’album omonimo si chiude quindi con i brani“Giò” e “Respira” dal sound preciso, noir e soprattutto compatto.

Un album di debutto interessante per le collaborazioni ma soprattutto per le tante citazioni simili a prestiti e ringraziamenti a Tory Amos, Antony And The Johnsons, Jeff Buckley, Nick Cave.  Un album di debutto fatto anche di idee precise, dal gusto vocale squisitamente retrò anni sessanta o tipicamente progressive anni ottanta. Un album, infine, che si accompagna anche con un altro lavoro uscito nel 2013 Canta Ragazzina, nel quale Sara Demagistri reinterpreta cover come “La Notte”, “Non Esiste l’Amor”, “Pugni Chiusi” del più importante cantautorato maschile anni sessanta.

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Prospettive di Gioia Sulla Luna – Il Giorno Dopo

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Nella loro biografia, i Prospettive di Gioia Sulla Luna ci fanno sapere, tra le altre cose, che “i tre [il nucleo fondante della band, ndr] sono stati dei punk incazzati, dei capelloni, dei fini rumoristi e anche degli onanisti elettronici”. E poi? Poi si accorgono di voler cambiare rotta, tentare strade nuove. “Era giunto il momento di provare a suonare facendo meno rumore possibile”.

Questo dice molto del progetto e del loro ultimo disco, Il Giorno Dopo. Si legge già tra le righe la voglia di Pop che permea il lavoro, sfacciata, senza remore, ma anche senza preconcetti: un pop bastardo, che si mescola, sfugge alla definizione, ci ritorna, si lascia ascoltare carezzevole e poi corre, inseguito da una batteria incalzante, da un synth fiabesco, da chitarre frizzanti. Le dieci tracce de Il Giorno Dopo scorrono comode, ma riescono, nella maggior parte dei casi, a passare indenni sotto i colpi della noia e del ricorrere di cliché e stilemi già sentiti. Il gioco, ai cinque PDGSL, è riuscito bene: dall’ossessionante “Baby” all’intensa “Una Promessa”, dall’esaltante “Las Vegas” alla sognante “La Luna Sbadiglia”, tutto crea un mondo sospeso, Rock quando vuole, Pop ogni volta che può.

Certo, magari non c’è il pezzo della vita, quello per cui ci ricorderemo di loro fra qualche anno. E se proprio devo dirla tutta, in qualche episodio il timbro vocale di Peppe Barresi non mi ha convinto moltissimo (è molto particolare, non si può negarlo; però capita che sembri fuori posto). Ma non siamo qui a spaccare capelli in quattro: ci accontentiamo di occupare le nostre orecchie con suoni che siano degni quanto basta. E Il Giorno Dopo può accompagnarci, almeno per un tratto di strada.

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Il Rumore Della tregua – La Guarigione EP

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I momenti di tregua sono per definizione delle sospensioni temporali di conflitti, dovuti spesso ad un accordo tra le parti, ed è forse questa la magia che questo quintetto milanese riesce a far emergere dal suo primo EP, un cessate il fuoco dal bombardamento a cui le nostre orecchie sono sottoposte quotidianamente. C’è chi pensa che le nuove proposte musicali siano poche; si sbaglia, il problema forse sta nel livello di qualità delle stesse, e una tregua è proprio quello ci vuole. La Guarigione, primo EP del Rumore Della Tregua, ci prova irrompendo in un questo scenario proponendo una pausa e un respiro profondo, che hanno la tipica patina di tempi passati, ma che non suonano per nulla vecchi. Malinconie classiche alla Nick Cave, tracce di un’America polverosa e Folk, un po’ di rumore da rockers d’altri tempi, e liriche cantautorali, questo è il mix che emerge dal lavoro dei cinque, che riescono a destreggiarsi abilmente e realizzare un EP di qualità.

Cinque brani in equilibrio tra suoni in minore e gusto moderno, in cui le atmosfere sono perlopiù cupe, difficile farsi strappare un sorriso, se non uno di quelli amari, ma non sempre la musica deve essere pura distrazione, a volte è denuncia, riflessione, condivisione. Un buon esempio di ciò è il primo brano “Haiku”, che seguendo la tradizione poetica giapponese XIX secolo da cui trae il nome, condensa in tre versi emozioni forti e viscerali. I testi possono a pieno titolo essere definiti i padroni di questo EP, niente leggerezze e rime spensierate ma parole che acquistano spessore e consistenza. Significati forti resi immediati dalle scelte poetiche della scrittura e supportati dalla musica. Racconti e storie dure che trovano la massima espressione in “Confessa il Peccato Harry”, dove per la prima e unica vota compare la parola guarigione. Una lirica che assomiglia ad un percorso di catarsi che non trova il suo completamente. Per guarire bisogna espiare le proprie colpe, ma non sempre il percorso è una strada dritta.

A volte come in “Revival” si preferisce lasciare il marcio fuori dalla porta. Ad una nostalgica come me è parso di poter rimettere su una vecchia cassetta dei Timoria, chiudere gli occhi lascarsi trasportare via. Colpe, disagi, espiazioni, amori sbagliati, mondi popolati da superbi, mediocri, cani, conigli e pornocrazia, decisamente non sono per tutti. Speriamo che la strada del Rumore Della Tregua continui, seguendo le scelte proposte in questo EP, una musica che non invecchia e non si lega ad esigenze espressive generazionali o a mode del momento, suoni pieni corposi e parole che lasciano il proprio sapore in bocca, insomma da gustare.

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Teenage Gluesniffers – Chinese Demography

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Non voglio spendere troppe parole per Chinese Demography dei Teenage Gluesniffers. Non voglio e, comunque, non potrei neanche volendo. Perché questo breve lavoro del trio milanese scorre prevedibile e inutile dall’inizio alla fine, brano dopo brano dopo brano.

È il solito Punk liceale, quello che andava di moda tra i ’90 e gli anni ’00 del Duemila. Non sto neanche a descrivervelo, sapete già di cosa sto parlando. E sinceramente, per quanto possano essere tecnicamente ineccepibili (o forse proprio per questo), mi sorprende che ci sia ancora gente che fa questo genere senza mai aggiungere nulla, senza mai reinventare. Posso capire le band storiche, che portano avanti, con dignità e passione, un genere che hanno contribuito a definire (e dico anche in Italia, eh). Ma perché continuare a sbattere la testa su questo insieme di cliché sempre identici, sempre uguali, sempre noiosi allo stesso modo?

Sono bravi i Teenage Gluesniffers? Sì. È un bel disco Punk? Probabilmente sì. È un disco che vi consiglio? No. Non sprecateci del tempo, se volete pogare e bere birra con sotto una bella traccia di Punk popolare ed orecchiabile ascoltate Rancid, Blink-182, NOFX, (e non me ne vogliano i puristi per gli accostamenti azzardati…) e, dal Bel Paese, Duff, Punkreas, Pornoriviste. Ne sto tacendo probabilmente molti altri, ma perdonatemi, il tempo in cui mi ammazzavo di schiaffi sotto un palco è passato da anni, ormai… e sarebbe ora di guardare avanti e farsene una ragione.

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