Saranno i tempi non più conformi, le deviazioni meteo o chissà la profonda alienazione dell’underground o i prezzi delle albicocche alle stelle, fatto sta che quel prodigio che fu Beatrice Antolini si è liquefatto per sempre, lontani i tempi di A Due e stratosferici gli allontanamenti dalle conferme che per un lasso di tempo l’avevano seguita qua e la per lo Stivale. Ed ora? Tutto finito, Vivid, l’ultimo lavoro della nostra marchigiana è un buco nell’acqua colossale, un sequel di quel orrido escamotage chiamato BioY che già era presagio sincero di una fine annunciata, di una pagina underground strappata e data in pasto al nulla.
Dischi simili funzionano nel senso opposto del piacere, tracce queste su livelli “metaqualcosa” spudoratamente declinate all’effetto immediato che purtroppo per la Antolini non arriva nemmeno se lo si affitta a buon soldo, un continuo riciclo di elementi ispirativi e di mosse già pre-esistenti per giocarli poi in manipolazioni estenuanti e di scarsissimo valore uditivo; dieci confusioni patinate che soggiacciono e guastano il ricordo di questa giovane promessa che era, e che confondono ulteriormente il già tanto confuso circuito emergente. Quello che emerge – o sarebbe meglio dire “viene a galla” – è un contorno musicale senza capo ne coda, molto radiofonico quello si ma di quei “zompettoni imbarazzanti” che farebbero la fortuna di qualche club sulla costa sud del lago di Garda nei fine settimana.
Sculettate alla B52’s, la Furtado che anela amore tra un trucco e l’altro “Open”,. “Trasmutation”, più in basso la tecnologia vibrante dell’Acid Jazz che avvampa senza prendere fuoco “Now”, la stupidità ritmata in mid-techno “Cobra” e un pochino più in disparte (menomale) la nullità corale di “Happy Europa”, anello di congiunzione tra il niente e sperpero di energia elettrica, quello che rimane dopo l’ascolto è solamente il ricordo vago di “ My Name Is An Invention”, sciarada volatile ben congegnata ma che purtroppo non può soddisfare da sola quello che un intero disco nega all’ascolto.
Beatrice Antolini devia sulla strada di un mediocre Soul-Pop, forse un ripiego o forse una ricerca di un qualcosa da cantare pur di cantare, ma quello che si prospetta agli orecchi è solo autolesionismo senza nessun significato. Peccato gli inizi erano buoni…….