Bambara Tag Archive
I migliori album del 2020 – la classifica di Silvio “Don” Pizzica
Written by Silvio Don Pizzica• 5 Dicembre 2020• Articoli
Qualcuno salvi la musica.
Continue ReadingBambara – Stray
Written by Silvio Don Pizzica• 17 Marzo 2020• Recensioni
Il nuovo album della band di Brooklyn ci mostra il fracasso dell’oscurità più inquietante.
Continue ReadingRokia Traorè – Beautiful Africa
Written by Max Sannella• 22 Giugno 2013• Recensioni
Rockia Traorè, l’artista del Mali (esiliata in Francia) non è molto avvezza – anzi quasi per nulla – a far parlare di sé o di partorire dischi a catena, le sue sono lunghe riflessioni pensate per anni, lunghi primi piani sulle condizioni del suo popolo e del resto del mondo, la sua terra è scombussolata da guerre e dalle ombre dell’Islamismo integralista; sei anni fa il suo ultimo album Tchamanchè ed ora un nuovo episodio liberatorio, Beautiful Africa, album pieno di vibrazioni energiche, una naturalezza sorprendente e coloratissima di donna libera e autodeterminata, tracce che come anelli di congiunzione legano insieme tradizione e percorsi europei tanto da apparire un arcobaleno selettivo di bellezza e pop ibrido, contaminato in un arte – la sua – imprendibile e imperdibile.
Si,Pop e roots che si abbracciano, chitarre, basso e strumentazioni di oggi incontrano lo n’goni, ritmi ancestrali che sposano l’human beatboxer , il linguaggio Bambara che fronteggia gli idiomi del vecchio continente, un tutt’uno misticheggiante di spirito che scorre come sangue nelle vene, che vola come sabbia sul cemento delle idee; disco strapieno di musicisti più o meno conosciuti come il batterista inglese Sebastian Rochford, (Polars Bears), i coristi Maliani e Mamah Diabatè allo n’goni, la chitarra di Stefano Pilla dei Massimo Volume, il basso danese di Nicolai Munch-Hansen e l’australiano Jason Singh all’Human-beatbox, certamente un parterre di rilievo per questa tenera autrice, dolce ambasciatrice di un mondo caldo e scottante, costantemente filtrato da veli jazzly, sospiri francesi e frenesie della terra madre.
La sua voce è un diamante sofferente, rugiada sabbiosa che innesca un ascolto profondo, la filastrocca amara e corale “Ka Moun Kè”, il blues arido del Mali che soffia divinità in “Kouma”, la dolcezza terribile e notturma di “N’Tèri” e “Sarama”, e lo scatto rock-pop che stilizza la titletrack sono gioielli inestimabili, fintanto che arriva di sorpresa il funk tribale di “Sikey” che strappa per alcuni secondi l’attenzione su tutto il resto, ed è allora che ti accorgi che il disco ti ha rapinato l’interiorità.
Imperdibile senza come senza ma.