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Coffeeshower

Written by Interviste

Coffeeshower: ovvero un pezzo molto importante della scena Punk Rock italiana e probabilmente, dal 1999 ad oggi, la più importante e riconosciuta band del genere di tutto l’Abruzzo in ambito Punk e Hardcore insieme agli Straight Opposition e pochi altri. Una storia che mira a diventare leggenda ma anche piena di salite, a cominciare da una line-up sempre in mutamento e che ha ruotato soprattutto attorno ai due fratelli Fausto e Pierluigi. Chi erano i Coffeeshower nel 1999 e chi sono oggi? Come è cambiato il vostro stile col trascorrere del tempo?

FAU: ti ringrazio delle belle parole, forse troppo belle (ride ndr). Onestamente in Italia non siamo così importanti, c’è senz’altro qualche amante del Punk Rock che ci segue da sempre, ma restiamo, come diceva il nostro ex bassista Emanuele (Verrocchi ndr), un “gruppo per cultori”. (ride ndr) Certo in molti luoghi d’Abruzzo ci sentiamo molto amati e apprezzati e quando suoniamo lì è come essere a casa nostra e di questo siamo sempre molto felici. La band è nata semplicemente dalla passione che io e mio fratello Pier condividevamo con Edoardo (Puglielli ndr) per il Punk Rock, i concerti e tutta la cultura che vi ruotava attorno. Da anni personalmente cercavo una forma di espressione per quel “rock’n’roll estremo ma melodico” che avevo in mente e con loro la cosa funzionò da subito. Pescavamo a piene mani dal Punk e dall’Hardcore e ci divertivamo a scrivere brani che fossero anche un po’ differenti dai cliché dei generi di riferimento. Con gli anni certo siamo cresciuti, abbiamo sperimentato strade un po’ diverse rispetto al nostro modo di scrivere canzoni degli esordi. Soprattutto dopo la separazione con Edoardo inevitabilmente il nostro stile è cambiato, lui era quello più legato a una certa scrittura più squisitamente hardcore, mentre dopo nel nostro processo creativo ha pian piano prevalso il lato più vicino al Punk Rock e all’Alternative Rock in generale della nostra “educazione sentimentale”.

A coronamento del vostro splendido percorso artistico, lo scorso anno avete pubblicato The Glory Years, album raccolta con diversi inediti. Un punto di arrivo o l’inizio di una nuova vita?

FAU: era da tempo che avevamo questa idea, visto che spesso ci veniva chiesto se avevamo ancora copie del primo EP autoprodotto o addirittura del primo demo. Ci sembrava una bella cosa riproporre tutto il vecchio materiale, demo compreso, assieme a qualche inedito che non avevamo mai avuto la faccia tosta (ride ndr) di pubblicare prima, insieme a un paio di brani nuovi di zecca che abbiamo registrato all’ACME Recording Studio di Raiano. Indelirium ha sposato da subito il progetto e così abbiamo anche noi adesso il nostro “best of…the worst” (ride ndr).

A tal proposito, girano voci di un imminente nuovo album di brani originali. Potete darci qualche anticipazione, se le voci sono da confermarsi?

FAU: senz’altro. Abbiamo praticamente finito le registrazioni dell’album nuovo. Crediamo che presto vedrà la luce, probabilmente in autunno. Ci saranno canzoni che in parte stiamo già eseguendo qua e là nei concerti e che qualcuno inizia già a conoscere, assieme ad altre davvero nuove.

FAB: abbiamo cercato di comporre l’album in modo da fotografare al meglio il nostro suono attuale, come ti diceva Fausto prima forse meno legato a sonorità tipicamente Punk Hardcore in senso stretto, ma sempre in pieno stile Coffeeshower. Spero ti piacerà quando lo ascolterai.

In quindici anni fatti di album e tour in giro per il mondo con Anti-Flag, Underoath, Taking Back Sunday, Hot Water Music, Smoke Or Fire, Chuck Ragan, Astpai, Antillectual, Atlas Losing Grip, This Is A Standoff avrete messo in cantina un’infinità di esperienze. Quale la più bella e la più importante per la vostra musica? Quale l’episodio da dimenticare?

FAB: le esperienze fatte in giro a suonare, anche quelle che apparentemente sembrano disastrose, lasciano sempre qualcosa di positivo, come un insegnamento a crescere, dal punto di vista musicale e anche personale. Non ci lamentiamo insomma (ride ndr).

FAU: personalmente ho molto rivisto la mia opinione sulle “aperture” di concerti di band importanti e sulla loro presunta utilità. Certamente dividere il palco con band grosse è sempre una cosa stimolante, hai l’occasione di incontrare personalmente musicisti che adori e anche di suonare davanti a un pubblico che altrimenti non ti avrebbe ascoltato, ma è vero anche che se a quella situazione non segue una buona promozione del nome della band, della sua musica, etc., cosa che per una band DIY è sempre un problema, alla fin fine resta solo un ricordo piacevole e non molto altro. Sicuramente comunque l’amicizia con Chuck Ragan e con gli Hot Water Music nata a seguito dei concerti fatti assieme, prima con Chuck ad inizio 2009 e poi nel 2012 con gli HWM, sono fra le cose più belle che abbiamo vissuto come uomini ancor prima che come musicisti.

Proprio pochi mesi fa siete tornati da un tour in centro Europa. Che differenze notate tra pubblico e organizzatori italiani ed esteri?

FAU: fin dal nostro primo tour abbiamo sempre lavorato in modalità DIY, facendo ovviamente una fatica bestiale  a partire dalla lunga fase preparatoria fatta di contatti prevalentemente via mail con i promoter, i centri sociali, i club, le band, etc. fino al vero e proprio viaggio per andare a suonare, con tutti i disastri finanziari che ne conseguono. Nonostante tutto però non abbiamo mai voluto far mancare alla nostra band quell’occasione di confronto con il mondo esterno. Ogni anno insomma almeno un piccolo tour all’estero deve esserci per noi, pur con tutte le difficoltà del caso. Generalmente comunque, per rispondere alla tua domanda, non abbiamo riscontrato particolari differenze tra il pubblico italiano e quello all’estero, forse fuori confine statisticamente negli anni abbiamo registrato un po’ più di attenzione e di curiosità da parte della gente che ti viene ad ascoltare, anche se per loro sei l’ennesima band sconosciuta in tour, ma ci sono sempre state serate bellissime e serate mortifere sia in Italia che all’estero. Certo quando sei all’estero in giro su un van scomodissimo e vieni da quattro serate nelle quali hai solo perso un sacco di soldi, sei stanco e malaticcio e vorresti soltanto dormire in un letto decente e succede che proprio quella sera si crea quella alchimia particolare con il pubblico di quello squat o di quel piccolissimo club di un posto lontanissimo da casa tua che non avevi mai sentito prima, beh quella è una ricarica di batterie straordinaria, è la cosa che ti fa andare avanti e che ti fa pensare di aver davvero fatto bene il tuo lavoro.

Per la prossima esibizione dal vivo ci diamo appuntamento al From the East Coast Fest di Pescara il prossimo 5 agosto. Un festival Hardcore che punta su una line-up eccelsa e che vedrà i newyorkesi H2O come band di punta. Chi ci sarà con voi e cosa dobbiamo aspettarci da un festival di questo tipo?

FAU: per noi è un onore essere stati invitati a questo festival, oltre agli H2O ci saranno gruppi leggendari dell’hardcore italiano come Strenght Approach e Straight Opposition e poi gli organizzatori hanno fatto secondo me una cosa davvero bella, quella cioè di comporre il cartellone delle band senza pensare soltanto all’Hardcore ma inserendo anche una nutrita rappresentanza Punk Rock, quasi a tirar su una vera e propria “unity fest punk-hc”: bello vero?

Avendo vissuto voi da protagonisti la nascita e lo sviluppo del Punk e dell’Hardcore, che differenze pensate ci siano tra quelli delle origini e quelli odierni? Quanto è venuto meno l’aspetto sostanziale (fatto di tematiche sociali e violenza espressiva) a favore di fattori formali (legati ad estetica e stile puro)?

FAU: quando abbiamo cominciato a suonare insieme, nel Punk e nell’Hardcore era già stato tutto scritto. Fin dalla metà degli anni 70 il Punk era già nato, morto e risorto tante volte, così come le varie ondate Hardcore statunitensi si erano già susseguite fin dagli anni 80. Ma era anche un momento in cui l’estetica Punk, la cultura dello skate, della strada, dei concerti e tutta una serie di altri elementi erano tornati in auge tra i ragazzi. Erano gli anni del “nuovo Punk Hardcore melodico”. Ricordo come quell’ondata di gruppi e uscite discografiche fosse vista dai vari recensori e intellettualoidi che si divertono a fare i sociologi quando parlano di musica come un qualcosa di vuoto, di spento, come una copia di cose già dette prima, una merda in pratica. Già allora insomma si diceva che quel movimento fosse tutta estetica e poca sostanza. Oggi però leggi ovunque che i Green Day di allora erano un gruppone e che i Nofx e i Lagwagon sono le band migliori della storia e che le band di oggi fanno schifo al confronto. Noi eravamo dei semplici appassionati, ci trovavamo con mio fratello e con Edoardo ad ascoltare insieme quella musica per tanti lunghi pomeriggi e a condividere molte cose di quella specie di “rinascimento Punk”. Partivamo e facevamo centinaia di chilometri per andare a questo o quel concerto al nord, era bello incontrare continuamente sui treni o nelle aree di servizio delle autostrade tanta gente con le Vans ai piedi e la tua stessa t-shirt che andava allo stesso evento. Si respirava un’aria di novità e di ribellione quando andavi a un festival o a un concerto in un centro sociale. Poi arrivò Genova e quello fu un brusco risveglio per molti di noi, ma parlare di questo ora sarebbe lungo e complicato. Per noi comunque fu una conseguenza naturale quella di cominciare a scrivere canzoni insieme e fare le prime prove, in tre, senza basso, in una stalla di un paese a 20 chilometri da L’Aquila dove un nostro amico aveva approntato un impianto elettrico davvero precario che a ripensarci mi vengono i brividi (ride ndr). E’ nato tutto molto spontaneamente, senza avere insomma la pretesa di poter recitare un ruolo in “scene” o situazioni che nel frattempo avevano già scritto pagine importanti. Avevamo solo voglia di divertirci a suonare e di urlare al mondo quello che avevamo dentro.

Esiste ancora una scena Hardcore tricolore? Quali sono le aree geografiche che ritenete più in fermento in Italia? Cosa distingue le band nostrane dal resto del mondo?

FAU: forse non siamo le persone più adatte per darti questo tipo di lettura, siamo sempre stati un po’ fuori dai giri, dalle scene vere e proprie, probabilmente il fatto di venire da una piccola città d’Abruzzo non ci ha aiutato a essere pienamente parte di un fenomeno che altrove stava andando avanti. Parlo di città come Roma o Milano o di altre realtà europee dove le cose erano e sono tuttora più facili di un posto come L’Aquila, anche se poi quando parli con altre band di Roma o Milano anche loro ti elencano tutte le cose che non vanno della loro città, del loro giro dei gruppi, delle sette e delle varie faide, etc. etc., ma questo è un altro discorso. Pur non vivendo insomma al centro di “scene” o situazioni più vivaci abbiamo però sempre avuto la fortuna di girare l’Italia e l’Europa per andare a suonare, abbiamo visto tanti posti e conosciuto tante persone stupende, così come tanti stronzoni. Certo non avrò mai, penso, l’opportunità di suonare tipo al The Fest a Gainesville in Florida o al Groezrock, quindi non so risponderti su come sia vivere oggi, da band, quel tipo di situazioni che viste da fuori sembrano il paese dei balocchi per chi come noi ama ancora il Punk e l’Hardcore. Posso dirti però che la sensazione che almeno nel nostro piccolo si avverte andando a suonare in giro adesso, rispetto ai nostri primi tour, è quella di un po’ di disinteresse verso questa musica e questa cultura, di grande difficoltà per gli organizzatori di concerti nel coinvolgere le persone, di grande freddezza generale purtroppo.

FAB: anche se come dice Fausto andando a suonare in giro ora si percepisce un po’ di disinteresse e di stanchezza, ci sono ancora tante persone che si sbattono per creare delle realtà nella loro città organizzando concerti e movimentando la quotidianità dei posti dove vivono. Credo che questo sia lo spirito positivo, immortale, di questo genere musicale. Quello che permette alle varie realtà di rimanere vive in questo momento di “torpore culturale”.

Quale è il ruolo sociale del Punk o dell’Hardcore oggi e quale il loro ruolo all’interno della musica Underground (o comunque non mainstream)? Credete che ci possano essere, negli anni a venire, prospettive di crescita e sviluppo del genere o lo stesso è destinato a ripetersi negli anni con lo sguardo sempre rivolto al passato?

FAU: Il Punk e l’Hardcore, pur con tutte le differenze e anche i conflitti che storicamente ci sono stati tra queste due grandi tendenze della cultura underground, sono entrambi nati dalla strada e sono linguaggi che dovrebbero parlare dritto al cuore della gente, ma è difficile farlo se questa gente non vuole ascoltarti più. Siamo onesti, un ragazzo che va a scuola oggi generalmente trova molto più interessante e stimolante un concerto Hip Hop o un dj set di un dj famoso piuttosto che un festival Punk, a volte sembra non importare più a nessuno del Punk e dell’Hardcore, almeno dalle nostre parti. E’ triste, ma bisogna fare i conti con questa realtà. Altrettanto vero è però che finché esisteranno questa attitudine, questa cultura e questi filoni musicali ad essa legati, quantomeno esisterà una “strada alternativa”, che forse un giorno i ragazzi torneranno a percorrere. Come dice Frank Turner:  “punk is for the kids that don’t fit in with the rest”. Probabilmente questo passaggio culturale un po’ buio per la cultura Punk è più evidente nella nostra Europa decadente, mentre nella tanto vituperata America le cose non stanno proprio così. Mi sorprendo ogni giorno a scoprire tantissimi nuovi gruppi che si fanno strada negli States e che pur suonando ancora con la vecchia formula chitarra, basso, batteria e 4 accordi scrivono canzoni magistrali e aggiungono sempre qualcosa di nuovo a un giocattolo che ai più sembra ormai obsoleto. Penso a band come Balance And Composure, Hostage Calm, Make Do And Mend, Pianos Become The Teeth, Captain We’re Sinking, Red City Radio, Iron Chic, Banner Pilot, solo per citarne alcuni a caso. E comunque, quello che voglio dire è che fin quando succederà che quattro ragazzi vorranno rinchiudersi in un garage per condensare tutta la rabbia possibile in una manciata di canzoni e condividerla con il mondo là fuori allora tutto questo avrà ancora motivo di esistere.

La nostra intervista si chiude qui. Vi facciamo un in bocca al lupo per la vostra esibizione in compagnia dei mitici H2O. Un’ultima cosa. Quale messaggio pensate che debba lasciare la vostra musica nella testa di chi vi ascolta?

FAU: crepi il lupo grazie! Quanto al messaggio, noi raccontiamo storie di vita, non siamo poeti o filosofi o predicatori, scriviamo solo canzoni e le condiamo col nostro suono, ci piace suonare con gli ampli a palla e con la batteria che non si ferma mai e se tutto questo fa anche divertire chi ci sta ascoltando allora è una cosa bellissima.

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