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Stefano Bartalesi – Mezzovòtomezzopieno

Written by Recensioni

Parto prevenuto su questo disco, perché Stefano Bartalesi, che firma tutte le musiche di Mezzovòtomezzopieno, è un chitarrista: scopro dai credits che suona “chitarra acustica, dobro, mandolino, lapsteel elettrica”, e che è circondato da una band, batteria basso chitarra voce. Già mi immagino un disco fintamente colto, roba simil-Jazz o quasi-Classica. “E dai, spariamocelo”. Lo infilo in auto mentre sto andando a grigliare allegramente per il Primo Maggio, sfrecciando perduto in una campagna assolata. E Mezzovòtomezzopieno mi sorprende.

Già dal primo pezzo, “Solo Amore”, stranissimo brano uptempo sulle orme di Battisti, con un testo che non brilla ma di cui posso tranquillamente ignorare le parole per concentrarmi sulla linea vocale retrò e sulle ritmiche ballerine. Proseguo con la title track, e inizio a notare il doppio binario che caratterizza il disco: brani cantati, più “popolari”, affiancati da brani strumentali (lunghi brani strumentali), in cui Bartalesi sviluppa le sue doti chitarristiche e il suo talento compositivo. A questi ultimi appartiene “Mezzovòtomezzopieno” (la traccia), ossessivo e ritmico danzare di dobro, basso e chitarra elettrica. Più avanti, “Urlo” continua la sequenza strumentale, per poi farci approdare a “Se Chiedi”, cantata, dove si arretra un po’ rispetto alla sorpresa iniziale (è un pezzo effettivamente più classico, dove la voce di Andrea Bacchi, invece di stupire, si ritira su posizioni più impostate e decisamente meno interessanti). A seguire “Dobro Jutro” e “Aria”, cavalcate  strumentali, “I Giorni”, cantata (più intimista, col solo accompagnamento di Bartalesi alle chitarre acustiche, dobro e mandolino), e di nuovo le lunghe strumentali “Lo Scoglio” (molto orecchiabile) e “Picture In A Picture” (in cui le acustiche, il dobro e la lapsteel si inseguono tra riff catchy e suoni pizzicati ruvidi e molto naturali).

Dopo aver grigliato, bevuto e digerito, torno in auto per ri-godermelo nel ritorno campestre. E metto sicuramente più a fuoco ciò che di questo disco non funziona. Lo sintetizzerei così: c’è talento, ma non c’è sforzo. Se c’è, doveva essercene di più. In che senso? Nel senso che Mezzovòtomezzopieno sembra un patchwork, un mostro di Frankenstein. E, anche se per alcuni versi questo è un bene (l’equilibrio – sebbene precario – tra musica strumentale e “virtuosa” ed episodi più popolari e di facile ascolto pare reggere anche al secondo passaggio), il resto fa sembrare questo disco un’accozzaglia di brani (anche piacevoli) messi assieme un po’ per caso e buttati lì come esercizio compositivo/virtuosistico. Non c’è qualcosa che leghi i brani tra loro (e se c’è non si nota), e in più si respira un’aria di approssimazione (qualche errore ritmico di batteria impossibile da non notare, il booklet in cui manca un titolo, i testi non eccelsi – anzi…).

Concludendo: il disco è ottimo per scampagnate ad alto volume, o anche per tuffarsi senza troppi pensieri in mari di corde, istintive e grezze, ma anche immediate e, stranamente, non noiose. Per cercare qualcosa di più, o aspettate il prossimo lavoro del Bartalesi, sperando che sia più ragionato e meno “di pancia”, oppure navigate verso altri lidi (che non mancano).

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Albedo Una Sonora Lezione di Anatomia

Written by Interviste

Gli Albedo sono certamente una delle band più seguite e ben recensite di questo ultimo periodo, il loro disco Lezioni di Anatomia sembra essere davvero una figata. A questo punto abbiamo deciso di interpellare il frontman della band Raniero per vedere quanta verità ci fosse dietro questo fenomeno, il risultato è una bella chiacchierata tra Dente che incarna Battisti, ri(e)verberi esageratamente abusati, promoter sbagliati e osterie romane… buona lettura.

Gli Albedo pubblicano Lezioni di Anatomia, il terzo lavoro ufficiale, è quello giusto?

E’ solo un disco. Quando scrivi i dischi pensi che sia sempre quello giusto. La cosa migliore che tu abbia mai fatto. Poi magari te lo risenti ad un anno di distanza e non ti piace più. Sicuramente qua abbiamo dato un taglio piuttosto preciso e cercato di dare un colore uniforme.

Un disco molto intimo, le parti del corpo che cercano di farsi sentire dall’uomo, geniale l’effetto della voce per dare una sensazione di interiorità a chi ascolta, come nascono queste diavolerie?

Il fatto di scegliere a priori un argomento su cui lavorare ci stimola nello svolgere il tema, e non facendo i musicisti di professione e avendo sempre meno tempo da dedicare, credo che ci aiuti a restare concentrati e a trovare ancora delle cose belle in quello che facciamo al di fuori della routine. Anche la scelta dei suoni in fase di mixaggio soprattutto sulla voce l’avevamo già ampiamente discussa tra di noi proprio con quella idea di volerla in un qualche modo renderla innaturale, impersonale, lontana con l’aiuto del reverbero, effetto di cui molto probabilmente abbiamo abusato. Per fortuna abbiamo trovato Adel (il fonico) che si è prestato a quello che per molti potrebbe suonare come un errore.

Testi bellissimi e importanti, colonna vertebrale del disco, la loro creazione segue delle linee precise?

Grazie, non per questo disco. Abbiamo negli anni trovato le nostre formule per scrivere ma oggi come oggi per fortuna trovo delle linee vocali su quasi tutto quello che scrivo, forse perché ascolto tante cose e rubo un po da tutte le parti senza farmi troppi problemi.
Il testo è comunque condizione fondamentale nello sviluppo del brano. Suoniamo gli arrangiamenti in funzione di quello, oppure esattamente al contrario ma non cerchiamo mai di adattare forzatamente l’uno all’altra.

Io vi ho trovato molto post rock con attitudine pop, un genere direi innovativo, molti avrebbero scelto la lingua inglese, voi perché avete scelto l’italiano rischiando e non poco sul risultato finale?

Direi che ci hai preso in pieno. Il pop, inteso come forma canzone e comprensibilità dell’insieme fa parte di noi tutti da sempre. Non abbiamo velleità di sperimentazione alcuna e poi non ne abbiamo le capacità tecniche. Non ci interessa stupire con parti complesse. Ci piace cercare di suonare bene e rendere le parti strumentali interessanti ma non necessariamente prolisse o fini a se stesse. Nella fase di scrittura ho ascoltato molto quello che viene definito post rock ma adattarlo ad una tradizionale forma canzone sarebbe una bestemmia per il genere in sé ed il risultato è quello che c’è in questo disco. Se ci pensi bene i nostri brani potrebbero reggere tranquillamente con una chitarra e voce e così vogliamo che sia. Però non fateci fare più date in acustico perché siamo già abbastanza depressi di natura.

C’è anche un evidente omaggio ai Beatles (A Day in The Life) nel pezzo Stomaco, un legame speciale con le loro canzoni o soltanto una questione di gusto del sound?

Chiunque suoni ha un legame con loro. Al di la di tutto quello che si può dire e che è stato già sicuramente detto, credo che l’attualità del testamento che hanno lasciato alle generazioni future sia soprattutto l’idea di cui parlavamo prima, cioè dell’accessibilità. Quell’incredibile dono per cui quello che scrivi è universalmente riconosciuto straordinariamente bello da tutti. Donne, uomini di qualsiasi età. Non ci piace l’idea che ci si debba chiudere in un genere e cercare di essere riconosciuti in “questo” o “quello”. Per questo aspetto mi sento molto più legato a loro che a tanti gruppi a cui musicalmente siamo più simili. Naturalmente parlo di attitudine e non di risultati artistici. Sapevamo di farla fuori con questa citazione pesante ma noi abbiamo sempre scritto senza il dover pensare al dopo.

Cosa è cambiato dalle precedenti produzioni? Vi sentite artisticamente diversi?

Ci piace pensare di essere maturati,almeno un pochino. Ci piace anche cercare di fare qualcosa di diverso probabilmente perché le cose che facciamo ci stufano presto. A dire la verità, e lo penso sul serio, non crediamo di essere un gruppo fico. Non risento quasi mai i nostri dischi. Non mi piacciono. Semplicemente penso che non siamo tanto peggio di tanti altri. Quando leggi ovunque che Dente è il nuovo Battisti, everything is possible. Albedo i nuovi Bee Hive? Ci sta tutta.

Tutte le recensioni parlano bene di Lezioni di Anatomia, siete consapevoli di aver fatto un ottimo lavoro? Considerando il post di Miro Sassolini che definisce il vostro disco il migliore in circolazione in questo periodo?

Ai gruppi come noi rimangono solo tre cose: le pacche sulle spalle alla fine dei concerti accompagnate da un fragrante “Bravi, cazzo”, i messaggi e i post su facebook dove per fortuna ci insultano ancora pocome le parole di persone che ascoltano tantissimi dischi e che rimangono entusiasti dal nostro e ci danno le 5 stelle Michelin. Certo quando poi ne arrivano di belle da chi ha scritto una parte di musica alternativa italiana allora è tanta roba, perché è interessante scoprire che interessi anche a generazioni musicali differenti in tutto e per tutto,persino e soprattutto in termini fruizione. Questo ovviamente fa onore a lui e non a noi, che come generazione facciamo poco parlando tanto.

Adesso è il tempo di montarsi la testa?

Adesso è il tempo delle mele.

Sono a conoscenza della prossima uscita del video “ufficiale” di Cuore (l’opener di Lezioni di Anatomia), volete parlarci del video?

Un giorno mi ha chiamato Fabio Valesini, mi ha detto che non aveva mai fatto un videoclip musicale, che aveva uno storyboard dove succedevano cose che non si capivano, che era girato tutto al contrario ma montato dritto ma che poi alla fine il risultato sarebbe stato metà e metà, che c’era una scena con delle radiografie che si animavano, e che avremmo dovuto procurarci un carrello della spesa perché con il budget che gli era stato dato non ci prendevamo nemmeno una sedia di legno.
Come potevamo dirgli di no?
Ed in effetti il risultato è sopra ogni nostra aspettativa,come ogni idea malsana che si rispetti.

Gli Albedo quale ruolo potrebbero ricoprire all’interno della musica italiana?

Ci siamo abituati all’idea di essere marginali. Uno di quei gruppi che fa 34 dischi ma li scopri al 33. Quello che facciamo ha bisogno di maturare nel tempo. Il fatto è che non siamo abbastanza originali per spiccare e non siamo abbastanza stronzi per farci odiare… Non ci tingiamo i capelli, non siamo omosessuali, non siamo intellettuali, non ci vestiamo con gli stracci e non viviamo nei furgoni. Non fingiamo di essere quello che non siamo. Menchemeno ci dichiariamo artisti quando tra 4 o 5 anni nessuno si ricorderà più di noi. E nemmeno di tutti gli altri. I tempi sono cambiati. Ci sono troppi dischi e troppi gruppi per cui alla fine non emerge nessuno davvero. E se lo fa, lo fa per un tempo assai breve. Non possiamo essere tutti i Joy Division, dai,siamo seri. Noi  abbiamo una casa, una famiglia un lavoro. Le nostre scelte le abbiamo già fatte. Per questo forse nei nostri dischi c’è una buona dose di realismo. Certo un’ampia cassa di risonanza ci aprirebbe ad un pubblico più grande, ma poi perderemmo il fascino degli eterni incompresi e non sarebbe più divertente per noi lamentarci e parlare male di tutti gli altri.

Avete un disco da promuovere quindi presumo un tour da onorare, c’è qualcos’altro che bolle in pentola?

La verità è che a suonare in giro ti diverti molto solo quando la situazione è perlomeno decente. Quando trovi realtà assurde a 700 km da casa la prima volta ci ridi, la seconda spacchi un disco de I CANI, la terza ti chiedi se ne vale la pena di fare tutta quella strada. Proprio perché abbiamo scelto di suonare solo per divertirci se andiamo a suonare ed è tutto una merda non ci andiamo più. Quindi faremo meno date ma meglio organizzate. Non perché pensiamo di meritare chissà cosa ma è perfettamente inutile per noi andare fino a Bari in un locale che di solito fa suonare cover band al cui pubblico non interessa nulla di noi, perché il promoter non sa fare il suo lavoro. O suonare con la chitarra acustica mentre la gente mangia manco fossimo nelle osterie romane.
Onoro e rispetto chi fa quello ma non è quello che vogliamo fare noi.

La scelta di affidare il disco ad una nuova e freschissima etichetta (V4V Records) è stata una buona idea?

Potrei trollare quei deficienti qui ed ora per diciassette minuti di applausi ma ti dico in verità che trovare persone che investono cosi tanto in un progetto come il nostro facendolo bene, è ad oggi in pratica impossibile.
Ci perdono soldi ma soprattutto tempo. Lo sanno e lo fanno consapevolmente. Se ci pensi è assurdo. Allora quello che ci lega davvero sono le stronzate che ci scriviamo in chat e l’idea di condividere insieme qualcosa di tanto nostro quanto loro. Va oltre le aspettative di vendita o di successo mediatico. Posso solo dire che se avessero i mezzi e fossero persone come loro a capo di importanti case discografiche non staremmo adesso nella situazione in cui siamo. La competenza in questo settore sembra essere una chimera.

Adesso che siete ricchi e famosi e scopate da Dio potete dire tutto quello che vi passa per la testa, questo è il vostro spazio…

Se questo fosse il mio spazio direi a tutti i lettori di non drogarsi e di avere rispetto per gli alberi e di non farli pisciare dai cani. Comunque come tu sappia certe cose rimane per noi un mistero.

 

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