I Before Cars arrivano ad incidere How We Run, il loro terzo disco, sia chiaro, loro sono una band di livello internazionale, i Before Cars sono l’attuale band di Chad Channing. Avete letto bene, Chad Channing, uno dei migliori batteristi del giro di Seattle, l’ex batterista dei Nirvana. Quello che ha suonato la quasi totalità di Bleach, penso che adesso abbiamo capito tutti di quale razza di mostro stiamo parlando. Il disco esce in Europa per Deambula Records, etichetta che ancora una volta conferma grandi potenzialità e distinti gusti raffinati in fatto di produzioni. Ma veniamo all’album, entriamo in sintonia con questa grande lezione di Folk Pop poco convenzionale. How We Run inizia e si ha la sensazione di volteggiare nell’aria leggeri, quei violini sembrano carezze per l’anima, poi le chitarre esplodono (“Listen To Me”). L’ambiente è tutto in questo genere di musica, o meglio, bisogna immaginare una situazione surreale, da confine tra sogno e realtà. “Trip To Mars” è un vero e proprio Trip, non esiste cognizione mentale, lussuriosa e similmente pinkfloydiana, che è tanta tanta roba. Musicalmente questo dei Before Cars è ineccepibile, indiscussa la tecnica ed il valore dei musicisti, oltre al reverendo Chad Channing (voce, chitarre, batteria) fanno parte della band Andy Miller (basso, piano), Paul Burback (voce, chitarre) e Justine Jeanotte (violino). Trovo i suoni di chitarra davvero interessanti soprattutto nelle sottolineature acustiche, sembrano aprire un profondo solco che subito viene cauterizzato dal violino. E che violino, ne parlavo prima, da brividi. Le chitarre sembrano milioni di farfalle in volo, ho questa sensazione mentre sento armonizzare la voce di Channing in “Catch You When You Fall”. Una sorta di Indie Rock anni 90, ovviamente internazionale avvolto da una bandiera a stelle e strisce, e quello che si viene a materializzare quando il disco assume una venatura decisamente più Rock in “Everything I do”. Linee di basso dritte e meticolosamente martellanti, non è Italia ragazzi. Ancora qualcosa di diverso, qualcosa di molto cantautorale e più popular, molto anni 70, un altro momento storico sognante, questo accade quando la chitarra acustica accompagna una reminiscente “Last Times”. Poi tutto continua fino alla fine mantenendo sempre la stessa spiccata personalità, voglio menzionare “Gas Stop”, è quasi un obbligo morale farlo. How We Run è un lavoro che indubbiamente viene fuori da un’altra epoca, come suoni, come struttura, come tutto. Il problema non da poco è: come può mantenersi così attuale nonostante non lo sia? Semplicemente perchè è un grande disco e i Before Cars sono una grande band. La musica di spessore non teme epoche, cambiamenti, mode, i grandi dischi ti si attaccano al cuore. How We Run colpisce dritto come pochi, non è che per caso sono italiani? … no eh?
Bleach Tag Archive
Before Cars – How We Run
Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Ottanta
Esiste un decennio più controverso degli anni 80? Ed esiste un modo peggiore di iniziare un articolo che con due domande retoriche? Ovviamente (altrimenti non sarebbe una domanda retorica) la risposta è no in entrambi i casi.
Gli anni Ottanta per gli ultra trentenni come me sono gli anni più straordinari che ci siano, quelli vissuti nel pieno della fanciullezza ma che avremmo navigato magicamente anche nella decade seguente, per l’ovvio ritardo con il quale il nostro paese ne ripresentava le tendenze, anche cinematografiche e musicali. È stato per noi il decennio ammaliante che ci ha fatto diventare quello che siamo, straordinario e favoloso perché, pur se ben saldo nella memoria, ha un sapore di tempi antichi, passati, andati per sempre. Dieci anni in sospeso, ambigui che nella musica ma anche nel cinema, nella moda, nel costume, nella politica, in tutto insomma, hanno toccato gli estremi più lontani che si potessero immaginare.
Erano gli anni di “Video Killed the Radio Star” e quelli di “Luna”, di “Enola Gay” e di “Gioca Jouer”, di Falco e Miguel Bosè, di “Vamos a la Playa” e “Vacanze romane”, gli anni di Raf, di Madonna e i Duran Duran, di “Take on me” e Gianna Nannini, de “La Bamba” (la canzone), Nick Kamen e Jovanotti che faceva il verso ai rapper americani e poi Francesco Salvi con le sue canzoni ultratrash. Gli anni 80 sono stati per molti la decade trash per eccellenza e anche se tanta della sua spazzatura oggi è considerata oggetto di culto, fu anche un decennio colmo di musica eccezionale. La nostra classifica prova a darvene un esempio.
Al primo posto si piazza Bleach l’album che non solo ci consegnò una delle più grandi band e dei più amati, imitati e adorati cantanti di sempre, una leggenda vera ma pose anche le basi per una delle ultime rivoluzioni del Rock che esplose poi nei 90. Subito dietro i Sonic Youth, capaci di prendere l’eredità dei Velvet Underground e adattarla ai nuovi tempi (grazie anche all’esperienza con Glenn Branca e Rhys Chatam) e un’altra formazione clamorosa, The Smiths, tra le più rappresentative del suo tempo grazie anche a un frontman dal fascino indiscusso. Buon piazzamento per Curtis e il suo Closer, ponte metaforico tra due diverse epoche e ottima doppietta per gli eredi (in parte) Cure con Disintegration e Pornography. Sorprende la presenza di ben due dischi italiani i quali, se certamente non avranno avuto un ruolo primario nella storia della musica mondiale, per il nostro paese hanno suonato come uno stravolgimento incredibile della realtà. Due album profondamente diversi ma dalla potenza espressiva non dissimile, Affinità-divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi del Conseguimento della Maggiore Età dei CCCP e Franco Battiato con La Voce del Padrone. Chiudono altre due sorprese, Tom Waits e i Dinosaur Jr mentre restano purtroppo fuori dalla top ten a malincuore e per pochissime preferenze di differenza capolavori come Zen Arcade (Hüsker Dü), The Stone Roses, The Joshua Tree (U2), Thriller (Michael Jackson), i Duran Duran che disperdono i voti tra Rio e l’omonimo e tanti altri. Peccato anche per l’assenza di Pixies, Talking Heads e Metallica ma le classifiche sono sempre difficili.
Diteci voi, chi non doveva mancare? Chi non avremmo dovuto inserire? E vi piace il primo posto?
1. Nirvana – Bleach
2. Sonic Youth – Daydream Nation
3. The Smiths – The Queen Is Dead
4. The Cure – Disintegration
5. Joy Division – Closer
6. CCCP – Affinità-divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi del Conseguimento della Maggiore Età
7. Franco Battiato – La Voce del Padrone
8. The Cure – Pornography
9. Dinosaur Jr – You’re Living All Over Me
10. Tom Waits – Rain Dogs
“Diamanti Vintage” Nirvana – Bleach
Doveva esplodere, ed esplose. L’America delle crisi finanziarie, le guerre da mantenere, il disadattamento della società multietnica e le angosce giovanili presero fuoco, e la tranquilla Seattle in quel di Washington State divenne l’occhio del ciclone grunge, la rivoluzione musicale che scaraventò letteralmente i ricordi R’N’R in soffitta. E questa ribellione mastodontica, della quale il mondo ne avrebbe parlato fino ai suoi tragici eventi è stigmatizzata in “Bleach” (candeggina) dei Nirvana capitanati da un poeta maledetto e dolcissimo, Kurt Cobain, il disco più influente di quegli anni, e da cui il poi conclamato Movimento Grunge ne trasse linfa, panacea e ispirazione per via della sua disperazione elettrificata, quella ossessione destabilizzante di precarietà sociale che infiammò il già labile cosmo giovanile mondiale.
Camicie di flanella a quadrettoni indossate alla rinfusa una sopra l’altra, anfibi e jeans strappati furono le divise distintive di quell’epoca, come del resto pogo, urlo e distorsioni malvagie nella musica, musica esasperata, dolorante. Malata e con tutte le mostrine della rabbia in primo piano; Bleach ed i Nirvana portarono l’occhio dell’internazionalità in quella cittadina, quella Seattle che mai si sarebbe aspettata tanta pubblicità “mai chiesta dai benpensanti”, e la forza magnetica della nuova ventata fece nascere molte band e altrettante filosofie ribelli che però si esaurirono nel giro di pochi anni, tra disgrazie e rese.
Amplificatori a palla, pedaliere affumicate, giugulari turgide e sudore spasimante furono i connotati di questo disco pioniere, una folle esuberanza che finì per travolgere tutto e tutti, una valanga di domande sonore e malessere mentale e corporeo che si rintracciano in tutta la tracklist, quell’isterica collettiva che – con ancora i fili abrasi e penduli di uno screamo punk – graffiano, masturbano e fanno a pezzi “Blew”, “School”, “Negative creep”, “Swap meet” mentre con “About a girl” la malinconia agra prende il sopravvento, ma è solo una questione di pochi minuti, poi tutto ritorna a deflagrare come in una stupenda guerra di sensi riottosi.
Non un disco, ma Bibbia col jack.