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Lume: nuovo video e date del tour

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“Domino” è il video che accompagna il nuovo singolo dei Lume, il progetto di Franz Valente (Il Teatro degli Orrori), Anna Carazzai (Love In Elevator) e Andrea Abbrescia che ha pubblicato l’anno scorso l’omonimo disco di debutto (Blinde Proteus, 2014) da cui è tratta questa traccia. Il videoclip nasce da un’idea del grafico e illustratore eeviac e dei Lume; lo stesso eeviac ha poi curato la regia, le riprese e il montaggio. I protagonisti del video sono Tommaso Mantelli (Capitan Mantell) e Anna Carazzai. Così i Lume raccontano il clip: “’Domino’ racconta la dipendenza verso una persona, confrontando certi rapporti umani a una storia di droga. Quando siamo legati a qualcuno che ci fa stare molto male ogni giorno ci ripetiamo che le cose miglioreranno e che da oggi sarà tutto diverso. Poi ad un certo punto qualcosa o qualcuno crolla sotto il peso della sofferenza, a meno che non si abbia la forza di prendere in mano la situazione. Questo in ‘Domino’ non accade e così dopo l’arrivo di una donna luminescente che rappresenta la possibilità di cambiare ci ritroviamo punto a capo in un altro giorno, mentre il video va al contrario”. “Domino”, dopo “Lucky Number”, è il secondo video dei Lume tratto dal loro lavoro d’esordio. Un disco chiaroscurale, che costruisce traccia dopo traccia un gioco di contrasti fra luce e ombra in un’atmosfera a base di riff chitarristici mantrici e atmosfere magiche. Il tutto sorretto da cambi di dinamica repentini e melodie incantevoli.
Dopo l’uscita del nuovo video i Lume completeranno a settembre il loro tour che fino a qui, li ha visti impegnati in lungo e in largo in Italia negli scorsi mesi

10 Luglio – Mediterraneo, Roseto degli Abruzzi
13 Luglio – Mira on Air Festival, Mira (VE)
14 Agosto – Rock your Head Festival, Pescara
6 Settembre – Festivalbanda, Bergamo

L U M E – D o m i n o from eeviac on Vimeo.

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Herba Mate – The Jellyfish Is Dead And The Hurricane Is Coming

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Con la ristampa in 200 esemplari in vinile  di questo bel disco del 2009 “The Jellyfish is dead and The Hurricane is coming” della band ravennate Herba Mate da parte della Blind Proteus di Simona Gretchen, tornano ad esalare i nuclei originari dello stoner desertico, avido di dolcezza e dipendente dalle sabbie aride e granulose di Kyuss e QOTSA, quelle belle desolazioni compresse e amplificate che evocano riti senza tempo e macerie fumanti di deliri post-qualsiasi cosa.
L’alchimia della band è insaziabile, si alimenta su basamenti ed ingredienti dilatati, massicci e stordenti, un rombo costantemente oscuro che erutta senza abbellimenti atmosfere percussive e cupi motori ipnotizzanti tra riffs e pelli esangui, un acido e sinistro incedere che è poi un crescendo inesorabile di subliminali ricerche che mordono tutta la tracklist, una sequenza di dissonanze e frequenze high level impressionante; certo è una ristampa con qualche nuovo innesto effettato, un disco da ascoltare dopo una nottata di baldoria come sustain sonoro all’infinito, privo dell’arroganza di insegnare qualcosa di nuovo, ma che tutto sommato riesce a rimettere insieme una eco degli anni Novanta inestimabile nella sua giusta devastazione d’ascolto.
Il marchio di fabbrica Herba Mate è incrollabile, avvolge arcani profondi e affascinanti, primordiale nel morso e beatificante nelle  evoluzioni esplosive, buone le chitarre e il suono vintage valvolare che griffa l’orecchio e animo, animo che ribolle nelle cavalcate psichedeliche di “Imargem”, nello shuffle settantiano che corrobora “Aragosta vs Panther”, animo che si stordisce nelle allucinazioni offuscate che rimbalzano in “Nicotine” o nella tribalità malefica che echeggia tra le volte di “Bugs”; è un disco stratificato, organico e tutto d’un pezzo, perfetto nell’esprimere il sottovuoto arido delle grandi dissolvenze elettriche, e che coglie in pieno – anche da sobri – l’urgenza oppiata dello stoner più puro e della lisergia in musica “Sputnik”.
Passa il tempo ma rimane ancora bello come una tempesta di fuoco.

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Elettrofandango – Achab

Written by Recensioni

Nuova  coltellata sonica per i veneti Elettrofandango, “Achab”, sette stilettate che prenotano la Los Angeles a cavallo 70/80 regno della violenza urbana, culla del vaticinio hard-core dei Black Flag e di quell’eterno giovanotto intellettuale e occhialuto chiamato Henry Rollin, dunque la potenza di questo lavoro non sgrana d’un millimetro le aspettative aggressive e giaculatorie di un prodotto “prodotto” per far fibrillare ascolti e nervi al massimo della tensione.

Racconti, incubi, veemenze e pedaliere sconquassate fanno arredamento in questo disco che, nonostante momenti violenti e sostantivi sonici, rimane fruibile e fa emergere una certa dose di personalità sgolata, fervida nelle liriche e avvelenata nell’esecuzione frastagliata; è un disco che si immerge nei flutti marini, dentro voragini e risacche tempestose, mare inteso come chiazza d’acqua dalle proporzioni di una guerra in cui combattere le asperità della vita, dell’esistenza e del moto perpetuo dell’idiozia umana e dell’uomo singolo, insomma del quotidiano come presa diretta di disillusioni.

Dicevamo onde e risacche che urlano e si leccano ferite non rimarginabili, furore e dolcezza urticante che si confrontano da vicino, in una list accentuata da sonorità diverse ma parentali, la tribalità stoner “Antro di Achab”, l’eco post-rock di reminiscenze che riporta lontani ed italianissimi Santo NienteNessuno”, il caos tondo che – tra prog e matrici speed – vessa la bella”Denti” o il funesto trombeggiare che “accompagna” in un solingo incedere “Relictual”, praticamente schianti e vuoti d’aria che diventano degni sigilli di garanzia per una band che colpisce e suggestiona al primo giro di giostra, sin dal primo infuocare di jack.

Le deliranti visioni degli Elettrofandango guardano in faccia il dolore, i vuoti a perdere e gli acidi pensieri delle notti fonde, e guai a parlare di incontro con questa cinquina sonora, piuttosto una “bella collisione” con chi del rock ne mette in aria le vene pulsanti; Achab, veramente un disco con i contro cazzi e per questo lunga vita e – è  proprio il caso di dirlo – in culo alla balena!

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