Questa volta il video della settimana è diverso dal solito, questa volta il video della settimana è un live dei Fiori di Cadillac presso gli studi di Casa Lavica Session, “I Fantasmi”. I Fiori di Cadillac hanno appena vinto lo Streetambula Winter Session dedicato al ventennale di Acidi e Basi dei Bluvertigo. Buona visione.
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Il Video della Settimana: Fiori di Cadillac – “I Fantasmi” (Live)
Un concorso gratuito per i vent’anni di Acidi e Basi
Dopo la compilation prodotta nel 2014 dedicata al grande Jeff Buckley, QB Music continua a voler omaggiare artisti che appartengono al suo Dna più che mai variopinto ed eclettico. Per il 2015, in occasione del ventennale dell’uscita del primo disco dei Bluvertigo, QB Music, studio di registrazione e etichetta milanese, produrrà una rivisitazione completa ed eretica di Acidi e Basi (1995), dove ogni canzone verrà interpretata da un artista (o una band) diverso. Attraverso il concorso Vent’anni di Acidi e Basi, in collaborazione con ROCKAMBULA WEBZINE, QB Music dà la possibilità ad un massimo di dieci band o artisti emergenti di partecipare al progetto. Lo spirito del tributo è di far riarrangiare brani a band o artisti che ne diano la loro personale versione, ognuno secondo la propria sensibilità: QB Music promuove la diversità musicale e l’originalità della proposta, oltre, ovviamente, alla qualità creativa e tecnica. L’iscrizione al concorso è gratuita. Le candidature devono essere inviate via mail a demo@qbmusic.it entro il 01 dicembre 2014. Tra i premi: ore di registrazione, sconti sui servizi di QB Music e un pacchetto promozionale a cura di Rockambula.
Vuoi partecipare?
Scarica il regolamento completo del concorso:
http://goo.gl/POnwBl
Il video della settimana: UMMO – “Destino”
E dopo una strepitosa ondata promozionale in radio, dopo oltre 8000 passaggi su oltre 400 emittenti di tutto il circuito indie italiano, gli UMMO atterrano anche in VIDEO. Firmato dalla regia della Ro Film di Pescara, da oggi il singolo “Destino” è anche un VIDEO. Un’esplosione di immagini incalzanti ed eccentriche che ben si accostano alla musica degli UMMO. Il presente digitale contaminato da elettro-pop anni 80/90 che ci riporta alla mente i più famosi Bluvertigo o i più gloriosi Decibel, strizzando l’occhio anche alle sonorità dei Muse. Nasce così l’ispirazione per un singolo inedito di una nuova realtà artistica che dalla piccola provincia vuole raggiungere il “resto del mondo”.
Ummo: finalmente il video
“E dopo una intensa ondata promozionale in radio con oltre ottomila passaggi su oltre quattrocento emittenti di tutto il circuito Indie italiano, gli Ummo atterrano anche in video. Firmato dalla regia della RoFilm di Pescara, da oggi il singolo “Destino” è anche una clip. Un’esplosione di immagini incalzanti ed eccentriche che ben si accostano alla loro musica. Il presente digitale contaminato da Elettro Pop anni 80/90 che ci riporta alla mente i più famosi Bluvertigo o i più gloriosi Decibel, strizzando l’occhio anche alle sonorità dei Muse. Nasce così l’ispirazione per un singolo inedito di una nuova realtà artistica che dalla piccola provincia vuole raggiungere il “resto del mondo”. In Autunno il disco. Per ora il singolo “Destino” ha ancora tanto da dire e lo fa con un video che incornicia grinta e originalità immerse nel mondo onirico e folle degli Ummo.”
Fluon – Futura Resistenza
Come se doveste aprire una medicina vi invito a leggere queste indicazioni prima di ascoltare il disco dei Fluon.
1) Questo lavoro non ha nulla in comune con i Bluvertigo se non il fatto che sotto la sigla Fluon si nasconde Andy che non ha mai smesso di darsi da fare dopo la seconda ibernazione del gruppo di Monza; se vi farà piacere al massimo consideratelo la sua naturale “evoluzione” (che è anche il titolo della opening track);
2) Se non vi piace la musica elettronica potete tranquillamente starne alla larga, ma se la adorate maniacalmente non ne potrete più fare a meno;
3) Se non amate il Kraut Rock stile Kraftwerk questo non è un articolo per voi; i Fluon possono essere considerati infatti i loro pronipoti.
Detto ciò, possiamo proseguire che troverete tante influenze in questo lavoro, in primis i Depeche Mode, per cui Andy è in fissa da sempre, pur mancando forse quel dualismo Gahan / Gore che contraddistingue il sound e la musica dei tre di Basildon. Tuttavia lo spettro dei suoi tre ex compagni di avventura (Morgan, Livio e Sergio) si fa abbastanza evidente in pezzi quali “In Verità vi Dico” e “Dove si Comincia” e l’interrogativo più frequente che ci si pone è come avrebbero suonato tali canzoni se i quattro di Monza vi avessero lavorato assieme… Spezzo però una lancia a favore dei suoi tre nuovi compagni di avventura, Faber (synth, programmazione), Fabio Mittino (chitarre) e Luca Urbani (voce, synth) i quali svolgono il loro compito egregiamente. I Fluon hanno comunque un talento smisurato, soprattutto se confrontato ai tanti surrogati che ci propongono i vari Talent Show e manifestazioni canore quali il Festival di Sanremo. Qualcuno di voi probabilmente se ne era già accorto quando parteciparono al tributo a Enrico Ruggeri, “Le Canzoni ai Testimoni” con cui lasciarono già un segno della loro bravura riproponendo la sua hit “Polvere” persino in coppia in un videoclip col noto cantautore / scrittore / presentatore milanese. Dieci tracce insomma in totale che potrebbero impressionarvi facilmente, soprattutto per il contrasto che si crea fra apertura elettronica e chiusura in grande stile con un lento quale “Buio”, che permettetemi il paragone, mi emoziona tanto quanto quella “Somebody” dei Depeche Mode soprattutto nel finale dove il sax e la chitarra si incastrano perfettamente tra loro. Davvero un esordio all’insegna della classe e della raffinatezza!
I Cani 16/11/2013
Non sono mai stato un fan sfegatato dei romani I Cani, anzi, conoscevo appena un brano tratto da uno split realizzato con i simpatici e altrettanto grandi Gazebo Penguins. Eppure la possibilità di assistere a un loro concerto mi ha smosso un inquietante entusiasmo. Sarà stato merito di quell’unico pezzo di cui accennavo in precedenza? Chissà…
In un Pin Up pieno a metà assistevo ancora tiepido alla performance del gruppo di apertura, i Testaintasca, quartetto capitolino e piacevole e inaspettata sorpresa che ha interagito meravigliosamente con il pubblico presente, sfoderando uno dietro l’altro i migliori colpi del repertorio, compresi alcuni brani del loro ottimo esordio, Maledizione! da “Un Minuto Duro” fino a “Maledizione!” passando per “Sai che c’è”, “Cazzi Tuoi”, “Collaborare”, “Blu”, “Settembre”, “Grazie al Cielo”, “La Musica (Mi Piace Tanto)”. Dopo mezzora di live il palco si svuota, avvolto dalla penombra e da un suono che ricorda le astronavi della pellicola Independence Day. Silenziosi, senza nessuna altezzosità, i quattro ragazzi si sono posizionati ai loro posti di combattimento. Il primo colpo diretto e micidiale è stato dettato dalla batteria metronomica di Simone, che scandiva l’opening di “Come Vera Nabokov”, una canzone viscerale e a tratti romantica, la summa della loro proposta musicale.
Una a una, come da una Gatling, sono partite le altre tracce in uno spettro sonoro che racchiudeva molte song tratte dall’ultimo Glamour senza rinunciare ai classici come “Hipsteria” o “Velleità”. Menzione particolare va anche al brano citato in apertura di questa recensione,“Asperger”, delirio elettronico dai toni amari e malinconici. Ogni paragone con i vari Subsonica o Bluvertigo, raffronto che personalmente trovo fuori luogo, si demolisce nell’esecuzione disperata di “Storia di un Impiegato” e soprattutto della punteggiante “FBYC (Sfortuna)”, una piccola perla che ha traslocato da giorni nella mia mente e mi costringe a canticchiarla a oltranza. Un lungo e bellissimo concerto che si chiude con un bis nel quale Contessa da sfoggio di due suoi gioielli che già in tanti stavano reclamando, “Velleità”, presente nel precedente Il Sorprendente Album d’esordio dei Cani e “Lexotan”, già hit del nuovo lavoro. Il modo migliore per lasciarmi, appena dopo aver fatto conoscenza.
Non sono ancora diventato un fan sfegatato de I Cani, per ora mi ritengo solo un giovane segugio. Tuttavia il mio fiuto col tempo è migliorato notevolmente.
I Nastri – I Nastri
Luogo d’ascolto: ai fornelli, as usual.
Umore: di uno che vorrebbe esser tornato da un viaggio in Indocina per capire quanto è prezioso quello che sta cucinando.
Nel comunicato stampa I Nastri ci dicono di aver un’impostazione Elettropop alla Bluvertigo o Subsonica. Ed infatti una certa tendenza ad atmosfere rarefatte in cui le chitarre siano poco incidenti c’è tutta. In “Love Love Love” la metrica serrata della linea melodica, delle parole e un certo sapore di Prog tutto cambi di tempo e organi spinti fanno pensare ai Bluvertigo di “Acidi e basi”. I Subsonica invece proprio non li ho sentiti, troppo diversa l’impostazione rispetto alla Dub House di Samuel e soci. I Nastri esordiscono con un disco molto corposo, di quattordici pezzi. Esordio ambizioso davvero che presuppone la sicurezza che tutti i pezzi siano degni di entrare in un album. Vi dirò, ho pensato che avessero ben riposto questa sicurezza: buone trovate armoniche, voce particolare ma non sgraziata, ottimi suoni e temi di synth e piano, arrangiamento nel complesso molto curato e non troppo easy per essere pop; tutto buono, almeno fino al quarto pezzo “Niente è Importante” o come l’ho subito ribattezzato “Se mi fai un altra rima baciata rimetto”.
Cito testualmente in modo da attenermi ai fatti: “spara a chi non sarò mai, ci crederai, perfetta complice, spara a chi non sarò mai, non mi tradirai, ma dai; sparo a chi non sarò mai, non mi vedrai, continuo a fingere, sparo a chi non sarò mai, tanto già lo sai; non fare rumore, niente è importante… ” e via proseguendo fino alla fine del pezzo. Dopo tale virtuosismo in rima mi sollevo sulla sedia e comincio ad ascoltare gli altri testi. Purtroppo, scoprendo la tracklist, mi rendo conto che il gigantesco disco d’esordio de I Nastri è nient’altro che un buon Ep. Troppi quattordici pezzi per un disco,sarebbe troppo anche per Springsteen. Troppi i brani che manifestano un ego ipertrofico rispetto alla qualità di almeno metà di questi. Troppa pochezza testuale ed esercizio di rime, poggiata su un impianto musicale gradevole che però nel complesso suona un pelino patinato. Le parole spesso sembrano buttate a caso solo per far suonare bene la melodia, senza o con poca ricerca lessicale; per intenderci, come si fa nelle voci guida in pre produzione, registrate in un finto inglese solo per dare l’idea del testo ancora da scrivere, quei provini in cui i versi finiscono sempre con why, faraway o say.
Lo so, direte voi Nastri: ogni pezzo mica deve essere un canto della Divina Commedia e le hit anglosassoni tradotte dall’inglese non sempre sono capolavori testuali. Avete ragione. Absolutely. Ma in Inghilterra quando devono cucinare il loro piatto nazionale aprono un barattolo di pelati e ci si mettono intorno con dei piatti e dopo esser andati di corpo non si puliscono il muscolo detrusore dell’ano (ndr leggi culo). Io invece sono ben fiero di cucinarmi,mentre ascolto il vostro disco, una bella amatriciana e poi di potermi fare un meritato bidet. Comunque dai, vi aspetto ai fornelli per il secondo disco.
Sydyan – Benefico Perturbante
I Sydyan dicono nel terzo pezzo di questo Ep: “C’è divisione tra bene e male”. Ma in questo caso ci sono solo elementi buoni che permangono durante l’ascolto di Benefico Perturbante. Il gruppo veronese nasce nel 2005 dalla penna di Michele Ambrosi e dal bisogno incipiente di dare voce alla propria soggettività trasponendo in musica le suggestioni del quotidiano vivere.
Dopo aver assunto la forma di quintetto tante cose sono cambiate sia nella dimensione live sia in quella da studio. Ecco quindi che spunta fuori lo strano ed inusuale incrocio musicale che assume le fattezze di un taglio cantautorale già vivo negli esordi e di una componente elettrica istintiva, incalzante, a tratti vicina a certa psichedelia rarefatta ma sempre viva dei giorni nostri.
Sono proprio queste le atmosfere che si respirano sin dall’iniziale “(Se so) Stare con te”, in cui ci sono suoni che ricordano da vicino i Subsonica, i Bluvertigo e i Soerba (insomma la creme del Rock Elettronico anni Novanta italiano). In “Vuoto” invece è una chitarra allegra a far da padrone almeno per gran parte del brano (fino a quando non arriva un piano a ricordare quelle melodie care ai Gazebo di “I Like Chopin”).
La convivenza fra i due strumenti è pacifica e spontanea anche nel successivo brano, il già citato “Sia Bene e Male”. “Profumo” odora (concedetemi il gioco di parole) di Indie Rock alla inglese, anche se lascia trasparire qualcosa di natura italica (giusto per non allontanarsi troppo dalle origini). “Aspettiamo” è l’unico video per ora tratto da Benefico Perturbante, una scelta giusta perché la canzone ha degli arrangiamenti più curati rispetto al resto dell’Ep ed ha tutte le carte in regola per diventare un caso da migliaia di visualizzazioni su Youtube. Mentre mi concedo questa recensione le visualizzazioni sono a quota 287 ma certamente il numero crescerà di giorno in giorno.
“Larutinmiaiuta” mette fine (purtroppo) a questo lavoro che lascia un po’ di amaro per la sua brevità (poco più di venti minuti la sua durata) ma lascia ben sperare per il futuro del gruppo.
Se si fosse optato per includere almeno due o magari tre brani in più i Sydyan avrebbero potuto guadagnare forse qualcosa ma va bene anche così.
Le scelte artistiche non si discutono mai in fondo…
Fiori di Cadillac – Cartoline
Pare che per la realizzazione dell’esordio discografico i Fiori di Cadillac hanno impiegato circa due anni, almeno da quello che leggo sulla loro presentazione promozionale, l’esordio in questione si materializza sotto il nome di Cartoline uscito sotto etichetta Forears. Due anni sono veramente tanti, immaginate in due anni quante cose si possono fare, quante cose possono cambiare e soprattutto quante differenti sensazioni possono attraversare l’intimità di una persona. Ma in due anni è possibile anche concepire qualcosa di sensato dai connotati maturi. I Fiori di Cadillac per qualche motivo che fatico ancora a elaborare mi erano già passati per le orecchie, insomma, provo questa strana sensazione di averli già ascoltati prima di ricevere il disco e consumarlo nella giusta misura che meritano. Sono quei misteri ai quali non riesco mai a dare una spiegazione ma che accetto con una smisurata soddisfazione specialmente quando l’oggetto misterioso in questione è rappresentato da un lavoro come Cartoline. La band campana ci mette dentro una notevole quantità di tecnica ma il valore aggiunto è segnato indubbiamente dall’emotività sperimentale del sound. Io dentro quel sound mi sono perso infinite volte e provavo piacere nel lasciarmi ammanettare dalla loro enfasi, quadrati e armonicamente perfetti anche quando il cantato in italiano non si dovrebbe legare perfettamente al tipo di musica proposto per una questione di orecchiabilità. Lode a questo bravo cantante.
Per intenderci (e sono parole loro) trovano influenze in band come Radiohead e Mercury Rev. Cartoline si apre con “Il Ministero dell’Amore” e la ritmica innaturale (alla Radiohead) si sovrappone prepotentemente ad un cantato bello e immediato. La durezza della pasta esce subito allo scoperto. “Io Resto Qui” viaggia sulla stessa sintonia della precedente, ambienti umidi ed emozionalità alle stelle. Tutto resta sugli stessi contesti fino ad arrivare alla più intima e personale “Prima” nella quale i Fiori di Cadillac lasciano molto spazio a riff mielati e coinvolgenti. Soltanto palpitazioni in “Dissolvenza/Stacco”. Acidi e psicologicamente confusi in “Canzone in Scatola”, qualcosa mi ricorda il caos intelligente dei primissimi Bluvertigo, niente di scontato insomma. Ironia della sorte in “Fuori Nevica” (perché fuori nevica davvero) dove le atmosfere sembrano quelle affrontate quasi perennemente da Moby ma molto più rockettare e con un finale ai limiti del Post Rock. Sorrisi e pianti in “Jonny”, il disco è quasi finito e molte cose si sono ficcate sotto pelle. “Le Tue Cartoline” suona come una gradevole chiusura del disco, un brano che sembra prenderci per mano e accompagnarci all’uscita con estremo desiderio di vedersi nuovamente. I Fiori di Cadillac registrano un esordio discografico di indiscusso fascino, dentro Cartoline possiamo trovare tutto quello che cerchiamo, bisogna avere cervello e buon gusto. I Fiori di Cadillac sono una delle migliori uscite di questo duemilatredici stronzo e funesto, un esordio che ti scoppia in faccia. Non potevano iniziare meglio.
Cockoo – Buongiorno
Dopo il buon esordio con “La Teoria degli Atomi” che fu prodotto artisticamente nel lontano ottobre 2009 da Max Zanotti (Deasonika, Rezophonic) tornano finalmente gli astigiani Cockoo, che tanto devono a gruppi quali Bluvertigo e Subsonica. L’Elettronica è infatti il filo conduttore di Buongiorno, racconto di un risveglio, il risveglio di una persona che scopre un nuovo modo di vedere e percepire il mondo, non solo come una realtà esterna, ma anche come dimensione interiore di emozioni, intuizioni, sogni e anche un po’ di magia. L’episodio migliore rimane certamente il singolo estratto dall’album, “Baby” (bellissimi i versi “Sai l’amore è una cosa che si impara”)ma anche “Nel Bianco dei Tuoi Occhi” in cui ci sono persino echi dei primi Depeche Mode e della più pura New Wave anni Ottanta.
I tempi scanditi alla perfezione in “La Leggenda Personale” ricordano all’ascoltatore che per sentire musica di questo genere non è necessario sconfinare (in fondo l’Italia musicale ha ancora tanto da dire). La melodica “Il Mio Corpo” potrebbe quasi essere considerata una sorta di spartiacque con la sua diversità che introduce alla durezza del basso e della batteria di “Supernova”. La successiva “Kafka” ha il sapore intellettuale ma anche quello alternativo degli americani Deftones e Korn e in essa il gruppo fa capire di essere maturato tantissimo a livello di arrangiamenti. Insomma nel complesso un lavoro fatto di suoni raffinati e batterie impetuose, di basse vertiginose e dimensioni oniriche, di beat elettrici, di viaggi elettronici e sensazioni acustiche (che troverete tutte nella title track) e di un Pop smaliziato e gradevole che non scade mai nel banale.
Fantastica poi la traccia che chiude il tutto, “Lady G” in cui le chitarre e le tastiere viaggiano di pari passo a braccetto senza mai lasciarsi. Se con la loro prima prova discografica i Cockoo avevano saputo far parlare di sé tanto da aggiudicarsi la “Targa Giovani 2010” al M.E.I. 2011 e il “Premio Testi Opera Prima” al Festival Internazionale della Poesia di Genova sezione Musica c’è da scommettere ora che potrebbero essere la sorpresa di questo autunno musicale.
Polar For The Masses – Italico
Con “Italico” i Polar For The Masses fanno quattro, quattro dischi in otto anni che lacerano e segnano a fondo l’endemico tremore dell’underground nostrano, una necessità – la loro – di stare ai margini del rumore per dare vita ogniqualvolta ad un contrasto epidermico e da brivido sottocutaneo che si fa riconoscere subito, immediatamente, all’istante.
Dieci traccianti sonici che sono un trionfo di sonorità onnicolore, un cromatismo plumbeo che si bagna di liquidi elettro, fendenti chitarristici, trillii di esplosioni di basso, urgenze sociali e tonnellate di sudori di vita vissuta, sogni evocati e deliri tormentati; un disco come sempre notevole, carico di pesi e attitudini clamorose, mai fuori tempo e doppiamente interessanti che favoriscono quei piacevoli e solitari momenti di ribellione interna. Marlene Kuntz, Fluxus ed effervescenze alla Bluvertigo d’antan fanno da consapevoli istintività con i quali la formazione – nella sua scrittura estrosa e di attacco – si dota per creare paesaggi e paradigmi eccezionali, una presa diretta di elettricità, shuffle no borders “Laogai”, “Un Uomo, un Voto”, “Ruvido” che si attacca alla pelle come plastica fusa.
Minuti di fuoco e d’azione quelli che questa tracklist sforna a ripetizione, avvolgenti tappeti si suono che portano ad una nuova lettura – oltre che il cantato in italiano – in cui il trio vicentino sfonda, ovvero la maturità agognata per una band che matura già lo era alla partenza e qui confermata alla grande; aggressivamente sensuale in talune parti, il disco dei P4TM è un tripudio di componenti altisonanti, i grandi numeri di un basso incazzato “Terrorismo e Deejay”, la frenesia accalorata di “Wall Street” e l’opulenza marziale e pesante che detta legge in “Mia Patria” non sono altro che i primi effetti di una devastazione interiore e “affacciata” sulle vie sottostanti della vita di tutti i giorni.
Disco “nobile”, drasticamente calato nel nostro tempo e perciò imperdibile. Bentornati P4TM!!
Rosso Dalmata – Rosso Dalmata
Scoprire quello che è l’obiettivo di una band quando ci propone un album, un brano, un video o qualunque altra cosa che possa definirsi artistica, ha un ruolo chiave nel compito di giudicare quanto tale valore possa considerarsi ricco o meno. Nel caso dei Rosso Dalmata e del loro omonimo album d’esordio è molto difficile giungere a conclusione perché, se da un lato l’artwork è incentrato su passionali accostamenti tra rosso sangue, bianco e nero con un risultato abbastanza sfrontato, girando la custodia e sbirciando tra i titoli dei brani (“Mina Si Fa Di Ketamina”, “Ho Mal Di Dandy”, “E’ Un Problema Se Sono Un Omicida Seriale”) ci sembrerebbe avere di fronte un gruppo che probabilmente punterà tutto sull’ironia per colpire al cuore gli ascoltatori. L’unica risposta possiamo trovarla nell’ascolto.
I bolognesi Rosso Dalmata provano a mescolare l’Indie britannico con l’elettronica Pop italiana, puntando oltretutto proprio su testi in lingua madre. Il loro album è stato mixato da David Lenci (Linea 77, Uzeda, One Dimensional Man, Teatro degli Orrori) e masterizzato da Carmine Simeone (Subsonica, Skin, Tony Levin). Il brano che apre l’opera, “Mina Si Fa Di Ketamina”, contiene una piccola chicca per tutti gli appassionati di cinema oltre che di musica. Infatti, nel pezzo, è presente un celebre monologo del film “Trainspotting“ reinterpretato, dopo sedici anni, dallo stesso doppiatore del film, Christian Iansante. Di seguito alla recensione potrete vedere il video realizzato dalla Elephant Production (Jolaurlo, La Radura) con l’attrice Martina Angelucci e la regia di Nunzia Vannuccini. Il pezzo si apre con il prepotente synth che sembra presagire l’imminente rimbombo di un Pop sintetico potente in stile Late Of The Pier. In realtà tutto si dispiega in un convenzionale Indie Rock di matrice inglese, con un ritornello assolutamente prevedibile e neanche troppo ironico (se questo era l’obiettivo). Si cercano suoni tossici (visto il tema del pezzo) dentro sonorità immediate e parole irriverenti ma il risultato è quanto mai dozzinale, nonostante il tentativo di elevare il contenuto con la suddetta partecipazione di Christian Iansante. Nel secondo episodio, “Romanzo Noir”, è nuovamente forte la presenza dell’Indie Rock derivato dal Post-Punk di scuola Franz Ferdinand e Kaiser Chiefs per intenderci, ma ancora una volta, il massimo che riescono a fare è trovare un ritornello con una melodia tanto orecchiabile quanto derivativa, allo stesso modo dei riff di chitarra o degli inserti sintetici. Il primo momento interessante si ha con “Adoro il 69” dove più energico è l’intervento dell’Electro Pop di scuola tricolore, Bluvertigo o Sikitikis. La linea melodica vocale è subito perfetta e indovinata e la semplicità sonora Pop-Punk delle chitarre risuona assolutamente eccellente, dentro un pezzo ricco finalmente d’ironia e voglia di leggerezza. Il cantante, Marco Baricci, si cimenta, in maniera minimale, anche con il piano, nel brano “Il Cubo Di Rubick” che nelle sue mescolanze tra Rock, suoni chimici e voce in primo piano riprende ancora con forza la corrente italica di Subsonica (molto simile nel cantato) e Bluvertigo, allargando le ali nella parte finale, su acustiche più dirette e punk del tipo non troppo incazzato. Non aggiungono praticamente nulla alla proposta dei Rosso Dalmata, i brani “Onda Sinusoidale” e la finto ironica “Ho Mal Di Dandy” mentre molto interessante è l’intro di “Storia Di Ordinaria Follia”, con le sue pazzie artificiali e l’evoluzione pulsante e piena di cambi di ritmo. Niente di nuovo, a dire il vero, ma nel suo essere “già sentito” è comunque un pezzo che mescola alla perfezione tutti gli ingredienti dell’album, oltretutto mostrando una buona esecuzione anche vocale pur se non stilisticamente perfetta. Poco convincente anche “Antistress” nella quale in realtà Marco Baricci, a differenza del brano precedente, mostra qualche limite vocale e un timbro non proprio da pelle d’oca. Forse il testo più interessante è quello di “Danza Della Busta”, liberamente tratto da un monologo del film American Beauty e ottimamente accompagnato dalla foga sonica di Frank Lav (autore delle parole), Guido Adam Terracciano, Herb De Masi, Dario De Benedetti e Mark Mad Honey (complimenti per la citazione). Parte forte anche “E’ Un Problema Se Sono Un Omicida Seriale” ma gli sviluppi suonano ancora una volta troppo mediocri e ritriti. L’ultimo brano, “Pietra Filosofale” non si stacca di un millimetro dalla proposta ormai chiara dei Rosso Dalmata, regalandosi anche un ritornello stile Prozac+. Non pensate che il problema di quest’album sia tutto nel suo essere sorpassato e convenzionale. Se avete mai letto altre mie cose, saprete che non ne faccio un dramma. Il dramma è che, in quasi tutti i momenti del disco, quando qualcosa sembra ineccepibile, tutto il resto è esattamente dalla parte opposta. Appena trovi un ritornello gradevole, ti suona insopportabile il resto del pezzo. Se sembra affascinante e intelligente il testo, è la melodia che non va. Se la musica ti prende, ecco che le parole arrivano a infastidirti. Manca omogeneità di valore assoluto. Con ripetuti ascolti, forse la parte testuale sarà proprio quella più interessante, esclusi un paio di sfortunati episodi ma le composizioni suonano fin troppo per palati semplici nell’intento, quanto poco accattivanti nel risultato.