Brian Eno Tag Archive
Dodici Tracce: non la solita playlist #05
Una rubrica in cui le illustrazioni di Stefania incontrano gli scritti e le playlist di Claudia, dando alla luce un racconto sonoro a forma di vinile.
Continue ReadingRecensioni #01.2017
Brian Eno // Jumping the Shark // Tiger! Shit! Tiger! Tiger! // Il Diluvio // Duke Garwood
Continue ReadingIntervista ad Alessio Premoli a.k.a. Chelidon Frame
Chelidon Frame è uno dei tanti progetti dietro al quale si nasconde il chitarrista milanese Alessio Premoli. Il suo lavoro più sperimentale è una miscela di Ambient, Noise e Drone. Lo abbiamo incontrato per capire al meglio la sua musica cercando anche di scoprire se certi suoni possano avere un ruolo primario nell’età moderna.
Chelidon Frame – Framework
L’esperienza Chelidon Frame nasce nell’autunno dello scorso anno ma muove i suoi passi e affonda le radici molto più in là negli anni, negli albori della Musica Concreta e negli studi di Pierre Schaffer che, nel 1948, teorizzò una nuova consapevolezza sonica basata su effetti acustici esistenti successivamente elaborati, generando musica tendenzialmente elettronica ma partorita da elementi concreti.
Riprendendo in mano quest’idea e passando attraverso Pierre Henry e John Cage, Chelidon Frame confeziona un’opera che miscela l’Ambient dei Prospettiva Nevskij, al minimalismo di Alessio Premoli, nome che si nasconde dietro al progetto. Tutto questo con occhio rivolto al futuro, grazie ad un uso comunque mai eccessivo di droni e divagazioni Noise. Nelle cinque tracce più “Intro” dell’esordio Framework, ci sono le fondamenta della musica Elettronica, la storia stessa del suo autore, le opere più eteree di Brian Eno, la spigolosità di Kevin Drumm e la sensibilità Modern Classical di matrice nordica di Jòhann Jòhannsson, cosa suggerita già dalla lettura celere dei titoli di taluni brani (“JikSven”, “Antartica”).
Dopo la gelida opening che sferza l’atmosfera come freddo polare, sale un’inquietudine oscura, fatta di grevi note ripetitive come tempo scandito da ritmiche minimal e sottilmente celate dietro rumori vaghi, quasi a disegnare l’aurora boreale, tinta solo di tutte le tonalità del grigio (“Taikonauta”). Ancor più conturbanti e impalpabili i quasi otto minuti di “JikSven”, nei quali si scorge una debole sensibilità Rock dentro un cosmo elettronico, in grado di dare forza da Film Score all’album. Nonostante queste prime intuizioni, non esiste un vero filo conduttore, una precisa chiave di lettura che leghi la tracklist, trattandosi di un insieme di brani originali e altri già pubblicati e qui soltanto remixati. È la musica stessa a fare da trait d’union, il legame simbiotico tra le terre più fredde del pianeta e lo spazio siderale è la musica (“Cosmic Hypnosis”). In “Nvs_k3” l’ aria torna pulsante di rigida introspezione mentre a chiudere l’album, i quasi dodici minuti della minimale “Antartica”, la quale, nella seconda parte e in conclusione, regala cenni di Neo Classical gonfi d’una speranza e positività mai ascoltata nei minuti antecedenti, pur mantenendo ferma una certa ambiguità emotiva. Framework è uno straordinario lavoro di un musicista poliedrico e coraggioso che non mira certo all’originalità ma riesce comunque a pizzicare le corde dell’anima e farci sognare, fosse anche un sogno da cui svegliarsi in tutta fretta.
Anna Calvi – Strange Weather
Il nuovo lavoro dell’artista vede la partecipazione di David Byrne dei Talking Heads.
Continue Reading65daysofstatic – Wild Light
Ormai è quasi impossibile impressionarsi di fronte a un disco dei 65daysofstatic (essendo questo il sesto lavoro in studio della band), dato anche l’impatto che ebbi col precedente album We Were Exploding Anyway (che fu seguito nel 2011 solo da Silent Running, omonima colonna sonora del film del 1972). Tre anni di lunga attesa sono quindi passati lentamente ed inesorabili, aspettando che il gruppo ci regalasse un’altra perla di moderno Post Rock. Paul Wolinski, JoeShrewsbury, Rob Jones e Simon Wright si sono ritrovati come sempre a comporre suoni ai limiti dell’Ambient, degni delle più belle opere di Brian Eno, ma approcciandosi sempre di più ai ritmi ossessivi dei Nine Inch Nails e dei Mogwai (tanto per citarne alcuni). Dodici anni di carriera sono tanti ed il peso da sostenere può a volte schiacciare anche i migliori, ma per fortuna ciò non è accaduto al quartetto di Sheffield che continua a mantenere chiara la mira dell’obiettivo.
Difficilmente quindi un fan che ascolterà questo disco potrebbe rimanere deluso, perché già dall’apertura in parlato di “Heat Death Infinity Splitter” è tutto chiaro e limpido. Un Math Core mescolato a tanta elettronica, simile a quella dei Prodigy, che si ripete durante tutte le nove tracce (una però, “DoxxxYrself” è la conclusiva bonus track, degno epilogo mai al di sotto delle altre otto per qualità). Non sarei neanche stupito più di tanto se mi ritrovassi a sentire canzoni come “Prisms” o “Sleepwalk City” in un rave party. Tuttavia qualche canzone tipo “Taipei” sarebbe leggermente fuori luogo in tale situazione, ma credetemi, è solo un problema di punti di vista, in quanto pur rallentando i bpm in maniera esagerata la canzone raggiunge senza dubbio l’apice del disco. Il cambio di etichetta non ha quindi danneggiato il quartetto, gli ha anzi donato nuova linfa e vita sonora. Se non conoscete i 65daysofstatic questa è quindi la vostra migliore occasione per approcciare al Post Rock di ottima qualità, del resto come potreste rimanere delusi da una band che ha scelto il suo nome ispirandosi a un film inedito del grande regista John Carpenter (sì proprio quello di “1997: fuga da New York”, “Christine – La macchina infernale”, “Essi vivono” e tanti altri film di successo mondiale)? Se poi voleste anche approfondire la conoscenza, vi consiglio vivamente di visitare il sito web, ottima fan page contenente anche materiare raro ed inedito e persino radio sessions e demo.
Take a look and dream with music!