Brunori Sas Tag Archive

La Bestia Carenne – Catacatassc’

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Che Django Reinhardt si sia reincarnato in Campania fondendosi con le sonorità locali? Questo il primo pensiero che salta alla mente quando inizio ad ascoltare “Catacatassc’”, primo brano del disco d’esordio de La Bestia Carenne. Intendiamoci bene però: qui l’influenza del famoso ed indimenticato chitarrista belga si sente già dalle prime battute ma di Jazz c’è giusto qualcosa, solo un timido accenno; c’è tanto invece di rumorismo tipico della No wave newyorkese e persino di musica tradizionale mediterranea (in particolare greca). Folk quindi? Probabilmente sarebbe piuttosto limitante ascrivere queste tredici canzoni in un solo genere, per cui forse è meglio procedere continuando l’analisi brano per brano senza scadere in inutili “etichette”. In fondo di idee il gruppo è pieno, come si evince in “Il Sapore”, che a tratti ricorda anche Vinicio Capossela, e in “Billy il Mezzo Marinaio”, un dolce e malinconico Swing che ci riporta indietro fino agli anni cinquanta. L’inizio di “Le Cose che Desideri” addirittura rimembra lo stile Frippiano, ma conclude collegandosi con una traccia di appena ventuno secondi dal titolo eblematico “#1” in cui un piccolo vociare fa da sottofondo a un cantato in lingua inglese; giusto il tempo di introdurre “La Vacanza di un Ferroviere” dedicata a una categoria di lavoratori di cui spesso ci si dimentica di parlare nelle canzoni. Il viaggio sonoro prosegue con “Transkei” e “Una Macchina Trasversale”, in cui Giuseppe Di Taranto (voce e chitarra acustica) Antonello Orlando (chitarra elettrica), Paolo Montella (voce, basso e tastiera) e Giuseppe Pisano (percussioni) raggiungono l’apice del mio personale indice di gradimento. E così si giunge al secondo spartiacque, “#2” , che però forse avrei evitato, in quanto non aggiunge né toglie nulla al valore artistico del disco. “Jeanne” è un piccolo concentrato di perfetta arte sonora, genuina e spontanea, tanto quanto lo scorrere molto enfatizzato ed accentuato delle dita sulle corde della chitarra in “Toccare”. “Uno Studente e Vysotskij” e la malinconica “Cadillac” chiudono questo disco che è praticamente privo di difetti . I quattro ragazzi campani hanno già un curriculum fatto di oltre ottanta concerti di cui molti in apertura per artisti quali Brunori Sas, Francesco Di Bella, Folkabbestia, Giovanni Block, Nick Mulvey, Nino Bruno e le 8 Tracce, Modena City Ramblers e 24 Grana ma sono sicuro di una cosa: verrà il tempo (presto… molto presto!) in cui saranno loro i veri headliner della serata! Bob Dylan e Neil Young sono stati avvisati.

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Metropolis, il nuovo concept album degli Albedo

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Uscirà il 16 marzo in digitale e Cd per etichetta Massive Arts (Fratelli Calafuria, Nadar Solo) e free download per V4V-Records, Metropolis, il quarto disco degli Albedo reduci dal successo di Lezioni di Anatomia (V4V-Records 2013). Metropolis è il quarto disco in studio degli Albedo. Il titolo è un tributo al capolavoro omonimo di Fritz Lang, capostipite della fantascienza al cinema. Metropolis si sviluppa infatti come un racconto, una sorta di moderna Odissea, ambientato nel futuro, in rigoroso ordine cronologico e narrato in prima persona. È la storia di un allontanamento obbligatorio, di un viaggio oscuro dalle terre di origine del protagonista, devastate dalla povertà e dalla miseria, verso un grande agglomerato urbano, Metropolis appunto, alla ricerca di una via d’uscita, di un modo per reagire, per cambiare il proprio destino dettato da una ancestrale profezia. La spinta al benessere materiale, negli anni, tocca territori più profondi nello spirito dell’io narrante, che avvia una disperata ricerca di se stesso: “Chi sono io? Da dove vengo?” Queste domande sorprendono per la loro spiazzante semplicità ma sono solo il principio di una feroce analisi di una civiltà distratta, meccanizzata e spersonalizzata, senza più un Dio a dare conforto o in cui credere, espressa dal punto di vista del protagonista, innocente, puro, giacché giunge da un luogo lontano, diverso e distante dall’inumana Metropolis. Un racconto nel futuro proiettabile a ritroso, nel presente, che attraverso il linguaggio della metafora, riferimento continuo nella poetica della band, svela e analizza vizi e perversioni dei tempi di oggi”.

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Targhe Tenco 2014: Tutti i finalisti!

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Ecco tutti i finalisti delle Targhe Tenco 2014 divisi per categorie. Le Targhe saranno consegnate il 6 dicembre a Sanremo al Teatro Ariston.

Le nomination per la Targa “album dell’anno” riservata a cantautori:
Brunori Sas, Il cammino di Santiago in taxi
Caparezza, Museica
Le Luci della Centrale Elettrica, Costellazioni
Massimo Volume, Aspettando i barbari
Nada, Occupo poco spazio
Virginiana Miller, Venga il regno

La Targa per l’album in dialetto:
Enzo Avitabile, Music life O.s.t.
Francesco Di Bella, Francesco Di Bella & Ballads Cafè
99 Posse, Curre curre guagliò 2.0
Davide Van De Sfroos, Goga e Magoga
Loris Vescovo, Penisolâti

Nella sezione “Opera prima”:
Betti Barsantini, Betti Barsantini
Pierpaolo Capovilla, Obtorto collo
Filippo Graziani, Le cose belle
Johann Sebastian Punk, More Lovely and More Temperate
Levante, Manuale distruzione

Fra gli interpreti di canzoni non proprie (quindi non cantautori):
Chiara Civello, Canzoni
Fiorella Mannoia, A te
Mirco Menna, Io, Domenico e tu
Alberto Patrucco e Andrea Mirò, Segni (e) particolari
Raiz e Fausto Mesolella, Dago Red
Saluti da Saturno, Shaloma locomotiva

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Sherwood Festival: concerti a 1 euro

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Inizia a comporsi il cartellone di Sherwood Festival 2014: dopo l’annuncio dei Die Antwoord come primi headliner, oggi annunciamo tutta una serie di live – di primissimo livello – alla cifra simbolica di 1 euro.
Ormai formula consolidata e distintiva della rassegna culturale e musicale padovana, quella del “1 euro può bastare”.
L’apertura, l’11 giugno, è affidata alla travolgente formazione di patchanka italo-argentina Espana Circo Este, insieme ai F.A.S.K. (ovvero il progetto rock perugino Fast Animals and Slow Kids) che presenteranno il nuovo disco Hybris.
Il 13 giugno il trio pisano Zen Circus presenterà al pubblico di Sherwood il nuovo disco Canzoni Contro la Natura, che ha debuttato subito in top 10 nella classifica ufficiale dei dischi più venduti in Italia. Il 15 giugno, Sherwood – in collaborazione con Radar festival – presenta il live del quartetto newyorkese Pains of Being Pure at Heart che presenteranno a Padova – per una delle quattro date italiane – il loro nuovo disco in uscita a maggio. Il 18 giugno, il palco sarà tutto per i 99 Posse, tornati di recente alla ribalta per Curre Curre Guagliò 2.0, versione arricchita di alcuni inediti dello storico album degli anni ’90, punto di riferimento per la scena alternativa e militante italiana.

A luglio, sul palco (e sempre a 1 Euro): il cantautore Brunori Sas (2 luglio) che presenterà il nuovo e acclamato disco Il Cammino di Santiago in Taxi; i Perturbazione, applauditi performers arrivati sesti al Festival di Sanremo, in tour per presentare il nuovo album – il settimo disco della band attiva da vent’anni – Musica X (5 luglio). Infine, dopo 11 anni, il ritorno live degli Estra, il gruppo di Giulio Casale che da Treviso ha conquistato la scena nazionale e ora torna con un tour e materiale inedito per i fan (18 luglio).

SHERWOOD FESTIVAL 2014 / :: line up in via di definizione ::
www.sherwood.it
11 Giugno – 19 Luglio c/o Parcheggio Nord Stadio Euganeo – Padova
11/06 | Espana Circo Este + F.A.S.K. (apertura festival)
13/06 | The Zen Circus
15/06 | Sherwood in collaborazione con Radar: The Pains Of Being Pure At Heart
18/06 | 99 Posse
22/06 | Die Antwoord
25/06 | Dub Fx
27/06 | Caparezza – presentazione nuovo album
02/07 | Brunori Sas
05/07 | Perturbazione
06/07 | New York Ska Jazz Ensemble
11/07 | Afterhours
16/07 | Radar Festival Day One con SLOWDIVE live – prima data italiana reunion tour
18/07 | Estra

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Bandit – Crash Test

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In quel di Milano il settore artistico non conosce domeniche e propone di recente un nuovo interessante lavoro: Crash Test. Un disco scritto ed interpretato da Paolo “Bandit” Bandirali ed arrangiato da Luca “Bitti” Cirio, firmato Bandit. Il lavoro si sviluppa in una tracklist lunga nove click di Folk Rock, caratterizzato da testi impegnati (che a tratti rimanda al Rock n Roll di Bennato). Nella prima parte del disco, in particolare, si caratterizza per un alternarsi di musica ed intermezzi parlati (che richiama lo stile live degli Zen Circus), che fanno da introduzione alla traccia a seguire. Di certo una trovata molto originale (ed un’ottima opportunità per dar spazio ad un po’ di sano sarcasmo), che tuttavia spezza un po’ troppo l’armonia stessa del disco, portando l’ascoltatore allo skip degli intermezzi già a partire dal secondo ascolto del disco. Ciononostante, siamo innanzi ad un lavoro piuttosto maturo e che si fa ben ascoltare dall’inizio alla fine. L’album di debutto sembra avere seri intenti comunicativi. I temi, di elevato impatto con l’attualità, ruotano costantemente intorno al tema della vita, spaziando da intellettualismi del saper vivere, a romanticismi della necessità di amare (riprendendo al riguardo un amore a lunga conservazione già cantato dai Marta sui Tubi in “La Spesa” ben sei anni fa), a malinconiche, statiche prese di coscienza dell’io. Si esce fuori tema in traccia sette (“Quando C’Era Lui”), che, mio malgrado, suona un po’ come una nota stonata in un disco di così elevato contenuto morale. Non tanto per lo strumentale, il quale mantiene la sua vena accattivante, quanto per il testo, che la rende il vero neo del disco. Politica e musica sono due arti differenti: cantare la politica è un po’ come cantare un dipinto.

Il lavoro esordisce in prima battuta con “La Crisalide”, che senza dubbio merita qualche riga. Lo strumentale, impegnato in ritmiche Country e Folk che si fanno ben apprezzare, viene poetizzato attraverso un testo ricercato e di certo non banale. Il perno è il crivello del vivere la vita, del se è giusto o sbagliato viverla secondo lo standard collettivo. Ed all’interrogazione a scuola, nasce bene la risposta mi scusi prof ma io non ho tempo da perdere, meglio essere crisalide che ha tempo ventiquattr’ore per vivere al meglio. La scelta di aprire il disco con un pezzo così ben lavorato è (volutamente o meno) strategica e conduce inevitabilmente all’approfondimento dell’intero lavoro. La strategia si mantiene sofisticata, approdando alla terza traccia e realizzandosi stavolta attraverso uno stile cantato pressante che fa subito pensare al timbro martellante del Cristicchi (ancora una volta un forte riferimento). Il tema della vita accompagna una buona parte del disco, ritornando anche nella traccia numero cinque (che dà il titolo al disco). Stavolta si toccano le corde della malinconia, garantendo un inevitabile rifugio a chi l’ascolta. D’altra parte, la vena malinconica accomuna un po’ tutti ai giorni nostri. Ciò non toglie che siamo innanzi ad un buon lavoro, che merita molto più di un ascolto. Ottima sintesi del disco.

Il disco si chiude quindi con un mix fra il sound di Samuele Bersani e la versione Folk di Brunori Sas, addobbato ancora una volta con un testo che lascia ben poco spazio alla polemica. Il tema della vita che ha aperto il lavoro si ritrova così a ricamarne i titoli di coda con un richiamo lungo 4’02’’. Un gioco di parole lungo una canzone intera, lavorato al dettaglio fra assonanze e rime prepotenti che in modo instancabile chiamano all’appello la vita. Titolo: “La Vita”. Ed è così che il prologo si confonde con l’epilogo attraverso un piccolo dettaglio, che genera una ciclicità all’opera che si fa molto apprezzare. Dettaglio che, in questa sede, non trovo onesto svelare, ma che a parer mio, è una trovata prossima al geniale. Fossi al bar a parlar con amici, direi che è un ottimo disco, consigliandone l’acquisto (consiglio che, scoprendo gli altarini, dispenso anche a me stesso). Ma qui siamo alla correzione dei compiti di inizio anno e la severità non può essere opzionale. Il paroliere Paolo “Bandit” Bandirali meriterebbe senza dubbio un voto alla portata dei suoi ricercatissimi testi, ma il consiglio ha deciso di provocare la sua vena artistica, portandolo appena oltre la sufficienza. In rosso sul compito ho dovuto segnare le troppe ispirazioni mal celate. La musica è un tema, non un testo di reportistica.

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Nicolò Carnesi – Ho una Galassia nell’Armadio

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Luogo d’ascolto: sotto un albero, vicino ad un autostrada.

Umore d’ascolto: come di chi pensi che quello sotto cui sta ascoltando Carnesi è l’unico albero rimasto nel mondo.

Il secondo disco è sempre una cartina al tornasole per capire l’evoluzione di un artista. Se il primo è quello dell’ingenuità, delle idee potenti e potenziali buttate alla rinfusa, il secondo è quello della strada dritta, della precisione, quello che fa capire a quale velocità potrà andare la macchina. Avevo sentito parlare di Nicolò Carnesi tempo fa come un promettente autore della cerchia gravitante intorno a Brunori Sas e la sua Picicca dischi; non avevo ancora ascoltato nulla e quindi, come spesso avviene, appena mi è arrivato all’orecchio la news del suo secondo disco Ho una Galassia nell’Armadio sono andato il giorno stesso a spizzare su youtube il suo primo singolo “La Rotazione”. Mi ha colpito molto il suo timbro che richiama in alcuni passaggi un certo Battisti anni 80 o magari Graziani nella ricerca di melodie apparentemente semplici ma subito catchy e quindi tutt’altro che banali, magari anche Branduardi nel profilo della chioma e nella tendenza ad andare sulle note alte con la voce sottile sottile sottile. Mi ha davvero colpito la produzione del pezzo. Di lì il passo al disco e alla recensione è stato immediato. Ho scoperto che Nicolò è davvero un ottimo autore e che davvero la sua voce ha sfumature molto particolari e che i suoi testi sono un miscuglio ben riuscito di cielo e terra, di stelle e di asfalto. Questo secondo disco ha spalancato un’autostrada su cui Carnesi può portare tutto il suo talento a 200 all’ora verso il pubblico più vasto che si possa aspettare da un cantautore. Ho una Galassia nell’Armadio è un perfetto esempio di Pop impegnato, leggero nei suoni, non forzatamente pretenzioso nei temi, mai banale nelle scelte stilistiche. Dicevo della produzione: Tommaso Colliva è un maestro dei suoni e in questo disco ha l’indiscusso merito di spostare l’ambiente musicale in cui Carnesi si era mosso nel suo precedente lavoro in un territorio più europeo, in un territorio di suoni di synth analogici e pad soffusi quasi Dance, di spruzzate di Funk bianco alla Alan Sorrenti che ben si adattano a versi come “ Campa ragazzo che l’erba cresce e la fumi pure, la felicità la trovi in farmacia, tra vita e morte c’è di mezzo uno stato neutrale, ma non è la Svizzera”. Un terreno su cui il timbro di Carnesi ne esce valorizzato e rende piacevole anche l’ascolto meno attento, tipo quello della fantomatica casalinga di Voghera mentre fa le pulizie di casa.

Tra i pezzi più riusciti sicuramente “ Numeri”, testo meraviglioso e musica da ascoltare ad occhi chiusi in una giornata assolata e con il sorriso stampato in faccia, sotto l’ombra: “poi uso troppo gli addii, forse per paura di riceverli”, un verso illuminante e malinconico che colpisce in quella canzone come una carezza di un genitore che sta partendo. Ho sempre pensato che l’attenzione alla produzione e alla possibile fruizione del lavoro discografico, chi mi conosce lo sa, sia un pregio inestimabile di una produzione, l’unica cosa che rende un talentuoso autore di canzoncine un artista da classifica e un riferimento per una scena. Dieci più al Signor Colliva, mi sbilancio. E un buon sette e mezzo per questo giovane Carnesi che fa ben sperare per il terzo disco, quello del salto nel vuoto contro lo zoccolo duro dei fan della prima ora che ti vorrebbero sempre identico a te stesso ma anche criticabile proprio per questo. Per il momento non è il caso di pensarci ma di goderci questo, di ancheggiare un po’ sul posto e magari di fare le pulizie ad alto volume senza necessariamente riflettere. Perchè la musica, ricordiamocelo sempre, è la colonna sonora della giornata e un modo per sublimare il quotidiano, non solo e non per forza in ogni ascolto un modo per elevare lo spirito. Carnesi lo ha capito.

Lunga Vita a Carnesi.

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Musica contro le Mafie: un libro, un documentario, un tour.

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E’ uscito il documentario Musica Contro Le Mafie – L’alternativa. Legato allo stesso progetto realizzato dall’etichetta calabrese MK Records che l’anno passato aveva pubblicato il libro omonimo sotto l’egida di Libera, nel video, così come nel libro, si alternano i contributi di artisti, ma non solo, ci sono infatti anche interventi di scrittori, operatori, giornalisti e testimoni di giustizia. La musica rimane il filo conduttore del filmato e gli artisti diventano testimoni di un messaggio di impegno e consapevolezza. I nomi presenti sono di altissimo livello, tra i tanti anche Don Luigi Ciotti, Fiorella Mannoia, Paolo Rossi, Brunori, etc.. Di seguito trovate un primo, seppur breve estratto. Presto vi daremo informazioni riguardo il tour che attraverserà l’Italia a partire dal mese di marzo.

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Brunori SAS – Vol.3 Il Cammino di Santiago in Taxi

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Quando ascolto un nuovo disco, tra le prime cose che faccio, mi soffermo sul titolo e spingo l’acceleratore sull’immaginazione per vedere fino a dove mi riesce a portare. Il titolo che ho davanti in questo momento è Vol.3 – Il Cammino di Santiago in Taxi della Brunori SAS, fondata da Dario Brunori. Non ho mai avuto modo di fare l’esperienza del Cammino di Santiago, ma dai racconti di chi si è cimentato in questa impresa colgo che la bellezza di tale cammino sta nel viaggio in sé, nelle tappe intermedie che lo compongono, negli incontri casuali che lo caratterizzano. Con questa premessa, la lentezza del mezzo di locomozione diventa una condizione necessaria e sufficiente per assaporarne appieno tutte le tappe ed arricchirsi interiormente sotto diversi aspetti. A piedi, in bicicletta, in autostop o in bus, immagino un viaggio a volte più lento, a volte più veloce, ma che dà sempre la possibilità di creare legami con gli esseri viventi circostanti: piccoli pezzi di vita messi nelle mani di altre vite. Cosa posso aspettarmi invece da un Cammino di Santiago che avviene in Taxi? Certo la comodità del viaggio è un aspetto allettante, ma il solo pensiero di una conversazione più o meno sterile con il tassista che riguarderà nel 90% dei casi il Meteo e nel 10%  la Crisi mi fa venire un’ansia assurda. Premo play, forse è meglio.

“Arrivederci Tristezza” arriva dopo una breve introduzione al piano. Più che un titolo è un monito: la tristezza si saluta solo con un arrivederci e mai con un addio. Il brano, che si sviluppa in un graduale crescendo, mi porta alla consapevolezza che la Brunori SAS funziona sempre più come una piccola orchestra: gli strumenti si moltiplicano, il suono si completa di sfumature che lo rendono più caratteristico, gli arrangiamenti sono più articolati, anche se non mancano brani più intimi. Tra questi ci sono “La Vigilia di Natale”, dove bastano voce e piano per raccontare l’angoscia di certi giorni festivi, dell’ obbligo alla felicità dettato dal numero rosso di un calendario, oppure “Kurt Cobain”, che introduce il tema del suicidio partendo da una serie di riflessioni sul senso della vita, e che perde di intensità nel ritornello dove vengono tirate in ballo le morti di Kurt Cobain e Marilyn Monroe come esempi emblematici (il motivo di tale scelta rimane per me ancora un mistero). La conclusione alle riflessioni sul senso della vita si risolve in un forse troppo superficiale: vivere è come sognare ci si può riuscire spegnendo la luce e tornando a dormire. “Mambo Reazionario”, dal ritmo quasi caraibico, è un modo ironico di criticare la decadenza di certi ideali di rivoluzione. I temi scottanti arrivano con “Pornoromanzo” che si rifà al tema dell’amore tra adulti ed adolescenti, dei novelli professor Humbert e delle moderne Lolite, che confondono sesso e amore, il tutto cantato con un ritmo rockeggiante ed un linguaggio esplicito che esclude ogni fraintendimento. “Le Quattro Volte” mette in risalto lo scorrere inevitabile del tempo e la routine che accompagna la vita affrontandone con tono semplice e leggero le tappe che la caratterizzano, dalla scuola elementare alla pensione, senza però considerare che il corso della vita è ormai cambiato, e che in pochi si rivedono nelle tappe descritte. “Il Santo Morto” è una sorta di zapping televisivo di immagini contrastanti, che vanno da Padre Pio al Pulcino Pio, senza tralasciare i programmi trash che ci propone Nostra Signora TV. “Il Manto Corto” spegne le parole e permette alla Brunori SAS di esprimersi con la sola forza del suono, e ciò che ne viene fuori è una bella conversazione in musica in un brano del tutto strumentale. Non potevano mancare infine le storie d’amore finite male, come “Maddalena e Madonna” e “Sol Come Sono Sol” in chiusura, una sorta di Valzer sulla solitudine con tanto di storia di abbandono sull’altare.

Il viaggio è finito e sotto certi punti di vista è stato comodo e veloce. Ma per quel che mi riguarda, non sempre la parola comodo è sinonimo di bello. È stato comodo nella scelta di alcune tematiche, e veloce nel modo di trattarle in superficie, con retorica, senza addentrarsi troppo nelle questioni, lasciandosi indietro la possibilità di arrivare fino in fondo. La scelta di intraprendere un cammino come quello di Santiago, e la scelta di farlo in Taxi, lasciandosi indietro dettagli che avrebbero davvero potuto fare la differenza. Posso affermare con sicurezza che il titolo dell’album è quello giusto.

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Domani No di Cristiano Carriero: quando i libri fanno riflettere sulla musica.

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domani no - Sconosciuto

Boavida se ha muerto. Boavida è morto. Mai affermazione fu più chiara, precisa, netta. Non c’è scampo ad un’affermazione così. Ad ucciderlo è stato Ernesto Celi, in arte Ernestoc’è, ovvero, uno dei protagonisti, insieme a Boavida, di Domani No, l’ultimo romanzo di Cristiano Carriero (Bari, Gelsorosso, 2013). La questione però è che Boavida ed Ernestoc’è sono la stessa persona, almeno fisicamente, perché Boavida è in realtà un personaggio creato a tavolino da un discografico senza scrupoli conosciuto durante un Contest musicale, al quale Ernesto affida la propria musica ricevendo in cambio la promessa di un successo assicurato. È da qui che comincia o finisce tutto, dipende dai punti di vista: l’immagine da ragazzo della porta accanto nella quale Ernesto non si rispecchia affatto, la vetta delle Hit Parade con il suo tormentone estivo “Ossessione Onirica”, il nome d’arte Boavida (che poi di arte non ha davvero un cazzo, osserva giustamente Ernesto), una comparsa al Festivalbar e i movimenti sul palco alla Mauro Repetto (se non sai chi sia, vedi alla voce “quello biondo degli 883”), la partecipazione a Sanremo con una canzone riassunta tutta nell’ultimo verso che dice: senza dir nulla ho scritto una canzone, il declino, l’abisso, il dimenticatoio.

Non c’è niente di nuovo in tutto questo, mi direte. Infatti, è proprio questo il dramma. Ormai ci siamo talmente assuefatti ai tormentoni non più solo estivi, ma a cadenza mensile, ai successi che vanno e vengono con la velocità di un’eiaculazione precoce, che non ci rendiamo più conto di quanto un artista si trovi un giorno sulla vetta del mondo, e quello successivo nello strapiombo della dimenticanza. Ma di quale vetta stiamo parlando? Per Ernesto la vetta del successo ha coinciso esattamente con l’abisso in cui è caduta la sua anima. Ossessione Onirica, Ossessione Onirica ribelle: ma quale ribellione? L’alienazione totale, piuttosto: testi “disimpegnati” nei confronti anche di sé stessi. Canzoni che non devono far pensare, canzoni da canticchiare e basta, canzoni da una botta e via. E nulla più. Il caso ha voluto che stessi leggendo questo libro e facendo queste considerazioni proprio il giorno in cui ho letto che Valerio Scanu (si, proprio lui, quello dell’amoreintuttiimodiintuttiiluoghiintuttiilaghi) ha strappato il contratto con la sua ormai ex casa discografica e ha deciso di auto prodursi. E forse è un caso anche che mentre in Domani No si racconta dei perfidi meccanismi dei Talent Show, mi capita di leggere del giudice che ha rivolto insulti ad un cantante omosessuale durante l’edizione Rumena di X-Factor. Ora, non starò a sindacare su quanto la grettezza delle affermazioni di quel giudice abbiano a che fare con il fattore spettacolo; so solo che ancora una volta si è persa una buona occasione per far prevalere il buongusto, e che il libro che stavo leggendo purtroppo aveva a che fare irrimediabilmente con la realtà.

Alle volte però la vita si sa è strana, e proprio quando sei convinto che la strada che stai seguendo sia quella giusta, ti costringe a deragliare e a prenderne un’altra. Proprio come succede ad Ernesto. Ma non starò a raccontarvi altro, lascerò a voi la scelta di leggere o meno questo romanzo, che è fatto di musica, senz’altro, ma anche di amicizia, “drammi” familiari, amore, di band che si sciolgono e di band che nascono, di furgoni e camper su e giù per l’Italia, di critici musicali che con i loro editoriali sembrano decretare la tua fine ma in realtà è solo un nuovo inizio, dei soldi che non sono mai abbastanza, e di questa Generazione di Fenomeni che siamo noi, esperti in salti mortali, si, quelli che si fanno per arrivare a fine mese. E forse è per questo che siamo maggiormente sensibili a quei treni che a quanto pare  passano una sola volta nella vita. Come il treno del successo, ad esempio: se non lo prendi al volo non ti ricapiterà mai più. Ma a quale prezzo si sale su questo fantastico treno? Che costo ha questo maledetto biglietto? È una domanda che faccio a chi ha una band, ma anche a chi una band non ce l’ha, e spera in ogni di caso di poter vivere un giorno di musica. Siamo realisti, qua non si campa d’aria, anche se i Folkabbestia per anni hanno affermato il contrario. Ma esiste un limite oltre al quale non ci si può spingere? Fino a quando è accettabile il compromesso? Ed il successo può davvero definirsi tale anche quando porta alla negazione di sé stessi?

C’è un passaggio del libro che mi ha colpito particolarmente. Ernesto, Ciccio e Tony (altri due personaggi fondamentali) si interrogano sul da farsi circa il loro futuro di musicisti e di Band. Il discorso prende una piega strana e i tre amici cominciano ad interrogarsi su quale sia la chiave del successo. Quello con le idee più chiare è Ciccio: a me non interessa far parte di un mercato marcio dove ti vendono come un paio di scarpe finché non passi di moda. Il più incerto invece è, come al solito, Ernesto: tanto non la capirò mai qual è la chiave del successo, afferma sconsolato. Prova a non cercarla, gli risponde Tony. A quel punto ci pensa Ciccio a chiudere la questione; Io non so quale sia la chiave del successo, ma la chiave del fallimento è il cercare di piacere a tutti. Io aggiungo che la chiave del fallimento è anche non piacere soprattutto a sé stessi.

Ps. Alcuni pezzi di Ernestoc’è sono diventati davvero delle canzoni in seguito. Qui sotto trovate ad esempio “Domani No”

Intervista all’autore:

Ciao Cristiano, cominciamo dal titolo del romanzo: Domani No. Oltre ad essere anche il titolo di una canzone di Ernestoc’è, il personaggio principale, ha qualche altro significato in particolare?
Domani No è un invito a fare quello che ti senti, quello che ti dice la testa, o se vuoi il cuore. È come quando tiri una monetina in aria per scegliere tra due possibilità e sai già inconsciamente cosa preferisci tra testa o croce. Domani No è un modo per dire che nella vita si può anche attendere qualcosa di bello, ma non passivamente. Altrimenti non succederà assolutamente nulla. E questo Ernesto lo sa.

Nella postfazione al romanzo hai affermato che la lettura della biografia di Caparezza e Fabri Fibra è stata decisiva per delineare il personaggio di Ernesto. Come mai? Ci sono stati altri musicisti o band dai quali hai tratto ispirazione?
De Gregori, Guccini, i grandi cantautori. Gruppi come i Folkabbestia o la Bandabardò, i Martin Kleid, alcune belle sorprese come Mannarino e Brunori Sas. Ma Caparezza e Fabri Fibra sono i due che, con le loro peculiarità, meglio rappresentano Ernesto. E inoltre rappresentano le “mie” regioni: la Puglia e le Marche, luogo dove vivo.

Sempre nella postfazione hai scritto: “Io non sono un esperto di musica. Per scrivere questa storia ho dovuto studiare molto”. Cosa ti ha spinto allora a scrivere un romanzo dove la musica ha un ruolo tutt’altro che marginale, anzi, è una delle protagoniste principali?
Mi piace definire Domani No un romanzo di frustrazione. Nel senso che io volevo fare il cantante, e ho scritto anche diverse canzoni, poi non ci sono riuscito ma quella è un’altra storia. Purtroppo non ho la voce giusta. In ogni caso il mondo della musica, soprattutto quella italiana, mi ha sempre affascinato. E credo di saperne qualcosa, pur non essendo un cantante.

Qual è il tuo rapporto con la musica oggi? Scrivere questo romanzo ha cambiato questo rapporto? Se si, in che modo?
Ci sto più attento, nel senso che non scaricherei mai un brano gratis e dico davvero. Rispetto il lavoro dei musicisti, sono iscritto a Spotify a pagamento, scarico da iTunes. Ascolto anche i cantautori non ancora famosi e se posso cerco di conoscerli magari per coinvolgerli nelle mie presentazioni. Così è stato con Fabrizio D’Elia, che ha musicato “Domani No” (la trovate su Youtube) ed ha reso indimenticabile la presentazione di Bari, a Storie del Vecchio Sud accompagnandomi con la chitarra e con la voce.

Leggere il tuo romanzo è anche un bel modo di attraversare in lungo e in largo l’Italia: si parte da Bari per poi arrivare a Bologna, Roma, Milano. C’è perfino una tappa straniera in Albania. A Bari ti lega il fatto di esserci nato e vissuto, immagino. C’è qualcosa che invece ti lega agli altri luoghi menzionati?
Bologna, Roma e Milano sono tappe intermedie della mia vita. Per un motivo o per un altro ho avuto modo di conoscerle, apprezzarle e in alcuni casi disprezzarle, proprio come Ernesto. L’Albania rappresenta nel libro il luogo della redenzione, è il posto dove tutto ricomincia. E lo è stato anche per me, in maniera simbolica. Albanese è la ragazza che ho amato come poche altre cose al mondo. Albanese la sua famiglia, e il legame che si è creato con questa terra e con questa gente, nonostante le nostre strade si siano separate è indissolubile. L’Aquila ha due teste fa parte di me.

Sul mio libro c’è una dedica che recita: A Maria, ringraziandola per la domanda che sognavo da una vita. Ps. Non è un romanzo autobiografico!
Lo spieghi anche ai lettori di Rockambula perché per te è così importante che  non lo sia? Ed in ogni caso, sei proprio sicuro che non lo sia?
Sì, sono sicuro. Io non sono Ernesto, al massimo è lui che copia me e mi costringe a diventare come lui. Ma io resisto. Ho scritte diverse cose autobiografiche in vita mia, per questo stavolta era importante che questa storia non lo fosse. Era una sfida, volevo vivere un’altra vita, quella di un cantante famoso e di un ragazzo deluso per amore, in un momento in cui la mia vita sentimentale andava benissimo. Poi lascia stare che a me è successo esattamente quello che è successo a Ernesto. Se volete sapere cosa mi è successo leggete il romanzo!

Grazie Cristiano. Per finire la Domanda delle domande (o meglio, la Risposta delle risposte, se deciderai di rispondere): cosa avresti voluto che ti chiedessi e che, invece, non ti ho chiesto?
Sinceramente mi sono divertito a rispondere a domande diverse dal solito e quindi non posso fare altro che ringraziarti. Ma visto che me lo chiedi mi domando “Domani No potrebbe diventare un film?” e con un pizzico di presunzione di dico di sì, perché credo che la forza di questo romanzo sia la sceneggiatura, con dei flashback e dei personaggi fatti apposta per il cinema. Anzi, conosci un regista?

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Ecco le nuove uscite più attese del 2014!!! Prendete carta e penna…

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Evitando di farci prendere da facili entusiasmi, dai nostri desideri e di farci trascinare nel vortice delle “voci di corridoio”, cerchiamo di fare il punto su quelle che saranno solo alcune delle uscite più interessanti previste per il 2014, sia album che singoli ed Ep.  Dopo due anni o poco meno tornano i Maximo Park con il nuovo album Too Much Information in uscita a febbraio, insieme ai Tinariwen con Emmaar, a The Notwist e a St. Vincent. Ci sarà da aspettare molto meno invece per Metallica e il loro film documentario Through the Never e il nuovo full length Pontiak, INNOCENCE (28 gennaio), cosi come per il grande Mike Oldfield che dopo il non entusiasmante remix del suo capolavoro torna con Man on the Rocks (27 gennaio). Tra le tante raccolte che ci accompagneranno, da non perdere Original Album Series (24 gennaio) di Kevin Ayers e The Beatles con The U.S. Albums (21 gennaio).

Ci attende una svolta stilistica non indifferente e che non vogliamo anticiparvi, nel nuovo Alcest mentre segnatevi da qualche parte la data del 21 gennaio perché in uscita c’è il nuovo Ep di Glenn Branca, Lesson No. 1. Ci sarà non troppo da aspettare anche per vedere e leggere la recensione di Rave Tapes dei Mogwai mentre gli amanti dell’Idm si preparino al nuovo singolo targato Moderat cosi come i fanatici Ambient non dovranno aspettare molto per ascoltare  bvdub, già uscito nel 2013 (in coppia con Loscil) e prontissimo con un nuovo lavoro. Poche aspettative (eppure siamo molto curiosi) per il nuovo dei folli giapponesi Polysics, Action!!! (15 gennaio) mentre molte di più sono quelle per i Sunn O))) (che usciranno, quest’anno anche con Terrestrials, insieme agli Ulver) LA Reh 012 (13 gennaio). Per i fan più accaniti, annunciamo anche l’imminente uscita di Bruce Springsteen con High Hopes (10 gennaio) mentre proprio da due giorni è disponibile uno dei lavori più attesi, da noi amanti del Neo-Gaze, Cannibal singolo dei Silversun Pickups. Quasi dimenticavo anche l’ex Pavement, Stephen Malkmus & The Jicks con l’album Wig Out at Jagbags e poi Present Tense dei Wild Beasts.

Lasciamo per un attimo il panorama internazionale e guardiamo che succederà in casa nostra. Dente con Almanacco del Giorno Prima è pronto per gennaio. Con lui anche i Farglow, Meteor Remotes e gli Hysterical Sublime con Colours Ep. Tornano i Linea77 e speriamo che C’Eravamo Tanto Armati ne possa risollevare almeno un po’ le sorti. Quasi certa la prossima uscita per la ristampa di Da Qui dei Massimo Volume. Tra i lavori italiani più attesi non può mancare L’Amore Finché Dura, dei Non Voglio Che Clara mentre penso che si potrà fare a meno di ascoltare Omar Pedrini e il suo ultimo Che ci Vado a Fare a Londra, anche se un minuto di attenzione non si nega a nessuno. Paolo Fresu è in uscita con Vino Dentro mentre farà parlare, sparlare e litigare Canzoni Contro la Natura degli Zen Circus cosi come Brunori Sas e il suo Vol.3, Il Cammino di Santiago in Taxi. Nel frattempo ho già iniziato l’ascolto di Uno Bianca, il concept album di Bologna Violenta, in uscita il prossimo 24 febbraio.

Mettiamo da parte le uscite certe per questi primi mesi dell’anno e diamo ora uno sguardo più lontano nel tempo. Pare che Damon Albarn, leader di Blur e Gorillaz sia pronto per un album solista ma molto più atteso, almeno per quanto mi riguarda, è il nuovo album degli Have a Nice Life. Poi sarà certamente l’anno del nuovo U2, dei Foo Fighters e di Lana del Ray. Sale l’attesa per il nuovo di Beck, la cui uscita sembra quasi certa per il finire di febbraio, mentre ancora tutto da chiarire per quanto riguarda le nuove fatiche di Tool, Pharrell, Frank Ocean, Mastodon, Burial, Giorgio Moroder, Brody Dalle, Cloud Nothings, Flying Lotus, Grimes e The Kills.

Io mi segno almeno una decina di nomi, per gli altri vedremo. Nel frattempo speriamo che il 2014 ci regali qualche sorpresa in più rispetto a queste anticipazioni perché i nomi, nel complesso, non lasciano certo sperare in un’annata da ricordare. Comunque, ci sono sempre gli esordienti, magari ancora sconosciuti, da tenere in considerazione. Saranno loro a farci sognare, non ne dubito.

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Brunori SAS nuovo disco e tour nel 2014

Written by Senza categoria

Esce il 4 Febbraio Vol.3 (Il Cammino di Santiago in Taxi) per Picicca Dischi/Sony Music il nuovo disco della Brunori SAS del cantautore calabrese Dario Brunori, e subito dopo a distanza di un mese partirà l’omonimo tour. Ecco le prime date annunciate :

6 marzo – Milano, Alcatraz
8 marzo – Firenze, Flog
14 marzo – Torino, Hiroshima Mon Amour
15 marzo – Genova, Teatro dell’Archivolto
19 marzo – Padova, Alta fedeltà c/o Geoxino
21 marzo – Bologna, Locomotiv Club
22 marzo – Verona, Emporio Malkovich
27 marzo – Cosenza, Teatro Auditorium Unical
29 marzo – Roma, Atlantico
4 aprile – Palermo, I Candelai
5 aprile – Catania, Mercati Generali
10 aprile – Perugia, Afterlife
11 aprile – Napoli, Casa della musica
12 aprile – Bari, Demodè
18 aprile – Livorno, The Cage
19 aprile – Teramo, Pin-up

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Massimo Volume 09/11/2013

Written by Live Report

Non ricordo neanche più quanti anni sono passati dall’ultima volta che ho visto Clementi con i Massimo Volume dal vivo in un palco d’Abruzzo. Non troppi in realtà. Doveva essere un festival estivo in zona Roseto e con loro c’erano altre band tra cui i mitologici Wave Pictures e i Glasvegas, band allora in ascesa, ora persa in un vuoto neanche troppo inatteso. Adesso che ricordo meglio era il Soundlabs, era proprio Roseto ed era il 2009 e il giorno dopo, su quello stesso palcoscenico, sarebbero saliti José Gonzales, Uzeda, Zu, Wildbirds & Peacedrums e Dente. Quel venerdì però macinammo centinaia di chilometri e birra e gin solo per loro, quella leggendaria band bolognese che ha marchiato a fuoco gli anni 90 di noi giovani, ragazzini disillusi che qualcuno diceva essere il futuro della nazione e che si ritrovano in troppi a sputare sangue dalle orecchie in Call Center moralmente devastanti. Nessun nuovo disco da presentare in quell’occasione ma solo la voglia di rimarcare il mito sul palco del Soundlabs.

Quattro anni dopo sono cambiate tante cose e un ventinovenne con la testa di un ragazzino attaccato ai suoi diciotto anni è diventato un uomo più vecchio, non solo tra le pieghe del volto. Vittoria Burattini (drums), Emidio Clementi (voce, basso), Egle Sommacal (chitarra) e Stefano Pilia (chitarra) oggi hanno sulle spalle un paio di gioielli in più da mostrare. Cattive Abitudini usciva solo l’anno seguente mentre di qualche settimana fa è Aspettando i Barbari. Due album destinati a entrare nell’Olimpo del Rock alternativo italiano, nonostante l’età non solo anagrafica, dei suoi compositori e due album che sul palco del Pin Up mi si sono rivelati in tutta la loro enfatica magnificenza. In fondo mi aspettavo proprio questo. Il concerto non poteva essere un lento scorrere degli anni migliori della band emiliana ma avrebbe avuto l’esigenza di esporre le nuove forme. I due dischi sono stati sviscerati smascherando tutta la loro eccellenza in chiave live e accentuando anche delle differenze strutturali con il capolavoro del 1995, Lungo i Bordi, impareggiabile in quanto a tensione emotiva ma assolutamente affiancabile alle nuove cose come forza, brutalità, prepotenza.

Proprio l’energia è stata la protagonista assoluta del palco, toccando l’apice in un brano che su disco aveva lasciato non poco scetticismo, “Vic Chesnutt”. Questa vitalità toglierà un po’ di spazio agli atteggiamenti più intimi, quasi sacrali e meditativi che contraddistinguono le canzoni del periodo post Demo e quando Clementi e Sommacal provano ad affogarci in una marea di note che rischia di trascinarci in una dimensione psichica parallela, il momento è demolito da una tizia ubriaca che grida “du palle”. Clementi, col suo sguardo spiritato, la cerca ma non la trova, nonostante fosse a venti centimetri da lei e non so se in fondo sia stato meglio cosi. La tipa non riesce a fare altro che bere, urlare quando tutti stanno zitti, chiamare Sommacal per nome molestandolo palesemente e blaterare con due signore un po’ in là con gli anni che non hanno fatto altro che ballare come fossero a un live di Vasco (avete presente quel movimento destra/sinistra di corpo e testa, generalmente accompagnato da un accendino? A loro mancava solo quest’ultimo ma in compenso avevano dei cellulari sempre pronti per scattare foto. Che cavolo dovranno farci con una quantità simile di foto in pessima risoluzione è un mistero).

Regalano due bis e riesco a godermene uno un po’ in disparte dalla folla, malauguratamente mai uguale a come la vorresti tu, in queste occasioni. I Massimo Volume passano con disarmante disinvoltura (poche sbavature degne di nota) dai brani del nuovo album a quelli di Cattive Abitudini (splendide “Coney Island”, “Le Nostre Ore Contate”, “Litio” e “Fausto”), fino a scivolare nel passato di Club Privé (“Altri Nomi”) e Da Qui (“Senza un Posto Dove Dormire” e “Sotto il Cielo”) per esaltarsi e farci godere con i pezzi di Lungo i Bordi (“Fuoco Fatuo” e “Il Primo Dio” da pelle d’oca). Un concerto lunghissimo, che ha davvero accontentato tutti, dai fan dell’ultima ora fino ai vecchi affezionati, con una sola imperfezione evidente in uno stacco splendidamente ripreso da Clementi in veste di direttore d’orchestra. Chi si aspettava un concerto nel quale ritrovarsi assorti sarà rimasto deluso perché sembrano finiti i tempi delle illusioni e del sogno, lasciando spazio alla veemenza chiusa tutta negli occhi spiritati di un Clementi in forma smagliante, nel sudore di Burattini, nelle dita di Sommacal e nelle pulsioni viscerali di Pilia. I Massimo Volume non invecchiano mai, al massimo diventano più grandi.

P.s. in apertura ai Massimo Volume, il pubblico del Pin Up, locale che anno dopo anno si conferma come il migliore del centro Italia per le esibizioni dal vivo (ora anche con una più adeguata resa sonora) ha potuto godere l’esibizione dei marchigiani Dadamatto di Senigallia, formazione giovanissima ma con, all’attivo, già tre album. La loro è una proposta variegata e che suscita diverse contrastanti emozioni e diversi giudizi di gusto. Certo è che i tre ci sanno fare sul palco, per niente intimoriti dal pubblico solitamente poco elegante e generoso con i gruppi spalla, né dal peso della fama di chi li avrebbe seguiti. Forse qualche eccesso teatrale di troppo ma niente da dire in quanto a presenza scenica. Quello che non è piaciuto molto è il cantato, che talvolta ha rasentato dei picchi d’imperfezione (non di quella volutamente lo-fi, sia chiaro) preoccupanti e la composizione dei brani, che arrancavano ora in un cantautorato in stile Brunori Sas, ora in un Noise Rock che ricordava i fasti di un Godano nineties, ora in passaggi strumentali di difficile comprensione, altri in un Post Rock quasi imitante i bolognesi con i quali avrebbero a breve condiviso il palco.

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