Cantautorato Tag Archive

Mirco Menna – Io, Domenico e Tu

Written by Recensioni

Più che esser di fronte a una classica operazione nostalgia ci troviamo davanti a un piccolo sussidiario che riassume in breve le origini della musica italiana. In fondo (si può dire senza problema) se non ci fosse stato Domenico Modugno come si sarebbe evoluto il panorama musicale italico? Probabilmente, a distanza di oltre sessant’anni dall’esordio del grande cantautore di Polignano a Mare, non ci sarebbero stati neanche grandi autori quali De Andrè, De Gregori, Paoli, Battiato, Capossela e chi più ne ha più ne metta. Come dire: tutto ebbe origine da lui. Ecco quindi spiegato il sincero omaggio a un artista che ha segnato indelebilmente la storia del secolo scorso e la cui “Nel Blu Dipinto di Blu” è senza dubbio la canzone italiana più nota al mondo. Il progetto nasce dall’intensa attività live di Mirco Menna che ha voluto concretizzare in Io, Domenico e Tu tutta la sua passione verso Modugno e le sue opere. Protagonista è il carattere inconfondibile del cantautore bolognese Mirco Menna che porta in scena un lavoro che non racconta solo un concerto registrato presso La Casa della Musica di Trieste mentre era accompagnato sul palco da Enrico Guerzoni al violoncello, Maurizio Piancastelli alla tromba e tastiere e Roberto Rossi alla batteria, percussioni, flauto e cori. Mirco Menna, bolognese di origine, classe 1963, autore e compositore, del resto aveva dimostrato tutto il suo valore già in passato nei suoi dodici anni di carriera ricevendo persino i complimenti di Paolo Conte e vantando collaborazioni eccelse quali quella con Fernanda Pivano in Ecco, suo disco del 2006. Per chi volesse poi confrontarsi anche col suo talento letterario consigliamo vivamente anche ‘118 frammenti apocrifi’, sua prima opera letteraria da poco uscita per Editrice Zona. Bellissimi anche gli interventi di Patrizia Cirulli in “Tu si ‘na Cosa Grande”e di Mario Incudine in “La Ronna Riccia” Un lavoro che si discosta leggermente dalla produzione de Il Parto delle Nuvole Pesanti, di cui Mirco Menna è il cantante e frontman dopo l’uscita dal gruppo di Peppe Voltarelli ma che certamente non mancherà di entusiasmare tutti i suoi fan. Soprattutto quando sentiranno l’originale esecuzione di “Vecchio Frack” e “Malarrazza”. Quest’ultima anche mi fa tornare alla mente una versione (molto differente ma sempre di ottimo livello) che vidi un paio di anni fa su Youtube con Carmen Consoli che duettava con artisti quali Kaballà e Mario Venuti.

Nel disco trovano spazio anche diverse canzoni “minori” di Modugno quali “La Donna Riccia” (fra i più umoristici e sarcastici tra quelli del cantautore) e “U Pisci Spada” (che originariamente era intitolato “Lu Pisce Spada”). Curiosamente tra l’altro i due brani erano il lato a e il lato b del terzo singolo di Modugno che all’epoca venne stampato anche in versione 78 giri! Un progetto insomma quello di Mirco Menna  variegato ed autentico che mette in evidenza l’ecletticità sia di Menna che del grande Mimmo.

Read More

Delsaceleste – Le Orme dei Miei Passi

Written by Recensioni

Dopo tre anni di pausa e un viaggio ispiratore in Australia, Marco del Santo, in arte Delsaceleste, ritorna sulla scena milanese con un nuovo album intitolato Le Orme dei Miei Passi. Come recita il titolo, l’album si contraddistingue per essere un vero è proprio concept che trae linfa dall’esperienza di Marco in Australia e racconta i suoi passi in un viaggio che ha il punto di partenza in una relazione finita, per poi però attraversare in maniera itinerante le sensazioni e le emozioni che scaturiscono nell’affrontare spazi immensi e dolci solitudini. La storia di Delsaceleste inizia con un breve intro strumentale dal titolo criptico “EK 092”, che subito mette in chiaro le capacità compositive di Marco, ribadite nel secondo pezzo strumentale, terzo per posizione, “Pensieri in Volo”, che rappresenta anche uno dei momenti migliori dell’album, un classico andante in cui un leggero ed emotivo pianoforte chiacchiera amabilmente con un corposo violino, forse un po’ lungo ma veramente godibile. L’album si divide a grandi linee in due macro momenti, il primo dal sapore retrò con arrangiamenti e ritmi che richiamano gli anni 60, ed evocano paesaggi lontani e sbiaditi dal sole come in “Spazi Immensi” e “Dolce Solitudine”.

Il momento di svolta verso il secondo momento inizia con il brano “Ombre”, ma viene sancito con “Soltanto Polvere” ritmata con una batteria più incisiva e meno pacifica. I suoni  si incupiscono lievemente e la voce si dilatata come in “Le Orme dei Miei Passi” ponendo l’accento sul senso di smarrimento e il lato oscuro, che però prima dei “Titoli di Coda” si dissolve come una leggera nebbia per lasciare spazio ad un meritato lieto fine e a un sé ritrovato e più consapevole. Le Ombre dei Miei Passi è un album che racconta un percorso di evoluzione cui però manca la narrazione dello strazio e della lacerazione a favore di un perdersi e vagare temperato e calmo. I suoni mitigano il necessario dolore per disperderlo negli spazi descritti e la parte testuale non riesce ad essere altrettanto incisiva. Le capacità compositive ci sono e lo dimostrano i tre pezzi strumentali, che paradossalmente riescono a comunicare meglio delle parole. L’ascolto è piacevole e scorre senza intoppi ma al tempo stesso non rimane impresso e scivola via..

Read More

Pierpaolo Capovilla – Obtorto Collo

Written by Recensioni

Nudo e pesante: le prime parole che affollano la mia mente ascoltando questo nuovo lavoro di Pierpaolo Capovilla. Il ben noto frontman de Il Teatro degli Orrori e dei One Dimensional Man tenta la strada solista attraverso undici episodi di pura maledizione: Obtorto Collo. È senza ombra di dubbio un disco viscerale, con il quale il Capovilla si mette a nudo, mostrando quanto di più profondo, libero dagli schemi del Rock, dalla ritmica e da ogni altra forma di indirizzamento. S’incammina in una nuova strada, tortuosa e buia, sperimentando a tratti uno scurissimo reading sulle note di Paki Zennaro. Già in passato la sua musica ha suscitato non poche critiche, risultando complessa ed affascinante allo stesso tempo e generando un’ambigua scissione fra odio e amore. Un po’ come accade per i Marta sui Tubi, il cui pubblico è scisso: o 10 o 0, nessun brano escluso. Capovilla è uno a cui non piacciono mezzi termini nè scale di grigi. È tutto o niente. L’ultimo lavoro ne è la prova.

Obtorto Collo è un lavoro di estrema ambizione, fin troppo sperimentale: è Icaro, incontentabile e presuntuoso. Capovilla demolisce poco a poco ogni forma di armonia, cedendo il passo alla mera poesia. Riesce ad andare oltre. Un poeta maledetto. Racconta di storie tragiche, di storie vere, di intellettuali rom di periferia, di violenza e di maltrattamenti ospedalieri. Racconta dolore su note buie, attraversando capitoli di tremenda agonia come “Ottantadue Ore”, capitoli di sfogo politico e capitoli di più lieve impatto e maggiore armonia, quali “La Luce delle Stelle”. La title track è l’assoluta maledizione del poeta. Fra strumentale e parlato è in grado di generare la più profonda angoscia nell’ascoltatore. È il teatro dell’oscuro e, personalmente, lo trovo un estremo azzardo. Troppo estremo.

Sono molti i punti in cui la critica ha riscontrato un avvicinamento ai Massimo Volume, ma francamente lo trovo un paragone forzato ed assolutamente fuori luogo. Le differenze sono enormi! Tematiche, generi e musicalità sono lontani anni luce. Il sol fatto di adottare un reading style non comporta la possibilità di raffronti. Sfatato questo mito, posso affermare che, personalmente, trovo il disco eccessivamente complesso, molto più del necessario. Un artista come Capovilla può certamente darsi arie e permettersi  di osare, ma per lanciare un messaggio è necessario adottare il linguaggio del popolo. Troppa distanza, troppo buio, troppa sperimentazione, troppa intimità. “Invitami”, primo episodio, è un sunto perfetto al riguardo. Il mio giudizio si basa sull’aver troppo osato, sull’essere andati troppo oltre. Restano i complimenti per l’incredibile personalità mostrata ancora una volta. Pierpaolo Capovilla conferma la sua intellettualissima vena artistica, dando prova di potere praticamente tutto. Ma troppo oltre trovi il nulla e dal nulla non si emerge. Cinque e non di più. Anche Icaro volò in alto, ma così in alto che il Sole sciolse la cera che gli teneva le ali. E cadde giù.

Read More

Ismael – Tre

Written by Recensioni

Un’interessante prova questo Tre degli Ismael, band reggiana con la peculiarità di avere come frontman Sandro Campani, che fa lo scrittore (lo scrittore “vero”, che dovrebbe voler dire “pubblicato” – l’ultimo libro è uscito per Rizzoli). Una peculiarità che non è solo di contorno, non è solo materiale promozionale: ma ci torniamo dopo. Tre è, musicalmente, un disco secco, per la maggior parte, elettrico e nervoso, essenziale, scarno, spigoloso, che sa però bagnarsi , qua e là (“Tema di Irene”), in lente evoluzioni Slow Core, Post Rock, fatte di chitarre ipnotiche e organi umidi. Sono interessanti anche le digressioni “Americana” (“Canzone del Bisonte”, con una chitarra acustica dal ritmo country e dal giro armonico molto seventies, o il finale di “Canzone di Quello”, epico-campagnolo). I riferimenti sono molto anni 90, e se dovessi giocare alle libere associazioni direi che mi ricordano molto Il Teatro degli Orrori in versione meno heavy (date un ascolto al finale di “Palinka”): vocazione letteraria (in senso lato) simile, voce asciutta e un cantato lineare, declamatorio, e più grunge, meno virtuosismo.

La parte veramente interessante del disco è comunque, e fuor di dubbio, quella relativa alle liriche e alle ambientazioni dei brani, che “sanno soprattutto di terra, di legno e di cielo”. I testi sono eccezionali, in senso letterale: eccezioni rispetto alla regola del Rock nostrano che spesso, liricamente, è banale e goffo. Qui invece le parole di Sandro Campani disegnano acquerelli complessi e affascinanti, in cui s’intravede la sua abilità di narratore (desunta, ovviamente: non mi è – ancora – capitato di leggere nulla della sua produzione letteraria). Dalle canzoni più brevi – penso alla title track – che colpiscono come colpi di fucile, lasciando schizzi di sangue da interpretare come auspici, nascosti tra le pause e i tempi dilatati (Di pomeriggio, dopo le tre / Esci da casa sua, e piove. / C’è quell’odore di polvere. / C’era una frase, non sai dov’è. // Gli hai detto: «Grazie.» – «Non c’è di che.» / La pioggia batte la cenere. / C’era una gioia che ora non c’è / quel pomeriggio, dopo le tre. // La pioggia lava le lettere / non è leggero da leggere), fino a brani liricamente più densi, visionari, che passano da forme animali e gesti quotidiani ad aperture liberatorie, di una poesia minimale (“Canzone del Cigno”: E dopo, dopo lei si è alzata con le mani impolverate, piene di polvere nera, sollevando le braccia vuote verso il cielo vuoto, mentre usciva a camminare attraverso strade distrutte; “S’Arrampicavano”: uno sciupìo, una fotta di fiorire, che sembra urlare di quelle accoglienze da segnare in calendario, le manie di far per forza effetto, e io pensando a questo, io, lo so, ci provo a esser contento, fosse in me ci riuscirei.).

Tre è insomma un disco che vi consiglio, non fosse altro per le storie che sa raccontare, fatte di sentimenti, angosce, crudeltà, limpidezze. La musica le accompagna, ancella e amante, con oculatezza e parsimonia. Un disco con cui farsi male, piacevolmente. In cuffia, una sera di pioggia, da soli.

Read More

gianCarlo Onorato / Cristiano Godano – Ex Live

Written by Recensioni

In breve: gianCarlo Onorato, musicista, pittore e scrittore, scrive un libro, un saggio sui generis che è una sorta di autobiografia attraverso istantanee fatte di musica e canzoni: “Ex – Semi di Musica Vivifica”. Il passo dalla penna alla chitarra è brevissimo, e presto Onorato si trova in giro per l’Italia a portare sui palchi un concerto/reading ispirato al suo libro, in compagnia di Cristiano Godano, cantante dei Marlene Kuntz, che lo affianca come un doppelganger dialogante. Ed ecco poi che il concerto si trasforma in disco, tutto registrato dal vivo nella data alla Latteria Artigianale Molloy di Brescia, nel dicembre 2013. Il disco è un esperimento interessante, che unisce in scaletta brani di Onorato e dei Marlene Kuntz, oltre a cover di pezzi di Lou Reed, Velvet Underground, Beck, Neil Young, Nick Cave,  il tutto inframmezzato da brevi reading tratti dal libro. La grande vittoria del duo è quella di riuscire a miscelare tutto senza troppi scossoni, complice un organico ridotto all’osso (oltre ai due cantanti, troviamo solo tre musicisti ad accompagnare con mano leggera il percorso, tra chitarre umide, pianoforti, percussioni varie, organi, batteria…). Il mood del disco è sommesso, sussurrato, tra scariche sensuali e malinconie tiepide, in una pasta che la registrazione dal vivo aiuta a rendere “vera”, perfetta nelle sue imperfezioni infinitesimali (scusate l’ossimoro). Le canzoni prendono forma nel buio, scintillano nella mani di Onorato e del suo doppio, che le rigirano, le accarezzano, le mangiano e le risputano sottovoce, ma se è un bisbiglio, è comunque carico, appassionante, cosciente (“Perfect Day”). I reading scivolano, alternando al loro interno passaggi più riusciti (l’iniziale “Non Già il Suono Organizzato”) a brani meno coerenti, ma non per questo privi di fascino (“Chitarra Fender Telecaster”) – e la voce di Onorato si presta con dolcezza alla narrazione e alla sua atmosfera.

Un disco da provare, per farsi un piccolo viaggio organizzato nel mondo interiore di gianCarlo Onorato. E ammettendo pure che questo viaggio non abbia un valore universale (potremmo discuterne), è pur sempre vero che il racconto ne esce solido, compatto e piacevole. E magari, alla fine, scoprirete di esserne più conquistati di quanto avreste pensato prima di ascoltarlo. Non sarebbe una sensazione bellissima?

Read More

Dagomago – Evviva la Deriva

Written by Recensioni

Comodo definirsi Indie Rock quando si sa bene che vuol dire tutto o niente. E così i Dagomago contornano il loro genere di nessuna specifica e ci obbligano o ad ignorarli per quell’etichetta o ad ascoltarli per forza per giudicare. Evviva la Deriva è il frutto di poco meno di due anni di collaborazione del trio piemontese, eppure è un disco già supportato da un’etichetta, da un bel packaging, da una bella squadra di promozione. “Male”, la traccia di apertura, promette male come il titolo sembra preannunciare visto che apre con una serie di versi in rima, immagini depresse stereotipate, vocali aperte alla Manuel Agnelli. Sembra la solita roba nostrana, già sentita. Ma la band si riscatta con “Le Cabine del Telefono” che si rivela, invece, ben più particolare, con un cantato acido alla Francesco-C e un non so che dei Dari. Questa sensazione prosegue con “Cucinami Se Vuoi”, una canzone d’amore finito che ha più il sapore Punk di un vaffanculo che quello di una ballad di addio. Bella, mi ha fatto ridere. E anche con la successiva “Cervello in Fuga” capiamo che i Dagomago non sono la solita band nostrana che si piange addosso. Anzi: sembrano di proposito riprendere nei titoli tematiche care al Rock di protesta italiota per farne una bella caricatura, come in questo caso, in cui il testo recita “Il mio cervello è in fuga e io non gli sto più dietro” mentre la musica è una scanzonata serie di passaggi accordali delle tastiere, direttamente dagli anni 80. E si gioca con gli stereotipi anche in “La Vita Acida”, tra musicisti che suonano davanti a nessuno, Roma ladrona, la Milano da bere. Ok, non è che siamo di fronte a degli idioti o a dei ragazzotti leggeri che scherzano su tutto e non riescono a prendere niente sul serio. Evviva La Deriva è un album lucido, che affronta semplicemente da un altro punto di vista e con un altro piglio. E la faccenda è evidente in “Apprendista a Tempo Indeterminato”, un insieme di malessere diffuso che attraversa longitudinalmente la sfera privata e il contesto sociale, la vita professionale e l’amore. Il tutto condito con una bella chitarra sanguigna che finalmente esce fuori, più che nelle altre tracce, rivelando una certa bravura tecnica. Le tracce confluiscono con molta naturalezza una nell’altra, così “Viva Salsedo!” inizia quasi senza essercene accorti e lascia spazio a “Maninalto”, una marcia che apre a singhiozzo, elettronica e freddissima. Il disco prosegue con “Iocnr”, forse la traccia meno immediata di tutte, complessa nell’arrangiamento, non immediatamente incasellabile in nessun genere, con uno stacco dissonante, artificiale, confusionario. Quando inizia “Tenera È  la Notte”, quindi, la differenza stilistica è notevole: accordi in deelay e cantato soft e fumoso, puntellato da effetti strumentali e doppie voci che danno subito un tocco di etereo al brano. Una bella parentesi o più semplicemente il climax di una maturità che la band sembra andare acquisendo man mano che le tracce scorrono, come in un percorso di formazione. Il cerchio non può che chiudersi con la smentita della prima traccia: “Non Fa Male” è un’altra ballata, che richiama vagamente i Perturbazione per l’arrangiamento e gli Eva Mon Amour per il mood delle liriche.

Nel complesso è un disco che si fa ascoltare e che può rivelare anche qualche bella sorpresa. Ve lo consiglio, e, se vi capita, andate a vederveli dal vivo già che sono in tour.

Read More

Fedora Saura – La Via della Salute

Written by Recensioni

Vengono dalla Svizzera i Fedora Saura, “cavallina storna da corsa e quintetto di musica contemporanea”. Picchiano e spiazzano, gridano e ballano, e il tutto è così dannatamente fuori di testa da risultare quasi affascinante. Ritmi sghembi, suoni grezzi, violenti e giocosi, e la voce: una voce che è vera protagonista, quella voce così gaberiana che foss’anche solo per il timbro ci piazzerebbe nel cervello il termine teatro-canzone, ma che in realtà si avvicina più a certe declamazioni salmodianti à la CCCP, come bene fanno notare nella loro cartella stampa. Le nove tracce de La Via della Salute s’affastellano dense e ariose allo stesso tempo: coagulate nel risultare grevi all’ascolto, pesanti come macigni nel loro incedere in vortici dal minutaggio oltraggioso, ma aperte nell’afflato ironico, nel suono ruvido e spezzato, nella parsimonia di strumenti e arrangiamenti che le rende pungenti come aghi e affilate come denti di cane.

Sta tutta qui, credo, la dicotomia del disco, che ce lo fa amare/odiare (“amare” forse è più che altro iperbole, “odiare” s’avvicina di più alla realtà, al fastidio urticante che questo disco emana). Ma non è certo un disco da buttare, anzi: questo fastidio, questa grana grossa che ci disturba è, forse, lo schiaffo che i Fedora Saura vogliono infliggerci. “Un’opera anti-cristiana e anti-capitalistica”, ci dicono, mentre la loro cavalcata sghemba ci disturba e, insieme, sottilmente, ci aggancia e ci incanta, e al terzo, quarto, quinto coraggiosissimo ascolto riesce persino a intrigarci, a farsi attendere, come un desiderio sotterraneo che mai ammetteremmo di provare. Stanno fuori dal tempo e dal mondo, i Fedora Saura, e fuori dal tempo e dal mondo suonano una musica ai limiti, non certo adatta a tutti i palati, ma che a quelli più avvezzi a masticare spigolosità  può anche ricordare gusti sublimi e dimenticati, di un’integrità d’altri tempi.

Read More

Cesare Cremonini – Logico

Written by Recensioni

Luogo di ascolto: in metro, di fronte a un ciccione con un cheesburger grande quanto il mio orgoglio.

Umore: come di chi prova a imparare qualcosa che già sa.

La mia curiosità di recensire Cremonini parte tutta da un punto: dal momento in cui si è sentita per la prima volta uno spezzone del suo primo singolo nello spot dell’Algida (credo). Ebbene quel frammento di canzone deve avere colpito non poco gli abituali detrattori dell’ex enfant prodige del Pop di 50 special, perchè di lì a poco tempo l’etere era tutto un gorgogliare di sperticati ravvedimenti sulla caratura dell’artista; gente che evidentemente aveva bisogno di un temone con synth house per passare dalla parte di quelli che ” devo ricredermi su Cesare Cremonini, forse sto male, ma il disco è una bomba”, oppure “il nuovo di Cremonini ha suoni da Arcade Fire“. Fermo restando che chi vi parla ritiene gli Arcade Fire stessi una band sopravvalutata e modaiola, ho sentito l’obbligo morale di spendere una parola anche io in merito. Mi sono preso la briga di aspettare il nuovo Logico e ho provato a farmi un’idea un pò meno legata agli isterismi concettuali di certa critica, quella di cui non si capisce un cazzo quando scrive, non perchè scriva con parole sofisticate ma perchè scrive roba che non significa un cazzo. Vi dirò, il disco di Cremonini non è male. Ma non erano male nemmeno quelli che lo avevano preceduto. E lo so perchè li avevo ascoltati e lo avevo visto dal vivo più volte. E’ un personaggio multiforme Cremonini, oppure semplicemente in evoluzione e maturazione: dotatissimo musicalmente e con i giusti riferimenti davanti (è uno cresciuto a pane e Queen, per intenderci, altro che Arcade Fire), ha passato un buon decennio per imbruttirsi e sgarruparsi l’immagine per non essere più associato ad una Pop star alla Eros, manco a farlo apposta ha frequentato le donne giuste (Malika) per uscire dalle grinfie dei primi sogni erotici delle quindicenni e entrare in quelli dei salotti con la puzza sotto il naso, ha provato in ogni modo a cancellare la cadenza scanzonata Bolognese, addirittura storpiando l’italiano del suo precedente lavoro fino a farlo assomigliare al calabrese (provare ad ascoltare “Una Come te”), aveva reso espliciti i suoi ascolti dei Beatles nella coda dello stesso pezzo, meritoriamente simile nelle scelte di orchestrazione ad “All You Need is Love” (l’influenza dei Beatles si avverte, ad onor del vero anche nella nuova “Quando Sarò Milionario”).

Non ci è ancora riuscito. Eppure non serviva, perchè chiunque capisca un pò di musica e non abbia l’anello al naso (come spesso chi dice di capire di musica) si era accorto del talento dell’ex Lunapop già da subito. Uno non può vendere 900 mila copie fisiche e far cantare mezza Italia a 17 anni ed essere un brocco. Scrivere una melodia che rimanga è la cosa più difficile, se ti viene così spontaneo parti già molto bene. Andando avanti è cresciuto ed ha ampliato il raggio, ha approfondito i testi, ha reso più ricercata la musica e gli arrangiamenti. Ma la crescita è stata costante e sicuramente faticosa, considerato il successo da giustificare, mantenere e in un certo senso amplificare. Con questo disco il Cremonini non mi sembra abbia fatto il passo decisivo, la tracklist di Logico scorre fluida e rispecchia tutti i temi intimisti della sua poetica, conserva anche quel gusto per le suggestioni american style (in “John Wayne”) tradotte in salsa Padana (nel senso di pianura); non mi sembra però che abbia ancora acquistato quella personalità e quel carisma che serve per farsi chiamare cantautore, se ancora quella parola ha significato. Forse dovrebbe solo fottersene di tutti quelli a cui quel synth di Logico ha fatto così tanto effetto; del resto quelli non comprano i dischi, nè danno alcuna patente di cantautorato. Perchè Battisti della critica se ne fotteva e Rino Gaetano pure, non parliamo dei Beatles e dei Queen: la critica la patente di artisti glie l’ha data vent’anni dopo, molti anni dopo il pubblico. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, non un centesimo di più, nè un centesimo di meno, perchè anche aspettare che arrivi è una bella colonna sonora.

Read More

Od Fulmine – Od Fulmine

Written by Recensioni

I sogni alcune volte riescono a realizzarsi ma le delusioni sono sempre molto più frequenti, la musica d’autore riesce a farci camminare spensierati e pulsanti sopra la bellezza della vita. Perché poi non è necessario esternare le proprie emozioni, potrebbero essere male interpretate e di colpo tutto potrebbe finire. Scrivono canzoni irresistibili come faceva Tenco gli Od Fulmine al debutto discografico con questo omonimo disco. Indie Rock d’autore tanto cercato dai Non Voglio Che Clara e sponsorizzato dai Perturbazione, la tecnica è quella giusta dei bei testi in chiave Rock, la formula perfetta per modernizzare il cantautorato italiano di tanti anni fa. Gli Od Fulmine sono di Genova e provengono da diverse ma affermate realtà musicali (Meganoidi, Numero 6, Esmen), il loro legame con la cosiddetta “scuola genovese” è strettissimo perché oltre Luigi Tenco si percepisce qualcosa di Fabrizio De Andrè e Umberto Bindi. Insomma, hanno imparato dai grandi maestri cercando di mantenere alta la qualità del cantautorato italiano. Brani come “Altrove 2” e “Ma Ha” spiegano benissimo il concetto di fusione tra cantautore e Indie Rock, soprattutto se viene considerato un sound prevalentemente estero e poco italiano. Se poi volete far increspare la pelle avete bisogno di un brano semplice ed emozionale come “Nel Disastro”, un classica struttura compositiva con un ritornello bellissimo: Ma nel disastro mi vedrai sorridere/Sotto un diluvio ritornare in me/Di notte ho visto quello che mi manca e tu mi vieni incontro anche se non lo fai più.

Non è facile trovare il giusto equilibrio nella musica, il rischio di strafare è sempre dietro l’angolo, gli Od Fulmine percepiscono soltanto le parti buone dell’arte, parlano di amore con chitarre indurite, non hanno paura di mettere a vivo i propri sentimenti. L’ascoltatore è libero di interpretare le canzoni come meglio crede, ognuno può vivere il proprio film senza dover rendere conto a niente e nessuno. L’omonimo disco degli Od Fulmine riesce a caricare di passione, giocando con intrecci sostenuti a volte dalle lacrime a volte dai sorrisi, piove ed immediatamente esce il sole, “Fine dei Desideri” come pezzo immagine dell’intero concept. Le cose che portiamo dentro non sempre riusciamo ad esternarle con la giusta precisione, questo disco parla con il cuore in mano, questo disco è veramente carico di considerevoli aspettative. E noi siamo fieri di ascoltare una band come gli Od Fulmine.

Read More

Alex Bandini – Signore e Signori Buonanotte

Written by Recensioni

Ecco un bell’esempio di chi lavora e plasma la musica con fantasia e fatica. Il primo disco di Alex Bandini (in realtà ne pubblicò uno nel 2012 sotto il nome IlSogno IlVeleno) sa essere a tratti leggero come una piuma e a tratti pesante come un macigno. Macigno che ci dobbiamo portare dietro di questi tempi e senza tante lamentele fischiettiamo melodie per alleviare la fatica e la paura. Utilizzando i muscoli e tutta la nostra immaginazione. Alex sfodera dieci canzoni dove tutto è ben amalgamato e ben tenuto nella classica forma cantautorale di storia. Il ragazzo però non cade, per sua fortuna, nella trappola di molti suoi colleghi che arrivano a sfiorare le corde dei vari mostri sacri italiani, scadendo in facili copie carbone dei vari De Gregori, De Andrè e Dalla. Alex Bandini invece attira verso di se tutte le ispirazioni (ci butta dentro anche Battisti e aggiungerei perché no?) ma non si ferma a farsele scivolare sulla pelle. Le immagazzina dentro, le lavora per poi soffiarle fuori, con quel filo di voce che al primo ascolto pare sembrare sintomo di timidezza e riservatezza, ma nasconde una grande potenza in ogni singola parola che sussurra. Le influenze del cantautore abruzzese non sono prettamente musicali e lo si capisce già dal primo brano del disco, dedicato allo sceneggiatore Ennio Flaiano (che lavorò in molti dei capolavori di Fellini). L’atmosfera leggiadra della canzone ci porta direttamente sull’onirico set di “8 e 1/2”. Da un filo di voce esce: “la solitudine non è un delitto se aiuta la poesia ad essere magia”. E se questa frase fosse stata gridata, sarebbe stata meno forte.

L’amalgama viene poi arricchito da arrangiamenti per nulla banali, che anche qui cercano ispirazione nel cinema italiano. Spesso strizzano l’occhio a Morricone e ai western italiani, omaggiati con “Il Grande Silenzio”, dedicata all’omonimo film di Sergio Corbucci. Il lavoro di produzione (compiuto da Alex insieme a Gianluigi Antonelli) è a dir poco sopraffino, la scelta degli strumenti è studiata sapientemente in modo da fornire ad ogni brano il giusto tappeto su cui stendersi e prendere forma. I suoni mandano ad un altro livello pezzi come “Antonio Vecchio Pazzo”, triste e malinconica decadenza dei sogni di un comunista vecchio stampo, e “Paese Sera”, uno spaccato dell’Italia fatto di semplici ma straordinari episodi. Tra realismo e (di nuovo!) Federico Fellini: “musicisti e ballerine dentro i cabaret le luci al neon, in bianco e nero”. Questo è un disco che si fa ascoltare innumerevoli volte. Ricco di dettagli. Ci tiene sull’attenti alla ricerca di qualche nuovo particolare, di qualche nuovo personaggio così strambo, eppure reale e così vicino a noi. Questo disco ti pianta con le orecchie davanti allo stereo. Gli occhi possiamo tenerli chiusi che di immagini già ne sentiamo passare una marea.

Read More

“Silvano Pistola”, il nuovo video dei Moostroo

Written by Senza categoria

“Silvano Pistola” è il primo singolo estratto da MOOSTROO, omonimo disco del trio bergamasco MOOSTROO. Il brano racconta e mette in scena una storia di provincia come tutte quelle contenute nel lavoro d’esordio del gruppo (disponibile dall’11 marzo 2014 sul sito del gruppo e su Bandcamp). Silvano/a, figlio adolescente di una famiglia arricchita, viene ricoperto di cose e alla fine si trova tra le mani ciò che meglio d’altro può funzionargli da terapia famigliare: una pistola. La sua non è una soluzione auspicabile, ma solo il risultato di un’educazione anaffettiva che sostituisce con gli oggetti e il possesso ogni possibilità di scambio umano. “Silvano Pistola” nasce da un’idea di Franz, bassista dei MOOSTROO. La regia è dello stesso Franz e del cantante-chitarrista Dulco. Le riprese ed il montaggio, nonché la post-produzione, sono di Paolo Bonfanti – Calamari Production. Gli interpreti nel video sono: Roberta Agazzi, Matteo Lodetti delle Capre a Sonagli e Francesca Biava.

Read More

Edoardo Borghini – Fumare per Noia

Written by Recensioni

“Ci riproviamo, ci ricaschiamo”: così comincia Fumare per Noia secondo (capo)lavoro di Edoardo Borghini, giovane cantautore livornese, che vuol dare un seguito al suo primo omonimo disco. Forse questo titolo perché l’artista vuol subito chiarire che, per una sorta di consecutio temporum, “Fumare Per Noia” è il logico risultato di una maturazione artistica avvenuta in un periodo, neanche troppo grande, che passa attraverso arrangiamenti molto più complessi e persino per imitazioni canine in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente” (proprio come fece John Lennon quando impersonificò un tricheco in “I am The Walrus”, sesta traccia dello storico Magical Mystery Tour, spesso coverizzata ed eseguita live anche da artisti del calibro di Frank Zappa, Oasis, Styx e dai nostri conterranei A Toys Orchestra). In “Perso l’Occasione di te” si ha la sensazione di imbattersi in un gioco musicale che prende spunto a quella “Eleanor Rigby” tanto cara agli stessi The Beatles e all’estro geniale del già citato Frank Zappa. Di quei riferimenti a Neil Young e a Francesco De Gregori che si erano riscontrati nel precedente compact disc invece è rimasto poco, proprio come se si volesse far capire l’ampiezza artistica di Edoardo Borghini che stavolta ha optato per un repertorio tendente più a Lucio Battisti (quello del periodo Mogol) e agli americani Byrds.

La conclusione è affidata a una “Ho Preteso” che è cantata in maniera piuttosto originale ed eseguita strizzando l’occhio al Jazz e allo Swing degli anni cinquanta. Peccato che il nostro viaggio sonoro con Edoardo Borghini duri solo otto canzoni (una mezz’oretta di tempo circa). Ci stavamo prendendo gusto. E come dice lo stesso Borghini in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente”: “No, io non sono quel che si dice un cantautore matto, un canzoniere, un paroliere, ma so solo che a te piaccio così come sono”. E per una volta tanto l’autostima è davvero meritatissima.

Read More