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L’Altro Primo Maggio 01/05/2014

Written by Live Report

2 maggio 2014, tutto è pronto per riportare su foglio un  Primo Maggio del tutto alternativo. Fermi tutti! C’è un errore! Il mio pc segna la data sbagliata o sono io che son nuovamente desto? Urca! Questo Primo Maggio è durato un po’ troppo mi sa! “Questa vita mi distrugge”…

Sono le ore 12 in punto. La macchina è carica. Pieno di benzina. Pieno di birra. Pieno di adrenalina. Manca nulla? Destinazione Taranto! Ad accoglierci all’ingresso del parco un ospite del tutto eccezionale, degno del migliore dei Jovanotti: si chiama fango…questo però è reale. Avanzo lentamente alla ricerca di un posto dove adagiare il mio telo, al solo scopo di capire chi sono e perché sono lì. Poi il miraggio. La laguna mi saluta e dona spazio ad una distesa erbosa. Verde. Il mio posto è qui! Ma intanto Caparezza è salito sul palco, io sono distratto e le mie scarpe sono luride. Beh, siamo qui per questo. Il buon vecchio capellone si esibisce a pochi passi dalla sua dimora molfettese e la cosa non passa affatto inosservata. Vuoi che io possa sorvolare e fingere di non aver notato l’infinita platea accorsa a Taranto per l’occasione, vuoi che io possa sorvolare il fatto che siano appena le 15, ma proprio non riesco a sorvolare e far finta di nulla quando mi accorgo che un’elevatissima percentuale degli accorsi sta intonando i testi del ricciolone fuori moda. È inutile a dirsi, qui il Caparezza gioca in casa. E lo fa con immenso stile, donando un’esibizione degna del nome che porta. Un ottimo inizio, azzarderei. La giornata si prospetta interessante.

2 rezophonic

Vorrei tornare alla mia erbetta e, in effetti, sono lì lì per farcela quando il mio sguardo si posa nuovamente sul palco. Vedo volti noti: sulla sinistra un uomo familiare se la gode, sulla destra una donna dai capelli blu. Sono Fabrizio Pollio e Ketty Passa e si stanno per esibire i Rezophonic. È la prima volta che vi assisto, vediamo come se la cavano i ragazzi. Tutto fila giusto, l’audio è un po’ compromesso e male afferro le parole, ma i ragazzi sanno muoversi e coinvolgere il pubblico (e forse anche loro stessi) con estrema semplicità. Il Pollio (frontman degli Io?Drama) scatta con il suo iPhone foto al pubblico ed agli artisti e chissà perché mi tornano alla mente quei bravi ragazzi degli Offlaga Disco Pax, alla vecchia macchina a rullino di Max, alle foto che ha scattato. Le conserva o le getta via? L’esibizione è già terminata. Poco spazio per così tanti artisti (oltre i 30, mi dicono dalla regia).

3 nobraino

Mi allontano e torno al mio posto mentre la voce di Luca Barbarossa (che veste i panni del presentatore) fa un discorso rosso ed invita il pubblico a visionare il prossimo video. Il primo di una lunga serie. Molto lunga. Troppo lunga. Ho tutto il tempo per stravaccarmi sull’erbetta umida e sorseggiare un po’ di sano luppolo, mangiare un che di salutare e navigare in giro per il parco di stand in stand. Che roba! Qui fanno persino lo zucchero filato! Con il palloncino bianco, morbido e appiccicoso torno alla tana e stavolta la voce annuncia la prossima esibizione: si tratta degli SLT Family (acronimo di “Sotto Le Torri”), ragazzotti locali che rappano, strappano, straziano, rompono e si giocano l’unica chance di far sentire cos’hanno da raccontare ad un pubblico ben più vasto del loro uso comune. Cito ancora una volta una frase che mi è rimasta: “Il Rap è come il porno: ci si nasce!” [J-Ax].

4 rubbish factory

Gli Après la Classe (pugliesi anche loro) ristabiliscono l’ordine, riportando la musica sul palco. Poi cedono il microfono ad un gruppo di sofisticato intelletto: i Nobraino. Kruger si presenta vestito al solito modo: alla cazzo. Hanno poco tempo a disposizione per mostrare la loro follia e lo sfruttano al massimo spaziando da tracce proprie (come “Bigamionista” o “Record del Mondo”) a tributi ad artisti di elevato spessore, quali Manu Chao (“Desaparesido”) o Cotugno (“L’Italiano Vero”). La scaletta prosegue, il caro Lorenzo si spoglia della giacca (che stavolta non è quella di Ernesto), si fa spazio e scende dal palco. Lascia che i seguaci assetati gli carezzino mani, corpo e viso. È l’unico a cercare un simile contatto in tutto il festival. Elevatissima umiltà o banale appariscenza?

5 tre allegri ragazzi morti

Le band sono tante, il sole è stanco di sorgere ogni giorno e stenta ad uscire. D’altronde è la festa dei lavoratori anche per lui. Le nubi minacciano pioggia e il fango se la gode. Poi un colpo di corda scaccia via ogni cattivo pensiero ed attrae il mio sguardo sul palco. Direttamente da Roma, i Rubbish Factory se la menano sfoggiando un Metal nuovo di zecca. Risale a novembre del 2013, infatti, il loro album d’esordio The Sun ed in appena cinque mesi ‘sti due romanacci sono riusciti a condividere il palco con nomi quali Afterhours, Caparezza, Capossela, Mannoia e altri a seguire, che tanto la sorpresa è già bella che rovinata. Inutile a dirsi, mi colpirono allora e mi colpiscono adesso. Esibizione degna di nota, nonostante la giovane età del duo.

6 afterhours

Fra un Diodato che a Sanremo sta da dio (ma che qui proprio non l’ho capito), un po’ di Municipale Balcanica che fa ballare tre quarti di piazza (ma che alla terza traccia fa ballare ben altra cosa), una Mannoia più rossa della festa dei lavoratori ed una Paola Turci che cantare “Fuck You” senza gli Articolo 31 è stato un azzardo fallimentare (e di questo non mi riesce di perdonarla), la lista si accorcia e si avvicina uno dei momenti pià attesi ti tutta la giornata. Vinicio Capossela si mette comodo sul palco e si gode per un attimo le urla in suo favore. D’altronde sa perfettamente di essere chi è e lo sa a giusta causa. Spazia a lungo attraverso ballate popolari ben acclamate, facendo tappa su una “L’Uomo Vivo” cantanta ad occhio e croce da tutta la platea. Un’esibizione interessante quella del Capossela, come al solito, d’altra parte.

1 caparezza

Mancano pochi nomi e quelli di scarso interesse son già passati tutti. È sera ormai e tutti i video che ci hanno proposto (o propinato) hanno stancato ancor più del ballare e delle birre. Rivoglio il fango! Torno al mio posto? Non è il caso, ormai siamo agli sgoccioli e non voglio perdermi un finale tanto atteso. Ed intanto che mi concedo qualche riflessione, Mama Marjas ci riporta per un attimo nell’Africa felice attraverso un Raggamuffin che in realtà sa più di Reggaeton. Il pubblico balla ed i volti sono sorridenti. Non apprezzo il genere, ma riconosco il talento nella sua voce e la sua capacità di scena. D’altra parte la giovane Maria Germinario ha un punto a suo favore: si esibisce in madreterra. Cerco di abbandonarmi al ballo collettivo stile centro sociale che ormai dilaga fra il pubblico e mi accorgo che siamo giunti alla a tale fase della serata. La Mama abbandona il palco e, con grandissima angoscia, i Sud Sound System salgono su accompagnati da una fittissima nube di fumo che oscura il lato est della piazza. L’odore è quello tipico: ‘sti tali hanno confuso la Germinario con la Giovanna! I ragazzotti salentini aprono con una prevedibilissima “Le Radici ‘ca Tieni”, cui non posso negar l’efficacia. Mi abbandono e la canto. Son bravi. In fondo piacciono persino a me. Avanzano con una “Sciamu a Ballare” standard, il che mi porta a pensare che i talentuosi ragazzi marcino oramai da anni sulla scia dei loro successi. Ma non mi va di disprezzare, in fondo l’esibizione è degna di nota ed il pubblico canta. Come se non bastasse sono ospite in casa loro e non mi va di fare il maleducato. È indiscutibile: i Sud Sound System sono una band che funziona, nei centri sociali si, ma funziona (e a quanto pare funziona anche a Taranto al Primo Maggio, com’è lecito attendersi). Dopo l’esibizione, torna la Mama Marjas sul palco, al suo fianco due napoletani belli grossi grossi e mi sento di nuovo a casa. I 99 Posse non se la lasciano cantare dai salentini e rispondono a tono con i loro successi. In Puglia “Curre Curre Guagliò” la conoscono proprio tutti e la giovane barese si esibisce al loro fianco intonando i successi napoletani degli sfegatati comunisti. Da “Antimafia” a “Rafaniello”, passando per “Vulesse”, i 99 Posse prendono l’uscita di scena acclamati e cantati dalla Puglia intera. Complimenti anche a loro, lo ammetto.

Sono esausto. L’odore di marjuana mi distrugge e voglio bere. L’acqua è finita, ma il concerto no. Ora tocca ai Tre Allegri Ragazzi Morti. Conquisto un posto in prima fila e me li godo. “Mio Fratellino ha Scoperto il Rock’n’Roll” mi gasa abbastanza e su “Occhi Bassi” mi fiondo nel pogo. Il colpo basso tirato da “Il Mondo Prima” mi strema ed i jeans si infangano quanto basta. Poi il classico “vaffanculo” chiamato dal palco e gli allegri ragazzi (erano un tempo) si dileguano, lasciando spazio agli operatori di scena. L’esibizione è stata ottima, come al loro solito. Scaletta incredibilmente breve, quanto sapiente. Ma loro sono oramai professionisti e ad inciampare non sono più capaci. Magari con un po’ di impegno potrebbero riuscire anche nel fallimento. Ma per ora ce li conserviamo abili e artistici, nonostante la critica negativa. Una snervante attesa precede il miracolo: Manuel Agnelli appare sorridente sotto gli occhi increduli di tutti. Fa casino, gioca con il cavo del microfono, se la gode. Forse la nebbia di poc’anzi mi ha appassito i neuroni. Poi attacca con una “La Verità che Ricordavo” del tutto inaspettata direttamente da uno dei dischi di maggior spessore, quale Non è per Sempre (annata 1999). La scaletta prosegue e l’Agnelli ancora se la gode. Tocca buona parte dei lavori degli Afterhours, navigando attraverso una “Male di Miele” (in diretta dal 1997), una “1.9.9.6” (alla quale il nostro milanesotto provinciale è particolarmente affezionato) e “Non è per Sempre”. Poi un fonico gli dice qualcosa, Manuel scazza e torna ad essere l’asociale di sempre. Smette di essere allegro, intonandosi perfettamente con “Ballata per la mia Piccola Iena” che segue. Al pubblico, tuttavia, questa nuova (solita) versione del frontman piace uguale. Nonostante la formazione fin troppo dinamica negli anni, i ragazzi sembrano sapere il fatto loro ancora una volta, mostrando capacità di collaborazione ed un’organicità interna degna dei più grandi nomi della storia (ci sarà un motivo eh?) e gasano il pubblico con un’antica, quanto funzionale, “Lasciami Leccare l’Adrenalina”. Di traccia in traccia l’evento scorre rapido e mi accorgo che non è un breve intervento, ma un vero e proprio concerto. Ospiti d’onore, non si lasciano sfuggire una “Padania” recente quanto sottilmente satirica ed una “Bye Bye Bombay” con la quale salutano un pubblico infervorito dal pogo e dal delirio. Inutile a dirsi, la critica stavolta ha ragione: “una delle band italiane di maggior spessore degli ultimi 20 anni” (e a parer mio di sempre).

Sono soddisfatto! L’evento è stato grandioso e, “aggratis”, ho visto ancora una volta gli Afterhours su un palco che sembrava allestito apposta per loro. Di tutto l’evento ho trovato due sole pecche, a parer mio, eccessivamente gravi. La prima è un commento di Luca Barbarossa, secondo il quale a Roma festeggiano il Secondo Maggio, perché il Primo Maggio è qui. Bravo, Luca. Buttar fango sull’evento parallelo è molto molto professionale. Complimenti al “genio” della musica italiana. La seconda va sotto il nome di protesta: troppe chiacchiere, troppi video e troppe persone sul palco a raccontarci storie che abbiamo già sentito e in cui non credono più neppur loro stesse. Siamo al Primo Maggio e qui la gente (forse ignorante?) viene per la musica, non per i convegni. Le otto ore lavorative sono passate di moda, inutile appendersi a lampioni fulminati. Oggi i problemi sono ben altri!

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Sherwood Festival: concerti a 1 euro

Written by Senza categoria

Inizia a comporsi il cartellone di Sherwood Festival 2014: dopo l’annuncio dei Die Antwoord come primi headliner, oggi annunciamo tutta una serie di live – di primissimo livello – alla cifra simbolica di 1 euro.
Ormai formula consolidata e distintiva della rassegna culturale e musicale padovana, quella del “1 euro può bastare”.
L’apertura, l’11 giugno, è affidata alla travolgente formazione di patchanka italo-argentina Espana Circo Este, insieme ai F.A.S.K. (ovvero il progetto rock perugino Fast Animals and Slow Kids) che presenteranno il nuovo disco Hybris.
Il 13 giugno il trio pisano Zen Circus presenterà al pubblico di Sherwood il nuovo disco Canzoni Contro la Natura, che ha debuttato subito in top 10 nella classifica ufficiale dei dischi più venduti in Italia. Il 15 giugno, Sherwood – in collaborazione con Radar festival – presenta il live del quartetto newyorkese Pains of Being Pure at Heart che presenteranno a Padova – per una delle quattro date italiane – il loro nuovo disco in uscita a maggio. Il 18 giugno, il palco sarà tutto per i 99 Posse, tornati di recente alla ribalta per Curre Curre Guagliò 2.0, versione arricchita di alcuni inediti dello storico album degli anni ’90, punto di riferimento per la scena alternativa e militante italiana.

A luglio, sul palco (e sempre a 1 Euro): il cantautore Brunori Sas (2 luglio) che presenterà il nuovo e acclamato disco Il Cammino di Santiago in Taxi; i Perturbazione, applauditi performers arrivati sesti al Festival di Sanremo, in tour per presentare il nuovo album – il settimo disco della band attiva da vent’anni – Musica X (5 luglio). Infine, dopo 11 anni, il ritorno live degli Estra, il gruppo di Giulio Casale che da Treviso ha conquistato la scena nazionale e ora torna con un tour e materiale inedito per i fan (18 luglio).

SHERWOOD FESTIVAL 2014 / :: line up in via di definizione ::
www.sherwood.it
11 Giugno – 19 Luglio c/o Parcheggio Nord Stadio Euganeo – Padova
11/06 | Espana Circo Este + F.A.S.K. (apertura festival)
13/06 | The Zen Circus
15/06 | Sherwood in collaborazione con Radar: The Pains Of Being Pure At Heart
18/06 | 99 Posse
22/06 | Die Antwoord
25/06 | Dub Fx
27/06 | Caparezza – presentazione nuovo album
02/07 | Brunori Sas
05/07 | Perturbazione
06/07 | New York Ska Jazz Ensemble
11/07 | Afterhours
16/07 | Radar Festival Day One con SLOWDIVE live – prima data italiana reunion tour
18/07 | Estra

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La Band della Settimana: Il Re Tarantola

Written by Novità

Il Re Tarantola, musicista bresciano che fa dell’ironia, del Punk e dell’autoproduzione la sua unicità, che si registra i dischi rigorosamente in casa, che scrive, produce e registra in totale autonomia, in un delirio di onnipotenza. Non c’è nessun ospite che va di moda che suona nei sui dischi. Non c’è nessun ospite che non va neanche di moda che ha suonato nei suoi dischi. Il Re Tarantola riprende i suoi videoclip con una telecamera a bassissimo costo e per fare i video di solito sfrutta minori e animali. Il Re Tarantola fa dell’imperfezione la sua arma vincente, dell’ironia la sua caratteristica principale, dell’autoproduzione il suo orgoglio. Perennemente in tour, ha diviso il palco, tra gli altri con: Caparezza, Simone Cristicchi, Il Pan del Diavolo, Delaney Davidson e Mojomatics, Fokabbestia ecc..
Il Re Tarantola è la dimostrazione vivente di come si possono dire cose interessanti divertendosi, senza per forza fare i fighi e i presi male per 40 minuti quando si è sul palco. Viva il Re!”

Lui è la nostra scelta della settimana, in attesa della recensione di imminente uscita del nuovo album Il Nostro Tabacco Sa d’Amore.

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Medulla – Camera Oscura

Written by Recensioni

Il secondo disco dei Medulla, band milanese che si autodefinisce Dark Cabaret / Cantautoriale Disturbato, nei primi secondi rischia di farmi una prima impressione bruttina. Il primo brano, “La Bestia”, mi fionda in un mondo di Rock mescolato a tastiere gonfie e batterie energiche come schiaffi, con una voce bassa e lineare che ricorda quella di Francesco Bianconi dei Baustelle. Mi ci vuole un attimo per abituarmi alla costruzione sghemba dei Medulla di Camera Oscura, come quelle deformità architettoniche che sembrano poter crollare al primo alito di vento e invece poi noti che uno schema c’è, uno scheletro forte e resistente, una robustezza che pensavi di aver perso nelle linee storte del disegno generale.  I Medulla stanno in piedi, truccati e cupi nel loro mondo un po’ naif, dove ritmiche a metà tra l’alternativo italiano in salsa Ministri e le mode d’oltremanica sostengono una pasta di chitarre e (soprattutto) synth, pianoforti, con un gusto molto retrò che li fa sembrare fuori dal tempo. Camera Oscura passeggia ignaro sul filo di lama, tra attimi gustosi e interessanti (il ritornello di “La Bestia”, qualcosa in “La Polvere” che ha un riff che ricorda quello de “La Fine di Gaia” di Caparezza, la tranquillità iniziale di “La Tenebra”) e momenti di imbarazzo incosciente (ad esempio, i parlati, vedi proprio in “La Tenebra” o alcuni suoni che, nel migliore dei casi, paiono vecchi e stantii e fuori luogo come il riff iniziale  de “Il Coniglio”), probabilmente causati da un posizionamento a livello di mood che si basa più sul desiderio che sulla sostanza: per fare Dark Cabaret, ossia, per creare un lato teatrale e, in senso lato, atmosferico, che sia credibile, bisogna averne la capacità, e qui siamo alla sufficienza scarsa, niente di più. Magari è nel live che questo profilo riesce a farsi notare maggiormente (anzi, sono sicuro che sia così), ma qui stiamo parlando di un disco, e in Camera Oscura i momenti che si appoggiano su questo lato, purtroppo, sono momenti di piattezza, in un lavoro che comunque tenta di essere denso ed emotivamente intenso (alcuni passaggi de “La Notte”, ad esempio, possono tranquillamente immaginarsi sul palco di quel festival annuale che si tiene in Liguria, il che non è per forza un male). Anche sui testi si potrebbe lavorare di più: per fare qualcosa che si possa assimilare al cantautorato non basta fare dei testi intelligibili (questo è scrivere canzoni, lo fanno tutti). Se davvero si vuole scomodare la già di per sé scomoda e indefinita definizione di cantautorato, la ricerca (sia nella forma che nel contenuto) deve approfondirsi, e qui siamo senza dubbio sommersi, sì, ma vicini alla superficie.

Riassumendo, un disco prodotto bene, suonato altrettanto bene, che nel complesso sta in piedi e che a tratti sa anche essere convincente, ma che poi scade in mille piccoli particolari che sembrano improvvisati, o che vengono preparati con cura in teoria ma traditi dalla pratica. Con più focus e una scrittura più congeniale ai veri punti di forza della band (la voce calda, quando canta, le ritmiche piene, il pianoforte) poteva uscire un disco da gustarsi dall’inizio alla fine. Con Camera Oscura, così concepito, facciamo più fatica.

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Sherwood Festival confermato anche per il 2014

Written by Senza categoria

Riceviamo e pubblichiamo:

Confermata per il 2014 la storica rassegna indipendente padovana che si tiene, ormai da decenni, nel parcheggio Nord dello Stadio Euganeo di Padova. Oltre un mese di musica – con i tantissimi concerti del main e del second stage – e un fitto calendario di appuntamenti culturali e di “festival nel festival” che, dall’11 Giugno al 19 Luglio (dieci giorni in più rispetto ai trenta delle scorse edizioni), trasformeranno un parcheggio in uno spazio sociale vivo e pulsante.
Un festival sociale e culturale, un appuntamento a larga e sentita partecipazione, un luogo di incontro e di libertà, attraversato ogni sera da migliaia di persone. Il fulcro di questa edizione sarà Sherwood, un progetto che, negli ultimi anni, è stato al centro di un profondo cambiamento: dalla radio FM ad un portale multimediale indipendente che si occupa di musica e cultura e, proprio in questi mesi, ha iniziato anche un lavoro di ricerca sulle produzioni video. I Mondiali di calcio che si svolgono in Brasile dal 12 giugno al 13 luglio 2014 verranno proiettati su schermi giganti ad alta definizione e saranno anche al centro di un ciclo di trasmissioni video, interviste ed eventi: un altro modo di pensare, praticare e raccontare lo sport.
Comunichiamo oggi le prime date confermate: il 27 Giugno torna a Sherwood un amico di vecchia data e una solida certezza: Caparezza che presenterà il nuovo disco d’inediti Museica in uscita il 22 Aprile per Universal Music.
Il 16 Luglio, Radar Festival Day one, con gli Slowdive – vero fenomeno di culto negli anni ’90 e tra i maggiori esponenti della scena shoegaze insieme a My Bloody Valentine e Jesus and Mary Chain – si esibiranno per la prima volta in Italia per il loro REUNION TOUR dove riproporranno i brani estratti dai dischi ed Ep pubblicati durante gli anni ’90 e confermano di aver iniziato a lavorare su un nuovo album di inediti.
Il 6 luglio, direttamente dalla Grande Mela, passa da Sherwood il tour estivo dei NEW YORK SKA JAZZ ENSEMBLE, pionieri dello ska jazz che, fin dal lontano 1994, hanno letteralmente conquistato il mondo con le loro incredibili performance e il loro stile unico e inimitabile.

SHERWOOD FESTIVAL 2014 / :: prime date confermate ::
www.sherwood.it
11 Giugno – 19 Luglio c/o Parcheggio Nord Stadio Euganeo – Padova
27/06 | Caparezza – presentazione nuovo album
06/07 | New York Ska Jazz Ensemble
16/07 | Radar Festival Day One con SLOWDIVE live – prima data italiana reunion tour

Prevendite per i live di Caparezza e Slowdive disponibili su: www.sherwood.it

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Domani No di Cristiano Carriero: quando i libri fanno riflettere sulla musica.

Written by Articoli

domani no - Sconosciuto

Boavida se ha muerto. Boavida è morto. Mai affermazione fu più chiara, precisa, netta. Non c’è scampo ad un’affermazione così. Ad ucciderlo è stato Ernesto Celi, in arte Ernestoc’è, ovvero, uno dei protagonisti, insieme a Boavida, di Domani No, l’ultimo romanzo di Cristiano Carriero (Bari, Gelsorosso, 2013). La questione però è che Boavida ed Ernestoc’è sono la stessa persona, almeno fisicamente, perché Boavida è in realtà un personaggio creato a tavolino da un discografico senza scrupoli conosciuto durante un Contest musicale, al quale Ernesto affida la propria musica ricevendo in cambio la promessa di un successo assicurato. È da qui che comincia o finisce tutto, dipende dai punti di vista: l’immagine da ragazzo della porta accanto nella quale Ernesto non si rispecchia affatto, la vetta delle Hit Parade con il suo tormentone estivo “Ossessione Onirica”, il nome d’arte Boavida (che poi di arte non ha davvero un cazzo, osserva giustamente Ernesto), una comparsa al Festivalbar e i movimenti sul palco alla Mauro Repetto (se non sai chi sia, vedi alla voce “quello biondo degli 883”), la partecipazione a Sanremo con una canzone riassunta tutta nell’ultimo verso che dice: senza dir nulla ho scritto una canzone, il declino, l’abisso, il dimenticatoio.

Non c’è niente di nuovo in tutto questo, mi direte. Infatti, è proprio questo il dramma. Ormai ci siamo talmente assuefatti ai tormentoni non più solo estivi, ma a cadenza mensile, ai successi che vanno e vengono con la velocità di un’eiaculazione precoce, che non ci rendiamo più conto di quanto un artista si trovi un giorno sulla vetta del mondo, e quello successivo nello strapiombo della dimenticanza. Ma di quale vetta stiamo parlando? Per Ernesto la vetta del successo ha coinciso esattamente con l’abisso in cui è caduta la sua anima. Ossessione Onirica, Ossessione Onirica ribelle: ma quale ribellione? L’alienazione totale, piuttosto: testi “disimpegnati” nei confronti anche di sé stessi. Canzoni che non devono far pensare, canzoni da canticchiare e basta, canzoni da una botta e via. E nulla più. Il caso ha voluto che stessi leggendo questo libro e facendo queste considerazioni proprio il giorno in cui ho letto che Valerio Scanu (si, proprio lui, quello dell’amoreintuttiimodiintuttiiluoghiintuttiilaghi) ha strappato il contratto con la sua ormai ex casa discografica e ha deciso di auto prodursi. E forse è un caso anche che mentre in Domani No si racconta dei perfidi meccanismi dei Talent Show, mi capita di leggere del giudice che ha rivolto insulti ad un cantante omosessuale durante l’edizione Rumena di X-Factor. Ora, non starò a sindacare su quanto la grettezza delle affermazioni di quel giudice abbiano a che fare con il fattore spettacolo; so solo che ancora una volta si è persa una buona occasione per far prevalere il buongusto, e che il libro che stavo leggendo purtroppo aveva a che fare irrimediabilmente con la realtà.

Alle volte però la vita si sa è strana, e proprio quando sei convinto che la strada che stai seguendo sia quella giusta, ti costringe a deragliare e a prenderne un’altra. Proprio come succede ad Ernesto. Ma non starò a raccontarvi altro, lascerò a voi la scelta di leggere o meno questo romanzo, che è fatto di musica, senz’altro, ma anche di amicizia, “drammi” familiari, amore, di band che si sciolgono e di band che nascono, di furgoni e camper su e giù per l’Italia, di critici musicali che con i loro editoriali sembrano decretare la tua fine ma in realtà è solo un nuovo inizio, dei soldi che non sono mai abbastanza, e di questa Generazione di Fenomeni che siamo noi, esperti in salti mortali, si, quelli che si fanno per arrivare a fine mese. E forse è per questo che siamo maggiormente sensibili a quei treni che a quanto pare  passano una sola volta nella vita. Come il treno del successo, ad esempio: se non lo prendi al volo non ti ricapiterà mai più. Ma a quale prezzo si sale su questo fantastico treno? Che costo ha questo maledetto biglietto? È una domanda che faccio a chi ha una band, ma anche a chi una band non ce l’ha, e spera in ogni di caso di poter vivere un giorno di musica. Siamo realisti, qua non si campa d’aria, anche se i Folkabbestia per anni hanno affermato il contrario. Ma esiste un limite oltre al quale non ci si può spingere? Fino a quando è accettabile il compromesso? Ed il successo può davvero definirsi tale anche quando porta alla negazione di sé stessi?

C’è un passaggio del libro che mi ha colpito particolarmente. Ernesto, Ciccio e Tony (altri due personaggi fondamentali) si interrogano sul da farsi circa il loro futuro di musicisti e di Band. Il discorso prende una piega strana e i tre amici cominciano ad interrogarsi su quale sia la chiave del successo. Quello con le idee più chiare è Ciccio: a me non interessa far parte di un mercato marcio dove ti vendono come un paio di scarpe finché non passi di moda. Il più incerto invece è, come al solito, Ernesto: tanto non la capirò mai qual è la chiave del successo, afferma sconsolato. Prova a non cercarla, gli risponde Tony. A quel punto ci pensa Ciccio a chiudere la questione; Io non so quale sia la chiave del successo, ma la chiave del fallimento è il cercare di piacere a tutti. Io aggiungo che la chiave del fallimento è anche non piacere soprattutto a sé stessi.

Ps. Alcuni pezzi di Ernestoc’è sono diventati davvero delle canzoni in seguito. Qui sotto trovate ad esempio “Domani No”

Intervista all’autore:

Ciao Cristiano, cominciamo dal titolo del romanzo: Domani No. Oltre ad essere anche il titolo di una canzone di Ernestoc’è, il personaggio principale, ha qualche altro significato in particolare?
Domani No è un invito a fare quello che ti senti, quello che ti dice la testa, o se vuoi il cuore. È come quando tiri una monetina in aria per scegliere tra due possibilità e sai già inconsciamente cosa preferisci tra testa o croce. Domani No è un modo per dire che nella vita si può anche attendere qualcosa di bello, ma non passivamente. Altrimenti non succederà assolutamente nulla. E questo Ernesto lo sa.

Nella postfazione al romanzo hai affermato che la lettura della biografia di Caparezza e Fabri Fibra è stata decisiva per delineare il personaggio di Ernesto. Come mai? Ci sono stati altri musicisti o band dai quali hai tratto ispirazione?
De Gregori, Guccini, i grandi cantautori. Gruppi come i Folkabbestia o la Bandabardò, i Martin Kleid, alcune belle sorprese come Mannarino e Brunori Sas. Ma Caparezza e Fabri Fibra sono i due che, con le loro peculiarità, meglio rappresentano Ernesto. E inoltre rappresentano le “mie” regioni: la Puglia e le Marche, luogo dove vivo.

Sempre nella postfazione hai scritto: “Io non sono un esperto di musica. Per scrivere questa storia ho dovuto studiare molto”. Cosa ti ha spinto allora a scrivere un romanzo dove la musica ha un ruolo tutt’altro che marginale, anzi, è una delle protagoniste principali?
Mi piace definire Domani No un romanzo di frustrazione. Nel senso che io volevo fare il cantante, e ho scritto anche diverse canzoni, poi non ci sono riuscito ma quella è un’altra storia. Purtroppo non ho la voce giusta. In ogni caso il mondo della musica, soprattutto quella italiana, mi ha sempre affascinato. E credo di saperne qualcosa, pur non essendo un cantante.

Qual è il tuo rapporto con la musica oggi? Scrivere questo romanzo ha cambiato questo rapporto? Se si, in che modo?
Ci sto più attento, nel senso che non scaricherei mai un brano gratis e dico davvero. Rispetto il lavoro dei musicisti, sono iscritto a Spotify a pagamento, scarico da iTunes. Ascolto anche i cantautori non ancora famosi e se posso cerco di conoscerli magari per coinvolgerli nelle mie presentazioni. Così è stato con Fabrizio D’Elia, che ha musicato “Domani No” (la trovate su Youtube) ed ha reso indimenticabile la presentazione di Bari, a Storie del Vecchio Sud accompagnandomi con la chitarra e con la voce.

Leggere il tuo romanzo è anche un bel modo di attraversare in lungo e in largo l’Italia: si parte da Bari per poi arrivare a Bologna, Roma, Milano. C’è perfino una tappa straniera in Albania. A Bari ti lega il fatto di esserci nato e vissuto, immagino. C’è qualcosa che invece ti lega agli altri luoghi menzionati?
Bologna, Roma e Milano sono tappe intermedie della mia vita. Per un motivo o per un altro ho avuto modo di conoscerle, apprezzarle e in alcuni casi disprezzarle, proprio come Ernesto. L’Albania rappresenta nel libro il luogo della redenzione, è il posto dove tutto ricomincia. E lo è stato anche per me, in maniera simbolica. Albanese è la ragazza che ho amato come poche altre cose al mondo. Albanese la sua famiglia, e il legame che si è creato con questa terra e con questa gente, nonostante le nostre strade si siano separate è indissolubile. L’Aquila ha due teste fa parte di me.

Sul mio libro c’è una dedica che recita: A Maria, ringraziandola per la domanda che sognavo da una vita. Ps. Non è un romanzo autobiografico!
Lo spieghi anche ai lettori di Rockambula perché per te è così importante che  non lo sia? Ed in ogni caso, sei proprio sicuro che non lo sia?
Sì, sono sicuro. Io non sono Ernesto, al massimo è lui che copia me e mi costringe a diventare come lui. Ma io resisto. Ho scritte diverse cose autobiografiche in vita mia, per questo stavolta era importante che questa storia non lo fosse. Era una sfida, volevo vivere un’altra vita, quella di un cantante famoso e di un ragazzo deluso per amore, in un momento in cui la mia vita sentimentale andava benissimo. Poi lascia stare che a me è successo esattamente quello che è successo a Ernesto. Se volete sapere cosa mi è successo leggete il romanzo!

Grazie Cristiano. Per finire la Domanda delle domande (o meglio, la Risposta delle risposte, se deciderai di rispondere): cosa avresti voluto che ti chiedessi e che, invece, non ti ho chiesto?
Sinceramente mi sono divertito a rispondere a domande diverse dal solito e quindi non posso fare altro che ringraziarti. Ma visto che me lo chiedi mi domando “Domani No potrebbe diventare un film?” e con un pizzico di presunzione di dico di sì, perché credo che la forza di questo romanzo sia la sceneggiatura, con dei flashback e dei personaggi fatti apposta per il cinema. Anzi, conosci un regista?

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Ministri – Per un Passato Migliore

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Io e i Ministri abbiamo un rapporto travagliato. Scoperti in tempi non sospetti quando li vidi aprire un concerto di Caparezza nel lontano (credo) 2008, seguiti in quell’inferno del Rocket di Milano a farmi cantare ad un metro di distanza alla presentazione del loro primo EP La Piazza, ho consumato, in quegli anni, il loro esordio I Soldi Sono Finiti. C’era eccitazione, intorno ai Ministri. Facevano rock, duro, diretto, ma anche melodico, semplice, popolare. Era la nuova canzone italiana, o almeno sembrava.

Poi uscì Tempi Bui, che a parte un paio di episodi non mi convinse più di tanto. E, dopo, Fuori, dove riuscivano a riprendere qualche filo interrotto nell’album precedente, ma dove ancora sentivo una qualche disarmonia generale.
Tutto questo per dire cosa? Che, all’uscita di Per Un Passato Migliore, primo disco (dall’esordio) senza la Universal, non sapevo cosa aspettarmi. Torneranno a fare I Soldi Sono Finiti? Ma perché, poi? Continueranno sulla strada, scalena e incostante, degli altri due dischi?

E invece no. I Ministri ripartono da zero, o meglio: dalle basi. Si spogliano di tutti gli orpelli e fanno quello che sanno fare meglio: scrivono, suonano, gridano, cantano canzoni. Né più né meno. Una batteria (mostruosa, le vere fondamenta di tutto l’impianto), un basso, chitarre (dai suoni pieni e allo stesso tempo distanti, confusi e totali, con inserti azzeccatissimi, minimali ma fondamentali) e voci (su cui è stato fatto un lavoro esemplare: costruite una sull’altra, quasi mai con una linea sola, con suoni che ripropongono fedelmente il range vocale di Divi, dal sussurro profondo all’urlo graffiante), il tutto, immagino, anche con l’apporto sapiente di Tommaso Colliva (già al lavoro, per dire, coi Muse) .
E le canzoni, è soddisfacente dirlo, sono belle. Ognuna con un motivo d’esistere, ognuna con qualcosa da dire, con qualcosa che ti fa tornare a riascoltarla, per trovarci, ogni volta, qualcosa in più. Sono brani semplici, ma non è una critica. È rock italiano puro, melodico, orecchiabile ma che spinge quando s’arrabbia, che colpisce forte quando vuole fare male. Così come i testi, criptici, ermetici, ma con quel verso, quell’immagine che non puoi non fare tua, che non puoi non ripeterti nella testa a disco finito.

Ci sono quindi gli inni, canzoni potenzialmente “simbolo” (cosa che ai Ministri riesce particolarmente bene): parlo dei due primi singoli, “Comunque” e “Spingere”, che nei ritornelli dipingono un mondo perdente, sporco, distrutto, ma allo stesso tempo gonfio di voglia di vivere, di “provarci comunque”, di (per l’appunto) “spingere”. C’è la rabbia intensa e pungente di “Mille Settimane”, l’amaro di “Stare Dove Sono” (“e se a togliere i colori / fossero proprio le ambizioni?”), la durezza de “Le Nostre Condizioni”. Ma c’è anche la sofferta e cupa “I Tuoi Weekend mi Distruggono” (“la guerra è semplice ma io / che cosa voglio distruggere?”), la disperata “Se si Prendono te”, la toccante “Una Palude” (“volavo sopra le nostre case / non c’era niente di eccezionale / non è un segreto che la terra sia / una palude senza di te”). “Caso Umano” è 100% Ministri, tremendamente seria ma con un afflato ironico che sa anche divertire, così come il piccolo pastiche “Mammut”. Completano il quadro “La Nostra Buona Stella”, una delle mie preferite (“il mondo è solo una sensazione / di cose che succedono altrove / e dentro me ci sono tutti i pianeti / e le stelle lontane che mi cercano ancora”), “I Giorni Che Restano” (“per dare il nostro nome a una scuola / dovremmo morir tutti in una volta sola”) e l’orecchiabilissima (paradossalmente) “La Pista Anarchica”.
I Ministri, insomma, fanno un disco dei loro, ma andandoci a mettere solo ciò che serve, e niente di più. La loro è una poetica del “noi”, un’epica del fiore nel deserto, del cristallo in un mondo di pietre, dell’amore nella melma. È rock, è italiano, è popolare: è un compromesso solido e riuscito tra “indipendenza” e mainstream. E questa volta c’è poco da fare o da dire: si prende Per Un Passato Migliore, lo si infila in uno stereo e si fa, per l’ennesima volta, play.

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