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Eleonora Duse e Doriana Legge | Declinazioni al femminile @ Sharper 2016, L’Aquila [PHOTO REPORT]

Written by Live Report

Sharper è la notte europea dei ricercatori che già da tre anni anima il centro aquilano di cultura, scienza, istruzione e passione. La stessa che muove Doriana Legge, già docente di Storia del Teatro presso il Dipartimento di Scienze Umane, che abbiamo visto nella duplice veste di relatrice e di musicista.

Doriana, laureata e dottorata a pieni voti in Studi teatrali, si considera cantante, chitarrista, compositrice. Dal suo primo EP La lista di cose belle è stato ricavato il jingle radiofonico per la Notte dei Ricercatori.
Il 2015 è un anno cruciale per la crescita musicale di Doriana Legge. A Musichette, progetto che prevede una serie di piccole suite musicali, affianca il lavoro che la porta a comporre le musiche per due spettacoli teatrali (Il mago di Oz e l’Antigone). Inizia inoltre a lavorare ad un progetto rivoluzionario quanto innovativo: musicare per la prima volta Cenere in occasione del suo centenario.

Cenere è un film muto del 1916 in cui è documentata l’unica interpretazione cinematografica dell’attrice teatrale Eleonora Duse. Doriana, con il supporto di strumenti digitali, elettronici, loop, percussioni ma anche strumenti della tradizione folklorica, accompagna lo spettatore nella semplice ma non banale trama del film che vede una donna abbandonare il figlio appena nato (Febo Mari), il quale una volta adulto cercherà di mettersi in contatto con la genitrice. Senza spoilerare, diciamo che Doriana sviscera quelle sensazioni di frustrazione, dolore, angoscia, mancanza ma anche profondo amore condensate in appena quaranta minuti. Rispetta la figura della Duse senza mai accavallarsi alla sua presenza e senza mai rubarle la scena ma anzi si insinua tra i capelli bianchi dell’attrice per saldare quel binomio di “azione più musica”.

La cornice è quella del Palazzo Lucentini Bonanni e la partecipazione contenuta ma sentita perché in una notte improvvisava tre o quattro canzoni e tanto erano belle che appena un cantastorie le ripeteva per la strada tutto il popolo le apprendeva e le ripeteva con entusiasmo (Grazia Deledda, “Cenere”).

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Arcane of Souls – Cenerè

Written by Recensioni

Davanti a un disco per me nuovo ho la (cattiva?) abitudine di regalarmi un primo ascolto digiuna di ogni contorno. Così metto su Cenerè di Arcane of Souls conoscendone nient’altro che il nome, convinta che un moniker così non possa che celare un progetto dal substrato Metal. E invece schiaccio play e “L’Oro in Bocca” inaugura il disco col più classico dei Rock’n’Roll. L’ingannevole pseudonimo nient’altro è che l’anagramma di Alfonso Surace, cantautore che ha fatto della necessità di autoprodursi un marchio di fabbrica. Caso piuttosto comune nel mondo della musica indipendente nostrana (fervente sì, ma che praticamente mai consente ai propri abitanti di vivere della propria arte), Surace realizza anche questo secondo lavoro, dopo Vivo e Vegeto del 2012, nei ritagli di tempo che riesce a rubare alla sua esistenza diurna e con l’aiuto delle persone che ne fanno parte. Ne vengono fuori cose come il video del primo singolo estratto, “Gennaro”, che ironico e casereccio fa il verso al celebre domino del clip che accompagna “This Too Shall Pass” degli Ok Go. “Gennaro” presenta un album con cui condivide solo alcuni aspetti. La voce di Surace si diverte a suonare roca e gridata, da bluesman che si rispetti, e in molti frangenti giunge l’eco di personaggi singolari del cantautorato italico del passato: complice la somiglianza anche nel timbro vocale, alcuni tra i brani di Cenerè starebbero bene in bocca a Rino Gaetano, ed anche nelle corde scanzonate di Freak Antoni. Gli episodi più convincenti sono però quelli fatti di contaminazioni delicate, piuttosto che i brani schiettamente Blues Rock: “Maggio” coinvolge con un rincorrersi di violino e percussioni dal sapore etnico, “Respirare” spezza la monotonia delle linee vocali sostenute col suo sussurrato Psych Folk, “Settembre” ammicca al Math Rock, “Opera” è la ballad docile che si fa attendere fino alla fine del disco. Tanta varietà, pur essendo in linea con la spontaneità su cui tutto il progetto è costruito, penalizza un po’ il risultato finale, ricco di spunti interessanti negli arrangiamenti ma che vive di una immediatezza che quasi mai si cura di approfondire. L’impulsività giova invece alle liriche, che giungono schiette e piacevoli raccontando del quotidiano di un personaggio a cui ci si affeziona con facilità. Concedetegli più di un ascolto.

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