Cesare Basile Tag Archive
Caravita – Come sempre
Un disco coraggioso di cantautorato old style in un mondo di itpopper.
Continue ReadingNouveau Festival pt.1 @ Tambourine, Seregno (MB) | 29.09.2017
Il Tambourine di Seregno fa parte di quella costellazione milanese-brianzola di circoli ARCI che si possono fregiare ancora di essere locali col palchetto che fanno suonare davvero la gente, oltre a spillare birre e a piazzar su musica random.
(foto di Eleonora Zanotti)
Terje Nordgarden – Dieci
Terje Nordgarden viene dalla Norvegia ma vive e suona in Italia da ormai parecchi anni. Innamorato del Folk e del Blues americani, di Dylan, Springsteen, Drake, Elliott Smith, si è integrato nella fertile scena indipendente italiana e con questo suo ultimo Dieci rende omaggio alla sua famiglia adottiva reinterpretando e riarrangiando, per l’appunto, dieci brani di artisti nostrani (Cristina Donà, Paolo Benvegnù, Marta Sui Tubi, Marco Parente, Iacampo, Cesare Basile… ma anche Claudio Rocchi e Grazia di Michele).
Il risultato è un disco lunare e dolcissimo, rarefatto ma intenso allo stesso tempo. Chitarre dalle distorsioni calde, arpeggi cristallini, ritmiche lineari e soundscape vibranti e infeltriti, un maglione Folk/Blues elettrico in cui raggomitolarsi: sopra tutto questo, una voce morbida, che fa sue canzoni altrui con naturalezza. L’accento straniero di Nordgarden aggiunge anche un taglio retrò all’operazione: ci porta alla mente gli anni 60, il Beat, gli inglesi che venivano in Italia a cantare (in italiano) canzoni (italiane). I brani, cover di artisti (chi più chi meno) affermati ma quasi tutti provenienti dalla scena indipendente, sono canzoni belle ma non famosissime, e questo contribuisce a rendere questo disco di cover un prodotto molto particolare e sui generis.
Alcune canzoni sono particolarmente riuscite (“Non È la California”, “Invisibile”, “Cerchi sull’Acqua”), altre un po’ meno (“La Realtà Non Esiste”), ma Dieci rimane un disco assai godibile e Terje Nordgarden un artista da tenere d’occhio.
Cesare Basile – S/T
Scaricato in free streaming dal sito del Teatro Coppola, Teatro dei Cittadini di Catania e tutt’ora occupato, ecco il nuovo diamante grezzo del cantautore Cesare Basile, diamante grezzo che non porta nessun nome, ma che rovescia addosso a chi mette orecchio un climax ruvido, gravido di quelle melodie al quarzo che scintillano luce, riverberi scarni, sapore di sale e ferite aperte che sono oggetto e verifica di quella passione graduata che l’artista siculo ci ha sempre plasmato dentro lo stomaco e dintorni.
Quello che colpisce della poetica di cartavetro di Basile è che non alberga mai voli liberi, abbandoni o albe da trascendere, ma una costante elegia alla celebrazione della sofferenza e nello stesso tempo alla riflessione nuda e cruda intesa non come esistenzialità piuttosto come perfezione “dal basso”, di quella rabbia costipata messa in circolo sottoforma di intimismo agro e cupo che fa titillare all’inverosimile le meccaniche di collegamento delle emozioni vere; dieci tracce – alcune cantate anche in siciliano – che se fossero colore sarebbero color seppia, un istinto la giustizia, uno sguardo il profondo e una movenza un volo di farfalla triste, dieci tracce che quantizzano l’enfasi e i ricordi di un autore schivo quanto vero, sincero, arte fatta con gambe, parole, pensiero e lingua per poi andare a zonzo in una esistenza che non lievita le masse ma le prende in considerazione, le fa contare non come numeri ma come un insieme di fratellanza da scuotere forte e ancora forte.
Cantautorato spesso, che odora, profuma e puzza di vita e voglia di libertà, storie amare come cicuta e raccontate fuori dai denti, senza abbellimenti e pinnacoli, la Sicilia parlata dalla parte delle sue ingiustizie, dai fondi dei suoi negazionismi libertari e pregna di quelle frecce popolari che alimentano corpi e intelligenze sottomesse e da infilzare, un disco che con “Parangelia”, “Nunzio e la libertà” ti apre disegni metafisici e contorni mediterranei, ti attraversa l’animo con la scardinata prosa popolare e i suoni acustici del tempo “L’orvu” e “Caminanti” fino a quell’arcobaleno sbiadito ed intermittente che s’ inchina alle rime della stupenda – tra le stupende – “Lettera di Woody Guthrie” ballata nera bagnata da un folkly tratteggiato e larsen messi a contrasto tra spiriti indomiti e un America bastarda.
Cesare Basile è tornato per farci tremare, e lo fa attraverso il nostro ascolto che prende quota al di là della forma visibile.