Primo full length per i siciliani Elevators to the Grateful Sky, dall’artwork splendido e assai azzeccato: Cloud Eye è infatti un piacevole e duro album di Stoner veloce che si miscela alla passione per la Psichedelia anni 70 (come d’altronde faceva in parte anche l’originale scena del Palm Desert ad inizio 90). Gli ETTGS hanno studiato bene la storia, e il loro tornare sulla scena del delitto è competente e preciso, con qualche aggiunta ben ponderata che sposta il baricentro (e meno male, a più di vent’anni di distanza fare la stessa, identica cosa non avrebbe nessun senso). Abbiamo quindi l’intro di armonica di “Ridernaut”, le chitarre Grunge e brillanti di “Turn in My Head”, o i fiati di “Red Mud”, che ci teletrasportano via dal deserto, verso un finale Soul/Blues sui generis che spiazza e soddisfa. Abbiamo le spruzzate Garage di “Handful of Sands”, inframmezzate da succulenti e grassissimi riff di chitarra fuzz, il mezzo Reggae dell’intro di “Upside Up” che in pochi secondi si trasforma in Punk californiano, poi si rallenta verso voci più pulite in “The Moon Digger”, dal sapore Led Zeppelin, un sapore che rimane in bocca anche dopo i pochi secondi dell’autocitazione di “Xandergroove”. Si finisce tra gli spazi di finto Reggae della title track, che una volta partita poi non torna più indietro, e ci si spiaggia sulla sabbia desertica nella definitiva “Stonewall”, lenta e vibrante, come da scuola Kyuss.
Un disco da ascoltare per tutti gli amanti del genere: Cloud Eye rielabora e prosegue il discorso del Desert Rock con competenza e gusto, senza aggiungere troppo ma funzionando alla perfezione, ottimo discepolo di una scuola che, ne sono certo, ci regalerà ancora numerose cavalcate tra le sabbie torride di ritmiche ipnotiche e distorsioni profonde.