Small Town By the Sea non è uno di quei dischi che puoi esporre nel loro insieme, come un’entità unica, a sé stante, integra; necessita, senza possibilità di alternative, il seguire una precisa linea che porti dalla prima traccia fino all’ultima nota, duemila cinquecento sessantaquattro secondi dopo. Andiamo però per gradi. Solo qualche mese fa, sul finire dell’anno passato, vi avevo raccontato chi fosse quest’oscuro produttore di musica elettronica di Vancouver e vi avevo suggerito appassionatamente l’ascolto del suo Crows & Kittiwakes & Come Again. Ora, con Small Town By the Sea, c’è da fare un bel passo avanti, perché, se per certi versi sono allentate le tensioni date da quelle che io stesso ho definito deformità tecniche del suono talvolta esasperate in chiave rumoristica, Connect_Icut riesce anche a prendere fedelmente la strada buona che lasciavo scorgere alla fine della mia recensione. Un disco perfetto per iniziare ad ascoltare musica elettronica di qualità senza il timore di dover abbandonare per manifesta incapacità di ascolto, cosi chiudevo e da quella frase riparte il canadese, avendo ora appianato il suono, senza banalizzarlo e avendo creato un’opera che può definirsi tanto temeraria almeno quanto più abbordabile rispetto al passato. Ora sono i beat che divengono la solida base dei brani i quali altresì si contorcono in una serie di vortici di elettronica psichedelia.
Ancora una volta, però, non posso che mettervi in guardia perché se è vero che, rispetto al passato, ancor più facile è che vi piaccia un disco come questo pur non essendo voi appassionati di musica Elettronica Sperimentale, non aspettatevi niente che possa dirsi accessibile a un ampio pubblico, in senso assoluto.
Già l’introduzione (“Bird Internet”) ci trasporta senza perdere troppo tempo in un’irrealtà fredda e inquietante, fatta di battute e campionamenti ai limiti del surrealismo, con una certa ossessione nelle ritmiche e poche variazioni sul tema. Diversificazioni che sono anticipate da suoni naturali (come un cinguettio) che s’insinuano nelle gelide note iniziali. Sul finire del pezzo, una massa multiforme, amorfa e sonica sembra aggregarsi e pulsare attorno a quella stessa eterea natura, fino a liquefarsi nella parte finale, dopo oltre otto minuti. Nella successiva “Tennis Player” torna ancora più muscoloso il tema criticamente onirico; sullo sfondo i suoni naturali si mescolano a dialoghi, pianti di bimbi, e la musica pare essere parte di un mondo parallelo. È introdotta la voce femminile che prende la strada di una melodia Soul intensa e appassionante pur nella sua disarmante purezza. Forse il momento più Pop (difficile usare questo termine per il disco) è tutto qui, in questa melodia incantevole, ma ben presto si torna sulle già battute strade del Glitch (“Bathroom Mirror (Smash Patriarchy)”) con momenti di eccezionale dualismo tra ritmiche poderose e potenti e l’impalpabilità del resto. L’acqua scorre fino a “74 Guitars”, quando note di chitarra e passi pesanti sulle assi malmesse si confondono, creando momenti di terrificante serenità prima di esplodere in frizzanti e luminose note elettriche. Nell’ultima parte di Small Town By the Sea si accentua il nervosismo acustico che quasi sembra destinato a sfociare in un Trip Hop e la voce femminile pare accennare una melodia Soul/Funk, propria dell’House Music, sempre però strozzata nell’inquietudine e nella voluta cacofonia del canadese, che abbandona il brano incompiuto, come a calcare il concetto dell’impossibilità di completare una vera metamorfosi verso una nuova realtà. “Cat Town” chiude il viaggio psicotico ma anche distensivo con ritmiche bassissime e sciolte, lasciando aperte porte sensoriali che sembrano spalancate dopo un ascolto a volume sostenuto, con le cuffie ben ancorate alle tempie.
Connec_Icut comincia a fare sul serio e presto non sarà più un oscuro produttore di musica elettronica di Vancouver, su questo sono pronto a mettere una mano sul fuoco. Voi non fatevi trovare impreparati.