Daft Punk Tag Archive
Kalpa – A Certain Feeling [STREAMING]
Ascolta in anteprima l’EP di esordio del giovanissimo producer triestino.
Continue ReadingElektro Wave – Sheriff Is Back In Town
Dalla drum’n’bass al funk, al synth pop e alla dance, con omaggi al french touch.
Continue ReadingAn Evening with Giorgio Moroder @ Big Bang! OGR Officine Grandi Riparazioni, Torino | 30.09.2017
È stato bello tornare a varcare l’ingresso delle OGR di Torino, ed è stato ancor più bello scoprire che questa lunga riqualificazione (ben 3 anni di lavori) non ne ha alterato il grande fascino.
Guarda il video in 2D Motion Graphic dei The Encore
“Fall Into the Deep” unisce le ritmiche Funky-Afro con beat elettronici, questa spasmodica ricerca del suono ha portato i The Encore nello studio parigino di Antonie Chabert (Sound Engineer che ha lavorato nell’ultimo disco dei Daft Punk Random Access Memories). Disponibile su Youtube è disponibile il videoclip di “Fall Into the Deep”, brano del duo elettronico The Encore, realizzato integralmente in 2D Motion Graphic e che vede la regia del videomaker Bruno D’Elia.
Nero – Lust Souls
Nero è il colore giusto. Perfetto per lo sporco suono New Wave che produce, con tanto di chitarre insistenti e una voce cupa, sensuale e viscida come la pelle di un serpente. Il suo disco d’esordio Lust Soul è il perfetto connubio tra vintage e modernità. Nero di certo non è un novellino, ma annovera un passato con band del calibro dei The Detonators e The Doggs (per altro recensiti dal sottoscritto qui su Rockambula qualche anno fa). Il suo background è dunque fissato su solide basi di sporco Rock’N’Roll, tra Black Sabbath e Stooges per intenderci. Indubbiamente in questo lavoro solita la sua rotta vira verso sonorità più lente e scure, più ossessive e più schizofreniche. Come la stupenda “I’m The Sin”, un vortice di passione dentro la frenesia dei Joy Division senza perdere il senno, grazie a una melodia trascinante. Il suono dietro è perfetto, curato in ogni minimo dettaglio: rullante che martella il nostro cervello, basso cadenzato e ben definito che scombussola il nostro bacino. “In my Town” è un piccolo capolavoro minimal, quello che sarebbero i Depeche Mode senza una mega produzione e senza dimenticare le tenebre di Ozzy e dei suoi Black Sabbath. Guardando ad una città più grande, scappa anche la vicinanza alla New York decadente di Lou Reed. La canzone è un viaggio psichedelico in una grotta completamente buia, umida senza via d’uscita, ma con la consapevolezza che nessuno ci farà del male. Sicurezza che viene meno nella terrificante “Bleeding”, ritmica quasi Doom immersa in chitarre ululanti e un piano che compare ogni tanto come uno spaventoso fantasma. I ritmi si innalzano in “Over my Dead Body”, riff Punk venuto dallo spazio, basso incalzante e synth svarionanti dominano l’atmosfera e ci introducono in un crescendo interminabile. Come se Marc Bolan e i suoi T-Rex incontrassero in studio i Daft Punk. Nero riesce con grande naturalezza a mischiare sensazioni, suoni, spazi e periodi storici. Il tutto grazie ad un’improbabile macchina del tempo, scassata, ma terribilmente efficace. “Old Demons” è superba, sembra uscita in due minuti di prove e ha l’efficacia di essere vera e nostra. Ci togliere dal tunnel buio per portarci a braccetto negli inferi, dove rimaniamo bloccati fino a “Spirit”. Battiamo il cranio contro un muro rovente. Si questa elettronica è calda, è vera come un Les Paul collegato al suo Marshall JCM 800. Nero poi ci saluta con le schitarrate distese di “Tomorrow Never Comes”, riporta tutto alla semplicità, ad un triste epilogo, a un dolore viscerale. “Vedrai un grave dolore e in quel dolore sarai felice”, scriveva Dostoevskij.
Verbaspinae – Tre
Spigoloso è il primo aggettivo che mi viene in mente ascoltando questo album del trio milanese Verbaspinae. Un disco ben suonato, ben prodotto, ben interpretato ma che sicuramente non ha nessuna parete morbida o malleabile. Di Pop qui c’è poco e niente, ma piuttosto una stanza buia e ricca di insidie. “Il Pezzo” è proprio l’anti-Pop per eccellenza, metodica fuga dalla melodia. Una forza che stride nelle nostre orecchie. Pochi versi e non in tutti i brani, tanta Elettronica, a volte distesa e leggera come un corpo sinuoso che fluttua nell’aria, a volte rigida come il marmo. Così parte “Vyger”, nemmeno una parola e suoni che si incastrano tra New Wave e il Blues di un’armonica. Un romanticismo latente e il vecchio nostalgico che si incontra col ragazzetto superbo smanettone col computer. Un viaggio stellare fatto con uno shuttle degli anni 70. “Ieridomani” è accompagnato da un riff martellante, da sentenze ermetiche, da una bella chitarra distorta e da synth impazziti che danno un po’ di verve al pezzo. Il tutto si incastra in una grande opera di produzione ed esecuzione. Cura certosina nella ricerca di suoni e mix. Questo pezzo è proprio quello che sarebbero i Massimo Volume se incontrassero i Daft Punk. “Novantuno” continua sullo stesso filone, le tastierone governano un groove elettronico, quasi robotico e macchinoso. Come un ingranaggio che si inceppa, come il Charlie Chaplin dei Tempi Moderni portato nel 2015. Sì, si può dire tutto su questo gruppo ma non che suoni vecchio o già sentito. E nemmeno che non sbirci costantemente verso quella che è la stroria del Rock. Anzi azzarda fin troppo quando nella title track sfodera un suono tra Space Rock e Gospel in un’orchestrazione che sottolinea ancora una volta il lavoro immenso che sta dietro al nome Verbaspinae. Difficilissimo da digerire. Un pugno in pancia come la ballata “Parole”, dove finalmente escono versi semplici, vomitati di getto, intensi, che escono dalla bocca di Germano Allegrezza insieme a sangue sporco e una risata storta. Una canzone che pare uscita dagli archivi di un Manuel Agnelli nei suoi tempi migliori. Il Blues poi torna nel finale cupo di “Ergot” e si mischia alla onnipresente elettronica, qui marcia, contaminata di quello strato di polvere che rende il pezzo, privo di parole. Una vera e propria discesa negli inferi. Dalle stelle agli abissi più profondi, questo album è ricco di spunti, di influenze e di pensieri malati. Incubi che sono così reali e che si sentono davvero molto molto bene.
TOdays: giorno 3 e live degli Interpol
La prima edizione del TOdays Festival ha immerso Torino in un mare di musica. Non che il capoluogo piemontese sia sprovvisto di eventi musicali, sia chiaro. Ma vedere una così grande partecipazione ad un evento musicale in tutte le sedi in cui si è svolto (Spazio 211, Scuola Holden, Dox Dora, Cimitero di San Pietro in Vincoli e Museo Ettore Fico) fa pensare che sì, forse non è tutto perso, forse davvero c’è ancora speranza, forse la musica ci salverà, tutti. Forse. La terza serata del festival vede come protagonisti gli Interpol preceduti da una serie di artisti appartenenti all’etichetta torinese INRI (in ogni serata si sono esibiti sul palco dello Spazio 211 artisti ad essa appartenenti); domenica 30 agosto è stata la volta degli Anthony Laszlo, dei Dardust e Levante. I primi salgono sul palco intorno alle 20.00 e subito mostrano la loro potenza egemonica a suon di chitarra e batteria, anche se vengono relegati in un angolo del palco. Non c’è niente da fare, gli animali da palcoscenico restano animali sempre e comunque. Irriverenti, si presentano come gli Interpol, suonano la chitarra coi denti rievocando Jimi Hendrix e ci mostrano il culo quando al momento dell’inchino finale, invece di inclinare il viso verso di noi, lo fanno girandosi di 180°.
A seguire subito i Dardust nelle persone di Dario Faini (piano), Vanni Casagrande (synth) e Pietro Cardarelli (visual e luci). Non è la prima volta che li ascolto, e dalla prima esibizione alla quale ho assistito (presso le Lavanderie Ramone di Torino lo scorso febbraio) sono cresciuti e migliorati parecchio. Nel live del TOdays hanno eseguito non solo i pezzi del loro album 7, ma anche un medley mash-up con “Born Slippy” degli Underworld, “Right Here Right Now” di Fatboy Slim, “Hey Boy Hey Girl” dei Chemical Brothers e “Aerodynamic” dei Daft Punk. Una performance carica di energia che ha catturato il pubblico, come sempre, nonostante qualche imperfezione.
L’ultima ad esibirsi è Levante, cantautrice siciliana ormai trapiantata a Torino da anni, che dovrebbe essere la punta di diamante dell’esibizione degli artisti INRI, dato che ha l’onore di esibirsi appena prima degli Interpol. La sua invece è l’esibizione più sottotono di tutte, e con certezza si può affermare che se durante il concerto qualcuno ci dato una scarica di adrenalina, di certo non è stata lei. Tra i pezzi suonati c’è anche l’immancabile “Alfonso”, l’uomo sconosciuto che l’ha consacrata al successo. Sono circa le dieci, sul palco i tecnici in movimento, tra poco toccherà agli Interpol. Inutile dire che l’aspettativa era grande.
La band capitanata da Paul Banks è famosa per riuscire a creare un gran muro di suono e trasmettere grande energia, pur nell’immobilità mimica totale e pur avendo dichiarato a luglio 2014 che avrebbero preferito non partire per il tour di presentazione dell’ultimo disco, El Pintor. Il live si apre con “Say Hello to Angels”, un romaticismo sommesso nei modi e tagliante nelle distorsioni. La band è tutto sommato in forma, come da previsione, e il frontman non sbaglia un colpo mentre impila “Anywhere”, “Narc”, “My Blue Supreme”. Il pubblico si scalda letteralmente quando parte “Evil”: l’impressione è che la folla si dividesse esattamente a metà tra i fan che conoscono ogni dettaglio, ogni versione di un brano, e chi conosceva solo certi successi e ascoltasse, comunque con grande attenzione e interesse, tutto il resto della setlist. Dopo “Lenght of Love” e “Rest My Chemistry”, la formazione esegue una caldissima “Everything is Wrong”: sarà l’ultimo pezzo cantato veramente bene da Banks, che forse dovrebbe fornire qualche spiegazione sulle sue corde vocali o sull’acustica del palco. Va ancora tutto sommato bene “The New” ma “My Desire” viene letteralmente massacrata. Per carità, il brano non è di semplice intonazione, ma le stecche sono state troppo frequenti e particolarmente marcate. Un vero peccato, specie se si considera che l’esibizione solista a cui avevo assistito qualche anno fa era stata seriamente impeccabile.
Onestamente questa brutta resa di una delle loro canzoni più belle e appassionate mi ha smontata. Su “Take You on a Cruise” riesco ancora ad emozionarmi per l’intenso stacco voce e batteria, ma “C’mere”, “Pioneer to Falls”, “Slow Hands” e “PDA” mi vedono più attenta a cercare altri errori nella linea vocale che non a lasciarmi trasportare. E non è bello che questo accada a un concerto. L’encore si apre con la splendida “Untitled”. È uno dei brani che preferisco, viene eseguito per altro magistralmente e quindi posso dirmi soddisfatta. Seguono “Leif Erikson” e “All the Rage Back Home”, forse la migliore di tutto il live, che nel complesso è stato molto piacevole, seppure macchiato -troppo per una band di questo calibro- da troppe imprecisioni del vocalist.
Il Video della Settimana: TACDMY – “Somebody Sometimes”
Si chiamano Academy o più semplicemente TACDMY e sono una giovane band friulana danzereccia e promettente che miscela Phoenix, Digitalism, Daft Punk, Franz Ferdinand e The Strokes. Il 3 giugno è uscito il loro album di debutto Maning of Dance in contemporanea con la clip del primo singolo “Somebody Sometimes, realizzato da Ale degli Angioli (M+A) che è anche il video scelto questa settimana da Rockambula e che potrete vedere di seguito ed in homepage fino al prossimo sabato.