Damien Rice Tag Archive
Anthony Hed – Many Faces [VIDEOCLIP]
In esclusiva su Rockambula, vi presentiamo il videoclip del nuovo singolo di Anthony Hed, che si intitola “Many faces” ed esce questo venerdì 24 novembre per Root Feelings Records, secondo estratto e title-track dell’EP di debutto del cantautore italo-francese.
Chi suona stasera – Mini guida alla musica live | Luglio 2016
“Chi suona stasera?”. Sarà capitato ad ogni appassionato di musica live di rivolgere ad un amico o ricevere dallo stesso questa domanda. Eh già, chi suona stasera? Cosa c’è in giro? Se avete le idee poco chiare sugli eventi da non perdere non vi preoccupate, potete dare un’occhiata alla nostra mini guida. Sappiamo bene che non è una guida esaustiva, e che tanti concerti mancano all’appello. Ma quelli che vi abbiamo segnalato, secondo noi, potrebbero davvero farvi tornare a casa con quella sensazione di appagamento, soddisfazione e armonia col cosmo che si ha dopo un bel live. Ovviamente ci troverete dei nomi consolidati del panorama musicale italiano ed internazionale, ma anche tanti nomi di artisti emergenti che vale la pena seguire e supportare. Avete ancora qualche dubbio? Provate. Non dovete fare altro che esserci. Per tutto il resto, come sempre, ci penserà la musica.
ZU
02/07@Edoné, Bergamo per Never Fest
07/07@Ippodromo di Agnano (NA) per Cellar Festival
La band romana prosegue le date del tour di Cortar Todo col nuovo batterista, lo svedese Tomas Jarmyr. Ovviamente, come sempre per loro, non mancheranno durante il mese date all’estero.
WILCO
04/07@Piazza Casello, Ferrara per Ferrara Sotto le Stelle
05/07@Villa Ada, Roma per Roma Incontra il Mondo
Saranno due le occasioni per poter gustare quella gran miscela di suoni e di libertà che pochissime band sanno offrire a certi livelli, livelli che la band di Jeff Tweedy e Nels Cline non ha mai abbandonato. A Ferrara Kurt Vile & The Violators in apertuta.
JAMES SENESE & NAPOLI CENTRALE
05/07@Ippodromo delle Capannelle, Roma per Postepay Rock in Roma
08/07@Sagrato della Basilica di Capurso (BA) per Multiculturita Summer Festival
14/07@Via Sant’Antonio Abate, Pietramelara (CE) per Lara Fest
17/07@Piazza Medaglia d’Oro, Montefalcone di Val Fortore (BN)
18/07@Piazza San Nicola, Capri (NA) per Pizza Jazz Birra Capri
20/07@Corte delle Sculture, Prato per Festival delle Colline
25/07@Via della Vittoria, Alba Adriatica (TE)
Blues, Jazz, Funk e tanto, tantissimo, Mediterraneo. Il più nero a metà di tutti sarà questo mese in giro per la penisola con il suo sassofono e la sua storica band per far conoscere al pubblico O’ Sanghe, ultima fatica di una lunghissima carriera.
BEN FROST & DANIEL BJARNASON
08/07@Teatro dei Rinnovati, Siena per Chigiana International Festival and Summer Academy
Accompagnati da un’orchestra di 26 elementi (24 archi e 2 percussioni) i due musicisti porteranno nel nostro paese per un’unica imperdibile data Music for Solaris da loro concepito nel 2011 per il 50° anniversario di Solari di Stainslaw Lem al quale il genio Tarkovskij si ispirò per il celebre film. Colonna sonora totalmente rivista dal duo, pellicola manipolata e rielaborata da Brian Eno e Nick Robertson.
08/07@Porto Antico – Arena del Mare, Genova per GoaBoa Festival
10/07@Centro Fieristico, Avezzano (AQ) per Kimera Rock Festival
14/07@Market Sound – Mercati Generali, Milano
15/07@Parco della Certosa, Collegno (TO) per Flowers Festival
16/07@Stadio Mirabello, Reggio Emilia per Mirabello Aria Aperta
19/07@Ippodromo delle Capannelle, Roma per Postepay Rock in Roma
La band capitanata da Manuel Agnelli presenterà il suo undicesimo lavoro Folfiri o Folfox, primo disco con la nuova formazione che vede gli ingressi di Fabio Rondanini alla batteria e Stefano Pilia alla chitarra, entrambi con la band milanese già dal precedente tour. Nella data di Collegno in apertura Sorge, il nuovo progetto del grande Emidio Clementi.
HIROMI – THE TRIO PROJECT
08/07@Centro Commerciale Campania, Marcianise (CE) per Luglio in Jazz
15/07@Centro Commerciale Nave de Vero, Marghera (VE) per Nave de Vero in Jazz
16/07@Piazza Duomo, Tortona (AL) per Arena Derthona
La talentuosa e suggestiva pianista in Italia per 3 date col suo trio, dove la affiancano Anthony Jackson alla chitarra e Simon Phillips alla batteria, presenterà il quarto ed ultimo disco del progetto, Sparks uscito nell’Aprile di quest’anno.
09/07@Autodromo Nazionale, Monza per I-Days Festival
Unico appuntamento per poter farsi avvolgere dalle magiche e profonde atmosfere della band islandese, autrice di alcuni dei più grandi dischi che l’ultimo ventennio (e non solo) ci abbia regalato, per questo imperdibile appuntamento in trio. In apertura, tra i tanti, i gallesi Stereophonics.
16/07@Piazza Ombre, Chiaverano (TO) per A Night Like This Festival
La band Dream Pop-Shoegaze di Pesaro sarà presente al festival di Chiaverano dove nella stessa data, tra i tanti, troveremo sul palco anche Jacco Gardner, Birthhh e We Are Waves. Da segnalare la presenza della band nel cartellone di festival spagnoli e tedeschi durante questo mese.
16/07@Piazza del Duomo, Pistoia per Pistoia Blues
L’intensità e l’emotività del songwrter irlandese al suo ritorno in Italia per una data unica,
sicuramente di altissimo livello, ad ormai due anni dalla sua ultima pubblicazione My Favourite Faded Fantasy al quele è seguito il brano “Hypnosis” inserito nella colonna sonora del film d’animazione The Prophets.
SUZANNE VEGA
17/07@Teatro delle Rocce, Gavorrano (GR) per Festival Teatro delle Rocce
18/07@Porto Antico, Piazza delle Feste, Genova per Lilith Festival
19/07@ Area Universitaria di via Filippo Re, Bologna per BOtanique Festival
20/07@Villa Manin, Passariano di Codroipo (UD) per Folkest Festival
21/07@Giardini di Castel Trauttmansdorff, Merano (BZ) per World Music Festival
23/07@Mura di Treviso, Treviso per Suoni di Marca Festival
24/07@Parco Comunale, Pusiano (CO) per Buscadero Day
La splendida cantautrice californiana presenterà, oltre che ai suoi grandi classici, il nuovo lavoro Talks About Love, disco che si basa sulla vita della poetessa Carson McCullers.
CRISTINA DONÀ
19/07@Centro Eventi Il Maggiore, Verbania per Stresa Festval-Midsummer Jazz Concerts
22/07@Teatro Romano, Fiesole (FI) per Estate Fiesolana
23/07@Casa del Jazz, Roma per I Concerti nel Parco
31/07@Corte degli Agostiniani, Rimini per Percuotere la Mente
La cantautrice di Rho proporrà, accompagnata da 6 grandi musicisti, un progetto- omaggio dedicato a Fabrizio De Andrè ed alla sua poetica andando ad evidenziare maggiormente i versi dedicati all’universo femminile.
PIXIES
21/07@Parco della Certosa, Collegno (TO) per Flowers Festival
La band Alt Rock di Black Francis, tra le più influenti degli anni 80, sarà nel nostro paese per una data unica. I ragazzi di Boston, seppur orfani di Kim Deal, rappresentano sicuramente uno di quei live ai quali non si può rinunciare. In apertura i Ministri.
22/07@Vasto per Siren Festival (location da definire)
24/07@Roma per Half Die Festival (location da definire)
Il mitico gruppo inglese tornato sulle scene lo scorso anno sarà in Italia per 2 concerti dove oltre che al meglio del loro repertorio verrà proposto nuovo materiale che finirà sul disco in uscita a 22 anni dalla loro ultima fatica. A Vasto lo stesso giorno sarà possibile ascoltare tra gli altri Editors, Adam Green e Tess Parks.
KRAFTWERK
25/07@Arena, Verona
La fredda ed estremamente umana elettronica della centrale elettrica tedesca toccherà il nostro paese col suo progetto multimediale del 3D Concert per un’unica data impossibile da non consigliare.
27/07@Pinetina del Centro Allende, La Spezia per Spazio BOSS
28/07@Parco della Gioventù, Cuneo per Nuvolari Libera Tribù
29/07@Campo Sportivo, Osio Sopra (BG) per Libera la Festa
La longeva band catanese, benedetta da Mr. Albini e dai suoi Shellac, dalla quale attendiamo un nuovo lavoro sarà questo mese su alcuni pachi del nord Italia e nella data di Osio a farle compagnia troveremo la Fuzz Orchestra.
17/07@Teatro Romano, Fiesole (FI)
19/07@Spazio Aurum, Pescara per Onde Sonore Festival
20/07@CRT – Teatro dell’Arte, Milano
22/07@Anfiteatro del Vittoriale, Gardone Riviera (BS)
23/07@Auditorium Parco della Musica, Roma
25/07@Cortile degli Agostiniani, Rimini
Sarà Misery Is A Butterfly, disco prodotto da Guy Picciotto dei Fugazi, il protagonista del tour estivo che porterà nuovamente i Blonde Redhead in Italia per ben 6 date. Per la prima volta il trio newyorkese eseguirà il disco in tutte le sue tracce insieme a un quartetto d’archi. Nella seconda parte del concerto la band attraverserà poi la sua ormai ultraventennale carriera che arriva all’ultimo modernissimo Barragan del 2014.
30/07@Piazza Garibaldi, Pratola Peligna (AQ)
Torna il Festival Rock totalmente gratuito più importante della Valle Peligna con una Line Up da paura. Sul palco di Piazza Garibaldi si esibiranno i teramani Clowns From Other Space e Two Guys One Cup, lo strepitoso duo Industrial/Noise italo-francese Putan Club, i Voina Hen, la vera e propria “next big thing” della scena abruzzese, ed infine, un pezzo di storia del Rock Tricolore, giorgiocanali & rossofuoco, chiusura perfetta di un Festival che mai come quest’anno ha scelto di puntare sulla qualità e su un Rock aggressivo.
[ascolta]
[ non è mai troppo tardi per il ] Primavera Sound 2015 – parte II (e per i rumors sull’edizione 2016)
Sì, abbiamo un conto in sospeso con il festival dei festival, quello che inaugura la stagione e a cui tutti gli altri si ispirano, e non ce ne siamo dimenticati (trovate qui un resoconto dettagliato dei primi due giorni dell’edizione 2015).
Che tu faccia parte degli scettici o dei frequentatori seriali che hanno già in tasca l’Abono 2016, ti raccontiamo quello per cui è valsa la pena di trascorrere la tre-giorni più massacrante dell’anno in Catalogna, ma anche tutti gli imprevisti che mai ci saremmo aspettati dalla mastodontica macchina organizzativa dietro a un evento come il Primavera Sound Festival.
Nel frattempo le prime info sulla line-up 2016 si fanno attendere fino a gennaio inoltrato, e il web si sbizzarrisce a suon di pronostici scientifici e speranze infondate. Quel razzo in locandina riaccende la consueta chimera della presenza di David Bowie, ancor più dopo l’annuncio della release ufficiale di Blackstar prevista per l’8 di questo mese, giusto il giorno dopo quello in cui il prezzo dell’abbonamento al Prima subirà l’ennesimo aumento. Sí, il Primavera Sound riesce a vendersi (a caro prezzo) anche a scatola chiusa, ma d’altronde i grandi nomi del momento passano tutti per la kermesse spagnola, e la cifra da sborsare per poter presenziare a una tale quantità di live, all’apparenza esorbitante, è a conti fatti un’occasione irripetibile e convenientissima. Ok, resta il fatto che nella pratica ci vorrebbe il dono dell’ubiquità per poter stare sotto a una decina di palchi in contemporanea, ma questo lo avevamo già mestamente constatato lo scorso anno. In ogni caso, si può star certi che davanti al programma completo sarà impossibile restare delusi: se Bowie sembra un miraggio, i protagonisti più quotati dietro all’hashtag #PrimaveraAllStars sono del calibro di Beach House, Pj Harvey, M83, Deerhunter, Grimes, Animal Collective e Tame Impala.
Uno sguardo alle recenti reunion suggerisce inoltre alcuni nomi altisonanti, quali Guns’n’Roses e LCD Soundsystem, ancor più in quanto entrambi confermati in cartellone al Coachella 2016. I più attenti hanno presto depennato gli Stone Roses, che per il 2 giugno sembra abbiano già preso impegni in Giappone.
Di occasioni per assistere alle performance di formazioni storiche il Primavera Sound ne offre sempre in abbondanza, ma per evitare di incorrere in grosse delusioni (per non dire in anacronismi deprimenti) sarebbe bene fare alcune distinzioni tra le proposte. Lo scorso anno sullo stage Heineken sono salite le Sleater-Kinney, con un validissimo disco di inediti uscito a inizio anno, a sprigionare un’energia fuori dal comune, rock duro e puro distillato in brani eseguiti senza soluzione di continuità, e con un’eleganza da copertina patinata a demolire ogni stereotipo sull’androginia delle donne devote al genere. Tra gli show migliori della passata edizione, sono queste le reunion da non lasciarsi sfuggire. Molto spesso però, al di là delle indubbie qualità dei progetti musicali, i ritorni rischiano di ridursi ad autocelebrazioni nostalgiche. Nei casi peggiori finiscono anche per rivelare la loro vera natura di operazione meramente commerciale: è quello che è accaduto agli Strokes, probabilmente i più attesi dell’edizione 2015, con un Julian Casablancas che definire fuori forma sarebbe stato un eufemismo, per una performance durante cui, forti di un repertorio collaudatissimo, nessuno sul palco si è preoccupato di nascondere un’innegabile carenza di entusiasmo.
Sleater-Kinney
Paradossalmente, non è stata questa la cosa peggiore verificatasi durante l’ora abbondante in cui gli Strokes si sono esibiti, perchè quel che nel mentre stava accadendo sotto al palco é stato al limite dell’incredibile: gli stand stavano per terminare le scorte di alcolici. L’imprevisto da sagra di paese avveniva all’interno di una manifestazione sponsorizzata in maniera massiccia da un colosso della birra scadente che risponde al nome di Heineken.
Reduce dal live degli Interpol, proprio allo stage che dello sponsor porta il nome (e da un paio di ore senza liquidi che avevo dovuto affrontare per difendere la mia sudatissima posizione in prima fila), mi facevo strada verso gli stand tra il palco in questione e lo stage Primavera, dove Casablancas e soci erano già di scena.
La mappa del Parc del Forum per l’edizione 2015
Raggiungere gli stand si è rivelata presto un’impresa disperata, perchè il pubblico degli Strokes si era sommato a quello degli Interpol e aveva già invaso ogni centimetro quadrato degli ettari che dividono i due palchi, e se non avessi avuto la sete inverosimile di cui sopra la scelta più saggia sarebbe stata quella di ruotare di 180 gradi e guardare i maxischermi appoggiata di spalle alle stesse transenne a cui ero stata aggrappata fino ad allora. Per giunta, al termine della traversata, lo scenario che si è prospettato ai miei occhi aveva un’aria da emergenza umanitaria, tra le file scomposte di ubriachi impazienti e gli addetti al beveraggio in preda al panico davanti ai fusti vuoti.
Poi però non vi lamentate se di anno in anno continuiamo ad affinare le tattiche per eludere i controlli anti-alcool all’ingresso.
Interpol
In quanto a imprevisti di portata monumentale, la questione alcolici è seconda solo a quanto accaduto al povero Tobias Jesso Jr.: andarsi a gustare il pianoforte di uno degli esordi migliori dell’anno col sole tiepido del tramonto di sabato sembrava la cosa migliore da farsi, ma l’energia incontenibile dei New Pornographers che si esibivano all’ATP nello stesso momento ha sovrastato senza pietà il set acustico di Tobias al Pitchfork, performance definitivamente compromessa poi dalle distorsioni e dalle prorompenti voci femminee di The Julie Ruin levatesi dal Ray-Ban, altro palco attiguo e con impianto di tutt’altra potenza.
Tobias Jesso Jr. @ Pitchfork stage
In generale, il 2015 sembra essere stato all’insegna delle difficoltà nello scheduling. Le sovrapposizioni degli imperdibili sono state moltissime. Il programma del venerdì non solo ci ha costretti a scegliere prima tra Damien Rice, Belle and Sebastian, Sleater-Kinney e Perfume Genius, ma in seconda battuta anche tra Ride, Ariel Pink, Voivod e Run The Jewels. Presi dall’hype, siamo rimasti al Pitchfork per il californiano e i suoi Haunted Graffiti. Dopo gli evidenti problemi tecnici dei primi due pezzi, il live è decollato rapidamente insieme col suo eccentrico protagonista, strizzato in una tutina pastello (che in realtà è forse uno degli outfit più sobri mai sfoggiati on stage da Ariel Rosenberg), davanti a una folla considerevole, esaltata e compatta nell’intonare il refrain di “Black Ballerina”.
Se la lungimiranza del Primavera nel comporre le line-up è ormai un dato di fatto, è pur vero che, come ogni regola, non è esente da eccezioni.
Tra quelli a cui è stato concesso il salto di qualità dal Pitchfork stage all’Heineken quest’anno c’è stato Mac De Marco. Con la stessa salopette e la stessa aria scanzonata (per non dire un po’ beota) che suppongo indossi quando scende in garage a truccare il cinquantino ci ha proposto quasi tutto il suo Salad Days (i due EP datati 2015 sarebbero usciti in estate inoltrata), per poi prendere per culo Chris Martin con una cover di “Yellow” deliberatamente blanda, lanciarsi in uno stage diving a spasso per qualche centinaio di metri su una folla di tardoadolescenti fino a un attimo prima occupati più che altro a drogarsi e venir poi ricondotto sul palco senza una scarpa ma con un’espressione ancor più felicemente idiota di prima, per annunciare infine l’arrivo di Anthony Kiedis, esclamando “Mr Dani California himself!”, mentre sul palco saliva un soggetto raccattato chissá dove (e che a Kiedis non somigliava manco un po’). Se è vero che una delle icone che resteranno del Primavera 2015 è senz’altro quella di Mac sospeso sulla folla, di fatto quella volta a fidarmi della proposta sul main stage ho finito per perdermi tre quarti d’ora di collaudati struggimenti emo con gli American Football al Pitchfork.
stage diving di Mac DeMarco di fronte al palco Heineken
A parte qualche episodio come questo, fortunatamente gli imprevisti in genere sono per lo più piacevoli. Il Primavera Sound è una roba in cui, mentre ad esempio sei a metà strada diretta a vedere gli Shellac, ti può capitare di passare davanti a un’altra performance, che neppure avevi inserito nel tuo piano di attacco, e che finisce per piacerti così tanto da convincerti a cambiare tutti i programmi. È stato così che nella tarda serata di sabato, a intervallare le granate di elettronica di Dan Deacon prima e Caribou in chiusura, ho beccato i Thee Oh Sees a prodursi in una delle performance migliori di questa edizione.
Date un’occhiata, e se poi vi viene voglia di farvi un regalo eccovi il link giusto.
https://portal.primaverasound.com/?_ga=1.157760122.1796721096.1451657543
The Heart and the Void – A Softer Skin
Secondo EP per il sardo Enrico Spanu, che in sei tracce di rarefatto Folk ci racconta l’amore nelle sue più diverse sfaccettature: L’amore come un errore in cui si ricade continuamente. Un amore passato ma mai realmente dimenticato. Un amore filiale. Un amore verso una persona che ormai non lo ricambia più. Un amore verso una persona che non si potrà mai avere. Un amore incondizionato per il quale si rinuncia a tutto. Il disco scorre tranquillo, sognante e semplice, fondato principalmente su chitarre in fingerpicking e una voce limpida, romantica, con liriche in inglese (in “This Thunder” sentiamo aggiungersi una leggera batteria, mentre cambiamo marcia in “Down to the Ground”: chitarra – elettrica – sporca, sonaglio e un suono d’organo in sottofondo). Non c’è molto altro da dire su A Softer Skin, un disco che fa della semplicità un motivo d’esistenza. Normalmente prodotti del genere mi stufano presto, immersi come siamo in un mondo saturato di cantastorie con la chitarra in braccio che fanno il verso ai songwriter anglosassoni, per la maggior parte delle volte anche in modo soddisfacente, per carità… ma alla fine ci si chiede perché ascoltarne cento diversi quando si può esaurire praticamente tutto il campionario con una rapida carrellata tra Bob Dylan e Damien Rice, passando da certe cose dei Decemberists? Ecco, questa volta faccio una piccola eccezione per The Heart and the Void, che anche senza uscire dai soliti binari, senza particolari guizzi o chissà che innovazioni, riesce a farci passare i suoi venti minuti con dolcezza. Se vi piace quel mondo lì, dategli una chance, non ve ne pentirete.
The Heart and the Void – A Softer Skin
Secondo EP per il sardo Enrico Spanu, che in sei tracce di rarefatto folk ci racconta l’amore nelle sue più diverse sfaccettature: L’amore come un errore in cui si ricade continuamente. Un amore passato ma mai realmente dimenticato. Un amore filiale. Un amore verso una persona che ormai non lo ricambia più. Un amore verso una persona che non si potrà mai avere. Un amore incondizionato per il quale si rinuncia a tutto. Il disco scorre tranquillo, sognante e semplice, fondato principalmente su chitarre in fingerpicking e una voce limpida, romantica, con liriche in inglese (in “This Thunder” sentiamo aggiungersi una leggera batteria, mentre cambiamo marcia in “Down to the Ground”: chitarra – elettrica – sporca, sonaglio e un suono d’organo in sottofondo). Non c’è molto altro da dire su A Softer Skin, un disco che fa della semplicità un motivo d’esistenza. Normalmente prodotti del genere mi stufano presto, immersi come siamo in un mondo saturato di cantastorie con la chitarra in braccio che fanno il verso ai songwriter anglosassoni, per la maggior parte delle volte anche in modo soddisfacente, per carità… ma alla fine ci si chiede perché ascoltarne cento diversi quando si può esaurire praticamente tutto il campionario con una rapida carrellata tra Bob Dylan e Damien Rice, passando da certe cose dei Decemberists? Ecco, questa volta faccio una piccola eccezione per The Heart and the Void, che anche senza uscire dai soliti binari, senza particolari guizzi o chissà che innovazioni, riesce a farci passare i suoi venti minuti con dolcezza. Se vi piace quel mondo lì, dategli una chance, non ve ne pentirete.
Nicolas J. Roncea – Eight (Part One)
Prima parte di una trilogia di album contenenti ciascuno otto canzoni, Eight (Part One) di Nicolas J. Roncea nasce da alcune considerazione dell’artista sullo stato della musica dal vivo oggi: “L’interesse per la musica dal vivo, mi riferisco soprattutto a quella di nicchia, purtroppo è calato notevolmente e che la stragrande maggioranza degli appassionati ascolti musica quasi solo ed esclusivamente su Spotify o Youtube è una verità appurata e non è da considerarsi come una grande novità ormai. Sono orgoglioso degli ultimi brani che ho scritto ed ho pensato che tentare una nuova strada, utilizzare uno strumento per me ancora inedito, potesse essere un buon modo per arrivare a catturare l’attenzione di chi magari ad un mio concerto non ci sarà mai ed allargare i miei orizzonti”. Roncea dunque dallo scorso gennaio presenta i suoi brani in anteprima su Youtube, brani che poi andranno a formare, per l’appunto, tre album distribuiti digitalmente e, infine, un cofanetto fisico, che li conterrà tutti e tre. La prima parte è composta di canzoni per voce e chitarra, sulla scia dei songwriter di stampo anglosassone come Damien Rice, che infatti viene omaggiato con una cover posta in calce al disco, dove appare anche un pianoforte. Eight (part one) è dunque tutto qui: otto canzoni (anzi, sette, considerata la cover) di Folk in inglese, confezionato in maniera pregevole ma senza particolari guizzi, cosa peraltro dovuta anche alla voce di Roncea che non ha la delicatezza e il virtuosismo di un Damien Rice, ma non ha neanche la malinconica stortura di un Elliott Smith. Gli arrangiamenti sono per forza di cose minimali e lineari (come si è già detto, voce e chitarra) e quindi l’ascolto un poco ne risente. Le canzoni hanno una loro forza, ma questa si stempera nella prevedibilità del pacchetto. Aspettiamo il seguito della trilogia per osservare come si evolverà il progetto in un habitat meno scarno.
Glen Hansard
Onestamente la lunga coda per Glen Hansard in un freddissimo 20 febbraio milanese, non me l’aspettavo proprio. E invece in molti si sono presentati più che puntuali, in tempo per vedere anche l’opener, Lisa Hannigan. E qui la seconda sorpresa. Perché la Hannigan è fondamentalmente la talentuosa corista di Damien Rice che ha intrapreso una carriera da cantautrice e non ci si aspetta certo che il pubblico sia lì anche per lei. Non fraintendetemi, la Hannigan è bravissima, con il suo uso della voce a cavallo tra Emiliana Torrini e Julia Stone, un personaggio delicato che al tempo stesso trasmette determinazione, capace di stare sul palco da sola e incantare solo con le sue melodie e un ukulele. Ma mi aspettavo il solito semivuoto sotto il palco e una platea caciarona in attesa dell’headliner. E invece tutto il pubblico era già piazzato, col naso all’insù, in un silenzio attentissimo interrotto solo da qualche “Brava Lisa” e dal brusio di qualcuno che cantava Little Bird o Passenger.
Hansard si presenta sul palco con dieci strumentisti: basso, chitarra, batteria e uno dei violini sono i componenti dei The Frames, a cui si devono aggiungere trombone e sax, tastiere, altri due violini e un violoncello. Il concerto si apre con You will become a cui seguono Maybe not tonight e Talking with the wolves, tutt’e tre -per altro in quest’ordine- presenti nell’ultimo disco Rhythm and Repose: in un attimo l’atmosfera si fa intima e famigliare. Hansard ama raccontare aneddoti e parlare di se stesso, così intervalla i brani con la storia della gita al faro finita male o con la sua personale opinione della generazione X-factor (“Voler diventare celebri per la celebrità in sé è roba da fottuti ignoranti!”). La gente gli urla “Bravo” e “Grazie” e lui risponde “Grazie” e “Grazie” in un siparietto ilare che andrà avanti per tutto il concerto, quando finalmente Glen avrà imparato a dire “Prego”. L’irlandese è una cantautore serio ma che non veste i panni dell’intellettuale, è un frontman con un grande carisma ma anche molta modestia: il palco è gestito con professionalità, ma anche con leggerezza e disimpegno, con la consapevolezza implicita che uno show debba prima di tutto intrattenere, anche e soprattutto per catturare l’attenzione del pubblico e far passare meglio i propri messaggi. La scaletta prosegue con alcune sorprese: Love don’t leave me waiting finisce con una citazione improvvisata di Respect di Aretha Franklin, vengono eseguite alcune cover de The Swell Season, il progetto di Hansard con la pianista e cantante Marketa Irglovà, fra cui spicca la dolce In these arms, ma è l’accenno in palm muting di Wishlist dei Pearl Jam che scalda la platea: è una richiesta, il cantautore si lamenta anche perché non riesce a leggere testo e accordi per colpa del luciaio del Limelight che gli ha cambiato le luci (e ironizza: “Gli avevo detto di non farlo e lui l’ha fatto lo stesso! Che poi questo posto è una discoteca, avrà sì e no cinque colori…”). Fedele all’originale ed eseguita con molta delicatezza con il solo accompagnamento della chitarra, il brano richiama i musicisti sul palco per Fitzcarraldo, Santa Maria e Song of good hope, un momento serissimo in una serata leggera e divertente: la canzone viene dedicata a un amico malato di cancro che dopo anni di inutili cure si è messo in giro per il mondo a vivere il tempo che gli resta.
È l’encore, però, il vero apice di una serata piacevole e piena di sorprese: Hansard torna sul palco con la sua sola acustica (tra l’altro con la tavola armonica bucata – il ragazzo pesta come un dannato e credo si diverta anche a non usare i battipenna) e canta Say it to me now, senza microfono e senza amplificazione. Il pubblico si stringe sotto il palco, tutti fanno silenzio e ascoltano incantati. Con la Hannigan, poi, intona O sleep (brano composto dalla ragazza) e Falling Slowly dei The swell season. I musicisti tornano sul palco e c’è un momento veramente grottesco: un ragazzino dal pubblico aveva richiesto un brano dei Nirvana, perché il 20 febbraio sarebbe stato il compleanno di Cobain. Hansard lo accontenta, ma a condizione che salga sul palco per cantare. Il ragazzino è tutto imbarazzato, non sa che dire. La band attacca Breed e lui sta lì, microfono in mano, ad ammettere di non sapere le parole, poi prende coraggio e si limita a saltare e a fare le corna, secondo il migliore stereotipo. I musicisti sul palco sono divertitissimi (e per altro fanno una versione davvero bella del brano, energica e raffinata al tempo stesso), il pubblico anche. Con una splendida e caldissima This Gift (dal vivo davvero molto molto più potente che da disco – c’erano schegge di bacchette di Hopkins ovunque) finisce il concerto. Hansard e soci decidono di congedarsi dal pubblico in un modo meraviglioso: abbandonano tutti l’amplificazione, si dispongono sul palco come una compagnia teatrale per i saluti e gli inchini e intonano Passin’ through di Leonard Cohen: danno istruzioni agli spettatori sulle parole da cantare e scendono in mezzo a noi come una marchin’ band. Si fermano un po’ in mezzo alla platea e poi, continuando a suonare e cantare, salgono la scala che porta su una balconata di fronte al palco.
Davvero meraviglioso!
Leaves & Stone – The Dancer
Il progetto di Giacomo Manfredi denominato Leaves & Stone (letteralmente Foglie e Pietra), nato nel 2011, parte dall’idea di fare musica essenzialmente per emozionare, in maniera languida e sentimentale, senza esasperazioni, esagerazioni o voglia di stupire. Si parte, a detta dell’autore, da influenze che vanno dai Coldplay ai Sigur Ros, passando per The Cinematic Orchestra fino a Damien Rice. A essere sinceri, delle atmosfere gelide e sognanti, dei muri di chitarra Post Rock e del cantato incantevole degli islandesi non c’è quasi traccia. Qualche similitudine con la banda Bassotti altrimenti detta Coldplay ci sarebbe anche. Solo che gli inglesi, a differenza del nostro compatriota Leaves & Stones, riescono ogni tanto a indovinare qualche melodia orecchiabile (per ora lasciamo perdere il fatto che, di solito, tali melodie, Chris Martin e soci le copiano spudoratamente da altri. Sapete la storia di “Speed Of Sound”, di “Computer Love” e del fatto che i Kraftwerk dovettero essere aggiunti tra gli autori? Andate ad ascoltare, è da ridere). Anche il paragone con il Nu Jazz e Downtempo dei The Cinematic Orchestra non è facile da reggere mentre forse la maggiore vicinanza è proprio con l’irlandese Damien Rice, il quale però punta su elementi Folk qui totalmente assenti.
Non basta a Giacomo il circondarsi di validi elementi, come Enzo Fornione a piano e chitarra, Andrea Scano a chitarra e basso, Marco Ricotti alla batteria, Daniele Valentini a chitarra ed electronic set ed Elena Bonanata e Deborah De Pasquale alla voce. E non sappiamo quanto gli apporti di Ruggero Frasson al piano e Emanuele Fiammetti al violoncello possano bastare nelle esibizioni live. Bastare a cosa, vi chiederete.
Io parto sempre dal presupposto che, il primo elemento critico da prendere in considerazione per valutare l’opera di un artista, sia il capire quello che è l’obiettivo e individuare quanto vicino a quell’obiettivo si sia andati. Nel nostro caso, è evidente che la scelta sia quella di colpire al cuore, commuovere, appassionare, far piangere l’anima. Per farlo si punta essenzialmente su due elementi, piano e voce, lasciando al resto solo sprazzi inutili (le chitarre convincono solo in “Summer Sky”, il cui intro è l’unico momento che può far tornare alla mente la band di Jonsi). Puntare su piano e voce non è scelta facile. Ancor più quando il primo è suonato in maniera tanto semplice ed elementare. Tutto il compito finisce per appesantirsi sulla voce, sia di Giacomo Manfredi che delle due donne che lo accompagnano in “Untitled”. L’unica via d’uscita per salvarsi dalla catastrofe sarebbe il possesso di due corde vocali con le palle quadrate. Non è il nostro caso. La voce non regge il peso, non presenta capacità straordinarie, non è abbastanza profonda ne espone ampiezza buckleyana. Non ha un timbro memorabile, non ha lacuna particolarità che possa tirarla fuori dal calderone del “già sentito”. Non c’è nulla che possa distinguere Leaves & Stone da tutto il resto. Semplicemente una voce discreta e poco altro. Non ho mai dato troppo peso a gente come Elton John o Tori Amos e questo The Dancer espone in modo preoccupante la stessa attitudine, la stessa impostazione, lo stesso stile, pur se in maniera meno pregiata. Non è il classico disco brutto, fatto male, mal registrato, con parole senza senso, stonature, melodie inascoltabili, scopiazzature senza vergogna. Non lo è. Eppure non mi piace perché non riesce ad accompagnare la mia mente e tenerla per mano attraverso la nostalgia dei miei ricordi. Sul mio volto, non c’è nessun “malinconico sorriso”. Provate voi e mandatemi una foto.