Darkwave Tag Archive

Synthesizer, il richiamo brutale alla vita degli A Place to Bury Strangers

Written by #, Recensioni

Caos, urgenza, rumore e filosofia DIY: sta tutta qui l’essenza del nuovo lavoro della band guidata da Oliver Ackermann.
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Chelsea Wolfe – She Reaches Out to She Reaches Out to She

Written by Recensioni

Una terapia che apre sul futuro dell’artista californiana sradicando i traumi passati, mutando in una forma più completa che ci avvolge con la consueta, autentica oscurità.
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Jaywalker, il nuovo album di MØAA – Intervista track-by-track [ITA/ENG]

Written by Interviste

L’artista di Seattle racconta, pezzo per pezzo, il suo nuovo Long Playing; dal processo creativo alle storie di vita sul filo del rasoio che l’hanno ispirato.
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Oneste, crude, dark – Intervista alle Ghum [ITA/ENG]

Written by Interviste

Alla scoperta della band di base a Londra che la scorsa estate ha esordito con l’intrigante Bitter.
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‘Chi suona stasera?’ – Guida ai concerti [ottobre 2022]

Written by Eventi

Sigur Rós, Gosdpeed You! Black Emperor, Wet Leg, The Afghan Whigs: tutti i concerti del mese da non perdere secondo Rockambula.
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10 songs a week // 25.05.2021

Written by Novità

Alt jazz italico, hit australiane e tanto altro tra le novità selezionate per voi per sopravvivere al lunedì (anche se a volte arriva di martedì).
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Recensioni #15.2018 – Adam Naas / Any Other / Bad Pritt

Written by Recensioni

10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #30.04.2018

Written by Playlist

Le Classifiche 2016 di Silvio “Don” Pizzica

Written by Articoli

Dade City Days – VHS

Written by Recensioni

Il disco di esordio del trio bolognese tra shoegaze e ispirazioni cinematografiche.
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The Underground Youth – Haunted

Written by Recensioni

Tanta cassa dritta, voce cupa, monotona e suoni sommessi e ovattati. Non è un caso che The Underground Youth provenga dalle stesse terre della più grande band Post Punk mai esistita, i Joy Division. Il solco è quello ma con sfumature sintetiche e psichedeliche maggiori, un’attitudine rivolta più al Gothic che al Punk e un suono tendenzialmente Wave che se non fosse per l’indolenza delle ritmiche sarebbe perfetto per far ballare i vampiri quasi a guisa di violenta Ebm (“Drown in me”). Quelli che sembrano i punti di forza di Haunted finiscono inevitabilmente per diventarne gli stessi limiti. Laddove le chitarre osano con più insistenza, si evidenziano non solo le influenze della band di Manchester ma anche le similitudini con formazioni contemporanee ben più note e talentuose. Stessa cosa possiamo rilevare nella sezione ritmica e se da un lato ci si potrebbe aspettare un qualche conforto dalla voce, non resta che rassegnarsi anche alla sua banale piattezza e timbrica involontariamente sgradevole. Tutte queste considerazioni sembrano far protendere il giudizio verso una solenne bocciatura eppure c’è qualcosa di buono in questo settimo Lp della band formatasi solo nel 2009 (certo quello che non le manca è la prolificità). Quando le derive psichedeliche si fanno più marcate e Craig Dyer e soci prendono le strade più Experimental Noise Rock (la parte iniziale di “Self Inflicted” ad esempio o “The Girl Behind” che può ricordare certi Have a Nice Life o ancora “Slave”) mostrano tutto il loro potenziale talento e il rimpianto è di non aver assistito alla definitiva crescita stilistica di una formazione che probabilmente avrebbe potuto dare molto di più al genere pur avendo fornito prova di evoluzione considerevole rispetto agli esordi.

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Black Fluo – Billion Sands

Written by Recensioni

Scelgono l’eleganza del nero, nel nome, nell’artwork e nello stile. La raffinatezza dell’assenza di luce, della disperazione, del lato oscuro dell’anima, delle tenebre, della morte, della scoperta di quello che superficialmente ci sforziamo di sotterrare. Un nero fluorescente, come visivamente può esserlo la dicitura Billion Sands incisa sul nero opaco di copertina. Un nero fluorescente che ha la frenesia di mostrarsi in tutto il suo inquietante splendore. Black Fluo è essenzialmente un quartetto di Chiasso che miscela musica Elettronica e Neo Classical, il tutto frullato in un contenitore di contaminazioni psichedeliche e cosmiche che sciolgono il sound, spezzano i legami molecolari delle note, lasciando sgocciolare materia oscura, liquida e caldissima. Billion Sands è l’esordio di questo progetto che va ben oltre la semplice definizione di band, comprendendo anche grafici e attori. Peccato, a tal proposito, non avere tra le mani quel libro/non libro che rappresenta il packaging ma solo la copia promozionale per la stampa. Immagino sarebbe stato un ulteriore motivo di estasi per i miei sensi.

Da un punto di vista musicale, le attese speranzose possono dirsi, almeno in parte, divenute realtà. L’apporto di Zeno Gabaglio (cello in “La Fin”) e Luca Broggini (batteria in “Les Vagues Caleidoscopiques”) è ulteriore garanzia di qualità ma è nell’insieme che Billion Sands convince a metà, o forse qualcosa di più. Quasi impossibile dare una collocazione temporale alle note dell’opera, sospese come sono nello spazio e nel tempo. Le strumentali che ci introducono al lavoro, dal vago sapore tra certo Slowcore stile Black Heart Procession e conturbanti introduzioni funeree degli Have a Nice Life. Quel cocktail di note oscure, riverberi ed echi cosmici e sconvolgenti che quasi ci trascinano in una dimensione irreale presto diventano sperimentazioni dalle lievi ritmiche tribali, sulle quali si staglia una narrazione eccitante, tra John Cale e Sol Invictus (“Whisper”). Non mancano momenti più canonici, a modo loro, sabbiosi, quasi tendenti al Folk desertico, come dei Calla in giornate particolarmente deprimenti e tristi (“Death of a Sun”) o ancora più vicini al più conforme cantautorato sempre in chiave Neoclassical Darkwave (“Scarborough Fair”, “Narcosia”), un po’ Black Tape for a Blue Girl e un po’ Lisa Gerrard, grazie anche all’apporto di Adele Raes. Dunque, ritmiche ossessive e marziali sullo sfondo di timbriche vocali eteree e sofferenti, tutto in una chiave psichedelica moderna e lisergica ma anche uso sapiente della materia chitarristica (“Les Vagues Caleidoscopiques”) che sul finale apre una porta Psych Rock totalmente nascosta fino a quel momento, quasi a mostrarci una esistenza parallela che deformi totalmente i nostri pensieri prima di mandare tutto in frantumi con il claustrofobico e terrificante finale (“Caledonia”) che alterna speranza e disperazione. Particolare attenzione è opportuno dedicare alle liriche, perfettamente in linea, grazie al loro ermetismo e simbolismo, con lo stile musicale dei Black Fluo. Per il resto uno splendido album che poteva essere ancor più intenso, se si fosse insistito su certe idee e che finisce per apparire ottimo senza lasciarci veramente fluttuare a mezz’aria in una nascosta interzona dell’anima, una volta scoccato l’ultimo dardo dall’ultima nota.

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