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The Foreign Resort – New Frontiers

Written by Recensioni

Fino a venti anni fa, in piena epoca Grunge ed Alternative Rock, orde di capelloni, depressi e disillusi in camicia di flanella e jeans strappati si accanivano ferocemente contro tutte quelle sonorità fredde e look da fighetto che rappresentano a tutto tondo quel caleidoscopico calderone denominato Post Punk o New Wave che dir si voglia. Dai primi anni Zero, grazie al successo di gruppi quali Interpol e Franz Ferdinand, è avvenuto un vero e proprio revisionismo storico nei confronti della “Nuova Onda” che ha attraversato il panorama musicale dal 1978 al 1983, regalandoci gemme che risplendono prepotenti ancora oggi nel firmamento Rock. La rivalutazione di tanto spessore e la continua citazione da parte di band emergenti sta rendendo nauseante e borioso il magnetismo oscuro di un’era artistica così estrosa, sia nei costumi e nel make-up, quanto permeata da un nichilismo e da un senso di disgregazione che ha fatto le sue vittime (Ian Curtis e  Adrian Borland su tutti).

I Foreign Resort sono un trio originario di Copenaghen, vero e proprio cuore nero d’Europa (basti pensare agli Ice Age), attivi sin dal 2009 e composto da Mikkel B. Jakobsen (chitarra e voce), Henrik Fischlein (chitarra e basso) e Morten Hansen (batteria e voce). Sfornano questo New Frontiers imbastendo un flusso sonoro carico di velata malinconia e di fantasmi mai svaniti che ormai è divenuto un cliché dal sicuro impatto sul pubblico anche se annoia brutalmente. Mikkel. voce e penna della band, strizza l’occhio a Robert Smith con quel cantato affogato e lontano per tutte e nove le tracce; musicalmente domina la ritmica funerea dei Joy Division , condita ora con elementi Synth Wave tanto cari ai Depeche Mode quanto ai Cocteau Twins, ora da sferragliate di feedback nella migliore tradizione Shoegaze (My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain).  Per quanto i riferimenti ai fasti del passato siano gloriosi, si finisce per essere risucchiati da un vortice tedioso e stucchevole; al massimo cercate un po’ di brio  nello spedito Post Punk a tinte epiche della titletrack.

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La Band Della Settimana: Christine Plays Viola

Written by Novità

La band abruzzese è ormai una vecchia conoscenza per i più affezionati lettori di Rockambula, dopo la recensione del loro ultimo Ep, la video intervista realizzata sempre da Ulderico Liberatore e il live report ad opera di Riccardo Merolli. Chi li ha imparati a conoscere sarà rimasto affascinato dalla loro musica misto di Darkwave, Gothic e Post Punk, tra Depeche Mode, Piano Magic, Christian Death, Bauhaus e Sister of Mercy.

Ora la redazione di Rockambula ha deciso di premiare i Christine Plays Viola freschi del ritorno dall’ennesima data fuori dai confini italiani. Zurigo è solo l’ultima tappa di una serie interminabile di date in cui Massimo Ciampani, Fabrizio Giampietro,  Desio Presutti e  Daniele Palombizio si sono esibiti in giro per l’Europa. In attesa di assistere alla loro esplosione anche in terra italiana, gustiamoci ancora il sound oscuro dei Christine Plays Viola.

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Christine Plays Viola – Leocadia EP

Written by Recensioni

Leocadia è il nuovo Ep noir dei Christine Plays Viola, band abruzzese che sta percorrendo le scene Darkwave dell’europa centrale. Dopo il grande successo di Innocent Awareness che li porta fuori dal contesto italiano, un po’ stretto per il loro genere, tornano a lavorare sul secondo album studio e ce ne danno un assaggio con questo Ep dalle tinte oscure: Leocadia. Ispirati dalla pittura del Goya che in un momento particolare della sua vita lavorò su una serie di “dipinti in nero”. “La Leocadia” raffigura una donna in abiti neri, forse da funerale, appoggiata di un fianco su un “cumulo” con lo sguardo perso nella tristezza assoluta che cerca di sfuggire allo spettatore. Ed è proprio in questa raffigurazione che si incastra questo Ep dalle tinte cupe e sonorità scomposte e sfuggenti.

Con la chitarra disturbata e le trame riverberate del synth, un basso secco e rapido, batteria martellante e voce tonda i Christine ripartono dai sound tipici degli anni ottanta, loro mentori i Bauhaus per la chitarra scomposta di Fabrizio Gianpietro, evidente in “Leocadia”, ma anche il synth tipico di quegli anni, prendiamo i Depeche Mode per intenderci.Per ricondurli all’ombra dei giorno nostri senza troppi compromessi. La profonda voce di Massimo Ciampani fa da trama componendo un’atmosfera nebbiosa, uno stacco glaciale sulla melodia come si sente in “Keep my Scorn Warm”. Mentre il basso di Desio Presutti e la batteria martellata di Daniele Palombizio in “Scattered In The Dust (Slay With Dismay)” fanno da cornice a questo quadro cupo, a questa Leocadia assorta a causa dei suoi perturbamenti.

Un lavoro curato, un concept macchiato di nero che ci trasporta sulla parte in ombra di noi stessi per lasciarci guardare da dentro le nostre paure, le nostre ansie, i nostri disagi, senza prevaricazioni esterne.

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