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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Ottanta

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80

Esiste un decennio più controverso degli anni 80? Ed esiste un modo peggiore di iniziare un articolo che con due domande retoriche? Ovviamente (altrimenti non sarebbe una domanda retorica) la risposta è no in entrambi i casi.

Gli anni Ottanta per gli ultra trentenni come me sono gli anni più straordinari che ci siano, quelli vissuti nel pieno della fanciullezza ma che avremmo navigato magicamente anche nella decade seguente, per l’ovvio ritardo con il quale il nostro paese ne ripresentava le tendenze, anche cinematografiche e musicali. È stato per noi il decennio ammaliante che ci ha fatto diventare quello che siamo, straordinario e favoloso perché, pur se ben saldo nella memoria, ha un sapore di tempi antichi, passati, andati per sempre. Dieci anni in sospeso, ambigui che nella musica ma anche nel cinema, nella moda, nel costume, nella politica, in tutto insomma, hanno toccato gli estremi più lontani che si potessero immaginare.

Erano gli anni di “Video Killed the Radio Star” e quelli di “Luna”, di “Enola Gay” e di “Gioca Jouer”, di Falco e Miguel Bosè, di “Vamos a la Playa” e “Vacanze romane”, gli anni di Raf, di Madonna e i Duran Duran, di “Take on me” e Gianna Nannini, de “La Bamba” (la canzone), Nick Kamen e Jovanotti che faceva il verso ai rapper americani e poi Francesco Salvi con le sue canzoni ultratrash. Gli anni 80 sono stati per molti la decade trash per eccellenza e anche se tanta della sua spazzatura oggi è considerata oggetto di culto, fu anche un decennio colmo di musica eccezionale. La nostra classifica prova a darvene un esempio.

Al primo posto si piazza Bleach l’album che non solo ci consegnò una delle più grandi band e dei più amati, imitati e adorati cantanti di sempre, una leggenda vera ma pose anche le basi per una delle ultime rivoluzioni del Rock che esplose poi nei 90. Subito dietro i Sonic Youth, capaci di prendere l’eredità dei Velvet Underground e adattarla ai nuovi tempi (grazie anche all’esperienza con Glenn Branca e Rhys Chatam) e un’altra formazione clamorosa, The Smiths, tra le più rappresentative del suo tempo grazie anche a un frontman dal fascino indiscusso. Buon piazzamento per Curtis e il suo Closer, ponte metaforico tra due diverse epoche e ottima doppietta per gli eredi (in parte) Cure con Disintegration e Pornography. Sorprende la presenza di ben due dischi italiani i quali, se certamente non avranno avuto un ruolo primario nella storia della musica mondiale, per il nostro paese hanno suonato come uno stravolgimento incredibile della realtà. Due album profondamente diversi ma dalla potenza espressiva non dissimile, Affinità-divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi del Conseguimento della Maggiore Età dei CCCP e Franco Battiato con La Voce del Padrone. Chiudono altre due sorprese, Tom Waits e i Dinosaur Jr mentre restano purtroppo fuori dalla top ten a malincuore e per pochissime preferenze di differenza capolavori come Zen Arcade (Hüsker Dü), The Stone Roses, The Joshua Tree (U2), Thriller (Michael Jackson), i Duran Duran che disperdono i voti tra Rio e l’omonimo e tanti altri. Peccato anche per l’assenza di Pixies, Talking Heads e Metallica ma le classifiche sono sempre difficili.

Diteci voi, chi non doveva mancare? Chi non avremmo dovuto inserire? E vi piace il primo posto?

1. Nirvana – Bleach

2. Sonic Youth – Daydream Nation

3. The Smiths – The Queen Is Dead

4. The Cure – Disintegration

5. Joy Division – Closer

6. CCCP – Affinità-divergenze fra il Compagno Togliatti e Noi del Conseguimento della Maggiore Età

7. Franco Battiato – La Voce del Padrone

8. The Cure – Pornography

9. Dinosaur Jr – You’re Living All Over Me

10. Tom Waits – Rain Dogs

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Neko at Stella – Neko at Stella

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Il Rock deve suonare sporco e duro, altrimenti non stiamo parlando di Rock. Ma di maledette influenze senza voce concreta. L’omonimo esordio discografico dei Neko at Stella impone le classiche regole del Desert Noise Rock nel miglior modo possibile, un lavoro mixato in analogico per rendere vive e bagnate le radici americane del sound. Un lavoro che suona datato di una ventina di anni ma in grado di mettere in evidenza la straordinaria potenza psichedelica della band, non è roba facilmente ascoltabile in Italia se proprio vogliamo dare un punto di originalità al disco, qui di made in Italy  non troviamo assolutamente niente esclusa la nazionalità di Glauco Boato (voce e chitarra) e Jacopo Massangioli (batteria). Pezzi interminabili che sembrano tirare fino all’infinito, la chiusura che non vuole mai arrivare butta l’attenzione a capofitto nella pesantezza Stoner dei pezzi a loro volta carichi di passione. Quella passione scritta in maniera dura ma comunque sinonimo di amore e vita vissuta, le batterie spaccano i timpani come è giusto che sia. Fucilata in pieno volto e poca voglia di discutere.

Si parte subito forte con l’opener “As Loud as Hell” (primo singolo e video del disco), le intenzioni poco delicate dei Neko at Stella vengono subito fuori facendo capire di che pasta sarà composto l’intero disco che sicuramente non è adatto ad un pubblico di spelacchiati amanti del Rock dolce (sempre se possiamo definirlo Rock), questa cosa inizia a piacermi veramente e sono ancora alla prima traccia. Poi si continua a picchiare e quasi provo dissolvenza mentale quando mi ritrovo negli intermezzi di chitarra appartenuti ai più tenebrosi Sonic Youth di Daydream Nation, sensazioni pure che passano per la testa, magari associo ma non centro il bersaglio. L’immaginazione gioca brutti scherzi, a me piace giocare con le mie emozioni e Neko at Stella ne produce a dismisura e fottutamente contrastanti. Anche gli oltre otto minuti e trenta di “Like Flowers” non sono proprio una soluzione semplice da affrontare per il mio cervello che s’impone di seguire un percorso Blues e vagamente Shoegaze senza azzardare bruschi movimenti, il pezzo che forse nasce per caso ipnotizza e piace tanto. Poi la tempesta riprende piede nell’improvvisazione strumentale di Intermission. Graffi infetti sulla schiena. Poi continuo a farmelo scivolare sulla pelle in maniera delicata, il piacere inizia ad aumentare anche perché il disco assume forme lievemente più leggere anche se in “Drop The Bomb, Exterminate Them All” trovo parecchie cosette scontate Grunge anni novanta alle quali siamo ormai troppo abituati. “The Flow” dichiara che il disco ha cambiato decisamente stile a favore di chitarre ritmate Blues. Poi motoseghe psichiatriche in Psycho Blues e tanta voglia di muovere il culo. Altre due canzoni dall’interiorità emotiva alle stelle e il disco finisce. I Neko at Stella hanno dimostrato la durezza della loro corazza ma anche la voglia di portare avanti un progetto musicale fuori dal coro, il loro omonimo esordio esce fuori dalla quotidiana routine, idee chiare e tecnica da incorniciare. Speriamo sia il piacevole assaggio di una band ancora tutta da scoprire, noi e la musica italiana abbiamo tanto bisogno di band e dischi di questo calibro.

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“Diamanti Vintage” Sonic Youth – Daydream Nation

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Molto probabilmente una delle pietre filosofali del rock d’ogni tempo, il rock di quei tormenti e ossessioni che sa come farsi amare nonostante i bocconi amari che comporta, il rock che combina rumore, rabbia, purezza e amore senza nascondersi dietro artifizi o perlomeno trucchi discografici di bassa lega; Daydream Nation della band newyorkese dei Sonic Youth, è il quinto disco della formazione capitanata da Lee Ranaldo, ed è il disco forse più consapevole, più carismatico, in cui la fusione della triade di rumore+furore+tensione corrisponde perfettamente a tutto quello che proprio in quei tempi, con le scorribande Reaganiane in Salvador ed una politica sociale devastante, faceva apparire l’America come il paradiso dell’inferno. Ecco perché c’è una candela bianca in copertina, è la loro protesta al genocidio e la loro presa di coscienza politica.

Di nuovo la “gioventù sonica” detta legge con quei chitarrismi industriali, spigolosità e curve a gomito ritmiche sperimentano nuove necessità modulari, una carica espressiva che contempla decadenza post-punk e percussività urbane nonché una interminabile sequenza di vitalità mai rammaricata di non possedere principalmente quella gentilezza pop che ammorbidisce a volontà qualsiasi ribellione e che molte band – sempre alla fine degli anni Ottanta – si fregiavano di avere e anche per disconoscere un’era refrattaria (in cui avevano magari militato) e far credere di essere rinati come nuovi di zecca. Loro, Lee Ranaldo, Kim Gordon e Thurston Moore, sono tra gli esponenti avangarde di una classificazione ribelle e assordante, un asse in equilibrio che assorbe psichedelia emancipata e svolte impreviste, un gioco sonoro che caoticamente segna le tappe di una straordinaria compattezza che infastidisce e stordisce i benpensanti e guerrafondai yankee come pure i puristi del classic rock.

Dodici trace che friggono, distorsioni valvolari, frenetismi e salive roventi che fanno gruppo sensuale e antagonista, stupende garage-ballad “Hey Joni”, “Eric’s Trip”, più in la chitarre e voci suadenti che sostengono “The Sprawl”, “Kissability”, una smorfiosetta Kim Gordon che fa numeri incalcolabili magnifici “Silver Rocket”, “Rain King” o più sotto le nuvole nere di “Candle” a chiudere un suggestivo album che non è altro che “anticipo” per le grandi registrazioni a venire.

Anche un disco imbrattato di polvere lunare, che sbalordisce e che non rassicura affatto!
http://youtu.be/BKMD8vI1MaM

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