Da Platone a questa mattina, la questione insolubile della supremazia semantica tra musica pura e quella con un testo letterario ha riempito pagine e pagine di critica del settore.
Nel Settecento si credeva che la musica avesse senso solo ed esclusivamente se il suo significato venisse esplicitato in un testo che ne chiarificasse il contenuto e incanalasse ragionevolmente l’oscurità pulsionale in cui altrimenti avrebbe trascinato l’ascoltatore. Viceversa accade durante il Romanticismo, che infatti genera i più alti esiti sinfonici della storia. E noi, due secoli dopo, pur filtrando ancora praticamente tutto attraverso quei canoni ottocenteschi di grandi sentimenti ed epico sublime, non siamo in grado di concepire una canzone senza testo.
Poi arrivano i De Curtis.
Veronesi, attivi dal 2009, padri di due album da un inconfondibile retaggio classico – se non per formazione accademica quanto meno per abitudine dell’orecchio – e tanto groove funky e jazz.
Belli con gusto, seconda e recente fatica discografica, si compone di 9 tracce, tutte strumentali tranne l’ultima. Paragonati, per l’uso dei soli strumenti, addirittura a Ennio Morricone (esagerazione campanilistica, trattandosi de L’Arena, quotidiano veronese), la band ha invece tanto dei Calibro 35 ed è profondamente in debito con il rock progressivo nostrano e internazionale. Gugol bordello (una citazione? Un tributo?) marca subito i punti di forza della formazione: dialoghi melodici, cambi di tempo, cura per la dinamica, sonorità rock alternate ad atmosfere jazz. Più fusion sono Il mio Natale secco e la title track, Belli con gusto. I De Curtis sono ironici: potrebbero tranquillamente contornarsi di un’aura seriosa e sofisticata, invece scelgono dei titoli suggestivi seppur scherzosi, come nel caso di Vota Antonio, una bella ballata pianistica puntellata dal sax, con intermezzo di applausi. Novantesimo minuto ha un’introduzione meditativa che ricorda per atmosfera A wolf at the door dei Radiohead, da cui si discosta bruscamente a circa metà brano, per riconformarsi alle sonorità tipiche del quintetto veronese. L’assolo di chitarra in un contesto aleatorio arpeggiato dal pianoforte, e ancor più il riff, con cui lo strumento sembra farsi carico di impersonare il ritornello, ricordano tanto, nella costruzione, Impressioni di Settembre della PFM. Il principe parlante sa di Blues Brothers in chiave reggae, mentre Senza Ombra e Sacro Cuore si caratterizzano per sonorità più rock-pop. Plastic Island è la traccia di chiusura e, a sorpresa, c’è la voce. E’ Mae Starr dei Rollerball, quintetto jazz-rock di Portland: un testo in un inglese semplice, con delle rime e nessuna verità particolare da raccontare, ma un risultato piuttosto gradevole, con qualche avvicinamento timbrico ai Beatles. Forse i De Curtis hanno voluto lasciare una porta aperta alla ricerca di nuove future soluzioni musicali? Lo vedremo.
Belli con gusto è ricco di ispirazioni disparate, scelta vincente sia per la pienezza estetica del progetto, sia perché riesce ad accontentare un po’ i gusti di tutti. E’ un disco suonato bene, curato e mai pesante. L’unico difetto, proprio a volerne trovare, è che ogni tanto la carica emotiva cala un po’, lasciando il passo a una sensazione di “questo l’ho già sentito”: è tutto molto veloce però perché, immediatamente dopo, un cambio di tempo, una nota lunga del sax o un arpeggio al piano richiamano l’attenzione, pronti a sorprenderci con un nuovo riferimento inaspettato.