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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #24.03.2017

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“Ossa” è il nuovo video degli Oslo Tapes

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Tango Kalashnikov, il secondo album degli Oslo Tapes

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DeAmbula Records, Dreaming Gorilla, Riff Records, Santa Valvola Records, ToTeN ShCwAn, Ridens Records presentano:

il secondo album degli Oslo Tapes intitolato  Tango Kalashnikov che verrà pubblicato il 24 novembre. Prodotto da Amaury Cambuzat (Ulan Bator/Faust), il lavoro mette in risalto il viaggio intrapreso dal combo attraverso i territori sonori dell’avanguardia nord-europea. La scrittura dei brani svolta durante le sessioni di registrazione dell’album riconferma la matrice impro del trio, che viene a sua volta ampliata da interventi di ospiti che a vario titolo arricchiscono le composizioni. Tango Kalashnikov contiene dieci brani categorizzabili in una visione avant rock senza mezze misure, dando sfogo al furore degli strumenti accompagnati da parti cantate e recitate e facendo della potenza non solo un concetto sonoro ma qualcosa di più intimo.

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Diverting Duo nel roster di DeAmbula Records

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Desire ed è il terzo disco dei Diverting Duo. Il lavoro edito su DeAmbula Records (in co-produzione con la norvegese Etch Wear), vedrà luce il prossimo 27 Ottobre 2015. Votata ad un etereo Dream-Pop con venature Shoegaze, la band di Cagliari affonda radici nellarea semantica che fu appannaggio della gloriosa 4AD; dunque troviamo il duo impegnato meglio che mai a rifunzionalizzare materie che videro protagonisti gruppi seminali come Cocteau Twins e Dead Can Dance.
Band dall’afflato internazionale, lontana dagli stereotipi mediterranei legati all’isola di provenienza (Sardegna), i Diverting Duo disegnano diafani paesaggi nordici sulle ali di una tessitura minimal-synth e di una voce magnetica che racconta oscure pulsioni pop e insufla suadenti litanie primaverili.

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Before Cars – How We Run

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I Before Cars arrivano ad incidere How We Run, il loro terzo disco, sia chiaro, loro sono una band di livello internazionale, i Before Cars sono l’attuale band di Chad Channing. Avete letto bene, Chad Channing, uno dei migliori batteristi del giro di Seattle, l’ex batterista dei Nirvana. Quello che ha suonato la quasi totalità di Bleach, penso che adesso abbiamo capito tutti di quale razza di mostro stiamo parlando. Il disco esce in Europa per Deambula Records, etichetta che ancora una volta conferma grandi potenzialità e distinti gusti raffinati in fatto di produzioni. Ma veniamo all’album, entriamo in sintonia con questa grande lezione di Folk Pop poco convenzionale. How We Run inizia e si ha la sensazione di volteggiare nell’aria leggeri, quei violini sembrano carezze per l’anima, poi le chitarre esplodono (“Listen To Me”). L’ambiente è tutto in questo genere di musica, o meglio, bisogna immaginare una situazione surreale, da confine tra sogno e realtà. “Trip To Mars” è un vero e proprio Trip, non esiste cognizione mentale, lussuriosa e similmente pinkfloydiana, che è tanta tanta roba. Musicalmente questo dei Before Cars è ineccepibile, indiscussa la tecnica ed il valore dei musicisti, oltre al reverendo Chad Channing (voce, chitarre, batteria) fanno parte della band Andy Miller (basso, piano), Paul Burback (voce, chitarre) e Justine Jeanotte (violino). Trovo i suoni di chitarra davvero interessanti soprattutto nelle sottolineature acustiche, sembrano aprire un profondo solco che subito viene cauterizzato dal violino. E che violino, ne parlavo prima, da brividi. Le chitarre sembrano milioni di farfalle in volo, ho questa sensazione mentre sento armonizzare la voce di Channing in “Catch You When You Fall”. Una sorta di Indie Rock anni 90, ovviamente internazionale avvolto da una bandiera a stelle e strisce, e quello che si viene a materializzare quando il disco assume una venatura decisamente più Rock in “Everything I do”. Linee di basso dritte e meticolosamente martellanti, non è Italia ragazzi. Ancora qualcosa di diverso, qualcosa di molto cantautorale e più popular, molto anni 70, un altro momento storico sognante, questo accade quando la chitarra acustica accompagna una reminiscente “Last Times”. Poi tutto continua fino alla fine mantenendo sempre la stessa spiccata personalità, voglio menzionare “Gas Stop”, è quasi un obbligo morale farlo. How We Run è un lavoro che indubbiamente viene fuori da un’altra epoca, come suoni, come struttura, come tutto. Il problema non da poco è: come può mantenersi così attuale nonostante non lo sia? Semplicemente perchè è un grande disco e i Before Cars sono una grande band. La musica di spessore non teme epoche, cambiamenti, mode, i grandi dischi ti si attaccano al cuore. How We Run colpisce dritto come pochi, non è che per caso sono italiani? … no eh?

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Chad Channing (ex NIRVANA) nel roster di DeAmbula Records

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DeAmbula Press è particolarmente orgogliosa di annunciare l’uscita di How We Run, disco dei Before Cars , band dell’ex NIRVANA Chad Channing. Il lavoro, in uscita su DeAmbula Records, vedrà luce il prossimo 17 Febbraio 2015. Scrittura asciutta e naif, quella di Channing, infarcita di un classicismo iconico, di quell’America trasognata e profonda che possiamo rinvenire nei dischi di Jim Croce, o di un’attitudine sovversiva a la Hüsker Dü, misti ad una verve Pop, tipicamente beatlesiana. Classic Rock e un segno anticonvenzionale, Chad Channing e i Before Cars da Seattle ci regalano un disco prezioso, e una collezione di gemme indie-folk-pop che costituiranno presto un classico.

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The Marigold – Kanaval

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Evito di fare inutili giri di parole, tanto servono a ben poco, aspettavo il terzo disco dei The Marigold come un bambino degli anni 80 aspettava Carnevale. Ero preso da una forte curiosità, ero quasi indisponente verso la scena Post Rock italiana, sapevo che il loro disco mi avrebbe fatto contento. Ecco Kanaval, uscito alla metà di Dicembre negli USA per la Already Dead Tapes & Records di Chicago e in Europa per la DeAmbula Records, Riff Records, la belga Hyphen Records e Icore Prod (prendo in prestito qualche riga dal comunicato stampa). In Kanaval collaborano artisti esageratamente sperimentali come Amaury Cambuzat (Ulan Bator, Faust), Gioele Valenti (Herself), mentre mix, mastering e produzione sono portati a termine niente di meno che da Toshi Kasai dei Melvins (che ha anche suonato nel disco). Siamo tutti d’accordo che già le buone premesse senza ascoltare il disco ci sono praticamente tutte? Almeno gli incredienti sembrano essere di eccelsa qualità. Poi inizia l’ascolto, le atmosfere iniziano ad assumere strane connotazioni, usciamo dal mondo reale per attraversare il confine che porta sul pianeta dei The Marigold, “Organ-Grinder”. Chitarroni pesanti come macigni, distorsioni indiavolate, provo brividi nell’ascoltare “Magmantra”. Grunge affetto da una malattia incurabile in “Sick Transit Gloria Mundi”, noise, il pezzo è anche cantato (cosa rara nel disco), la ritmica riesce a portarsi via le ormai deboli ossa del collo. Kanaval diffonde nel mio corpo forti sensazioni contrastanti, voglia di subire, voglia di arrogarmi il diritto di essere il padrone dell’intero mondo. Sento il bisogno di piangere, subito dopo rido in maniera istericamente incontrollata. Particolarmente in “Third, Melancholia”, avverto una forte complicazione del sistema nervoso, saranno gli effetti lanciati a disegnare infiniti cerchi concentrici che spappolano tutto il sistema emotivo. Non capisco bene il perché ma perdo facilmente il controllo, ho sempre il fiato sul collo (“So Say We All”). A chiudere il lavoro “Demon Leech”, una cavalcata mentale lunga quasi dieci minuti durante i quali le emozioni assumeranno i comportamenti più disparati, una paralisi del corpo scatena una iperattività del cervello. I The Marigold sanno sperimentare come pochi in Italia, sanno contornarsi di artisti importanti, ogni loro disco rappresenta sempre una sorpresa. La banalità non esiste nel dna di questa band, hanno la capacità di trascinare l’ascoltatore dove vogliono, hanno il potere di scrivere grandi dischi, hanno il difetto di essere italiani. Kanaval è un grande disco, poca roba raggiunge questi livelli in Italia, iniziamo a valorizzare quello che realmente vale.

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La band della Settimana: The Marigold

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Tornano The Marigold, con la terza fatica sulla lunga distanza. Intitolato KANAVAL, il disco risulta un’abrasiva miscela di Post-Rock, noise e reiterazione mantrica, con un’inedita verve sperimentale, idealmente al crocevia tra Swans e My Bloody Valentine. Ormai alle spalle le escursioni in campo wave, qui chitarre granitiche, frattali rumoristici ed epiche nuances cospirano per un assalto frontale dall’etica garage. KANAVAL coopta musicisti come Amaury Cambuzat (UlanBator, Faust), Gioele Valenti (Herself) e Toshi Kasai (attivo con i MELVINS), che oltre ad aver suonato sul disco, ne ha anche curato mix e mastering al Sound Of Sirens (Sun Valley, CA). Il disco esce negli USA per la Already Dead Tapes & Records di Chicago e in Europa per la DeAmbula Records, Riff Records, la belga Hyphen Records e Icore Prod.

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Il 7 ottobre la ristampa di A Different Beat dei CUT

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La ristampa del loro storico album A Different Beat, co-prodotto da Deambula Records con la storica Gamma Pop. Nel 2006 la band diventa un trio, sviluppando e definendo ulteriormente il loro proprio sound. Grazie ad album come questo, e a live infuocati, i CUT sono diventati in Italia e all’estero una vera band di culto.

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Supervixens – Nature and Culture

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Esiste un animo noir nella musica italiana, un turbine violento lanciato senza controllo, una materia acida spalmata sgarbatamente sopra appiccicose sensazione. Il dolore non sempre porta devastazione. Debutto discografico al veleno per i toscani Supervixens con Nature and Culture, solito prodotto dell’avanguardista Amaury Cambuzat (Ulan Bator), ormai marchio di garanzia della sperimentazione del suono. Il cervello perde pezzi durante la tempesta di chitarre che si scatena in “O”, lampi elettronici esplodono senza controllo e senza grazia. Batterie impazzite alla ricerca d’inconcludenti reazioni razionali. Oggi è tornato il gelo, tanto gelo. Poi mi spacco l’osso del collo e non capisco perché certe innovazioni musicali non decidano quasi mai le sorti della musica italiana. Nessuna traccia di tranquillità, un continuo stato di agitazione pervade le vene, il ritratto di una generazione incontrollabile in “I”. Interessante l’introduzione sorniona che lascia sempre nell’aria un pericolo imminente, qualcosa potrebbe scoppiare da un momento all’altro, rimango in attesa. Inizia a fare troppo caldo, insopportabile cappio alla gola. Fabbriche, fumo grigio e cemento nelle composizioni sonore più indescrivibili che neanche il genio di Barry Truax. Ferraglie scaraventate a terra e respiro affannoso per un finale al cardiopalma. Terrificante Industrial alla Oomph! (a velocità triplicata).

Un massacro emotivo che dura oltre dodici minuti. Molto più orecchiabile (per usare un termine normalmente scemo) “Chromo”, parecchia batteria ad arrampicarsi sulle corde lanciate tese dalle chitarre, sembra quasi di ascoltare un altro disco almeno all’inizio. Poi violenza, tanta violenza da rabbrividire. Inizia a fare sempre più freddo nel mondo dei Supervixens, continuo cambio di temperatura. Bisogna fare una pausa, è tutto troppo impegnativo da tirare di botto, manca ancora un pezzo e già sento di essere soddisfatto, potrei anche farne a meno ma ormai sono rapito dal vortice e vado avanti dritto per la mia strada fantastica. Come in un bosco malvagio a cacciare streghe malefiche. “Loud! Loud! Loud!” spara proiettili alla rinfusa, pezzo duro e legnoso dalle movenze grezze, poi cambia la mia sensazione, e cambia ancora. Come sentirsi degli stronzi inerti nel buco del culo del mondo, manca la forza di reazione. Mi lascio divorare. Nature and Culture dei Supervixens è un lavoro intenso completamente strumentale, figlio desiderato del produttore e chitarrista già citato (ma lo voglio citare ancora) Amaury Cambuzat, un prodotto bello e difficile. L’ascolto non risulterà sicuramente facile, Nature and Culture pesa quintalate d’innovazione. Poi i Supervixens non sono certo componenti di questa terra, le loro proiezioni superano di molto le aspettative della scena underground musicale italiana, in generale tutte le produzioni Acid Cobra sono l’estremizzazione della sperimentazione. Una bomba esplode senza dare preavviso, questo disco racchiude l’essenza di una gelida giornata d’inverno a quaranta gradi. Inizio ad amarli, inizio ad avere paura dei Supervixens.

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Gli Anni Luce – Mr. Kiss

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Noise Rock come non ci fosse un domani. Mr. Kiss è il disco d’esordio del trio strumentale Gli Anni Luce dove troviamo la piacevole presenza di Bruno Germano dei Settlefish, quanti ricordi dal sapore Indie, il buon vecchio Indie (lasciamo perdere le lacrimuccie, ormai siamo diventati grandi uomini maturi dalle elevate prospettive culturali). Cinque pezzi che prendono vita su vinile per esaltarne le qualità del suono, cinque pezzi di prepotente avanguardia che non lasciano spazio a riposi mentali (la mente vive uno strano vincolo di abbandono). Mr. Kiss tira di brutto dall’inizio alla fine senza sosta, un disco dalle diaboliche ispirazioni. Si parte con “Scaricatori di Porno” e le situazioni metalliche iniziano ad impadronirsi di un ascoltatore rapito e senza scampo, basso e batteria come spietati orologi del miglior Dalí a definire sonorità Post Rock. Le chitarre esplodono in tempesta, una devastazione incontrollata e poi di nuovo la quiete.

Tutto per ben oltre cinque minuti. “Il Ciccione Viaggiatore” inizia con una calma quasi impaziente, un suono caldo inizia ad avvolgere quello che potrebbe essere un viaggio interstellare, Gli Anni Luce mettono il tocchetto di genialità quando è necessario metterlo senza rendere mai il pezzo pesantone e stantio. Le chitarre chiamano luce, tutto il resto lancia ombra. Questo pezzo emette un suono incontrollato per oltre dieci minuti, ne rimane una condizione di torpore mentale. “Bello Anzi Bellissimo” non è un complimento esagerato al disco (che comunque lo merita) mai il terzo pezzo di Mr. Kiss, Ambient esasperato al massimo delle possibilità, non arriva mai l’esplosione delle chitarre a cui eravamo abituati nelle incisioni precedenti, si vive un innaturale imposizione di angoscia e il mio pensiero inevitabilmente vola verso gli Ulan Bator ma forse sono solo considerazione che lasciano il tempo che trovano. Tutto completamente diverso nella martellante “Le Reni di Babbo Natale”, ancora molto Post Rock, sempre singolari nelle scelte che in questo brano ci tengono col fiato tirato per appena due minuti. Mr. Kiss chiude le proprie porte con una nostalgica “2323”, una dolce ricerca dell’interiorità caratterizzata da sperimentali giochi sonori e poi come un fulmine a ciel sereno una chitarra spezza la pace, ma è solo questione di un secondo. Soltanto un secondo. Un alternarsi tra bianco e nero, si gioca con la luce, con i sentimenti, con la razionalità. Gli Anni Luce presentano un esordio discografico di grande impatto tecnico ed emotivo, la soluzione più congeniale alla musica alternativa italiana, poi con aria vergognosamente fighetta e rassegnata non andate a raccontare in giro che in Italia la musica e morta. Gli Anni Luce sono la risposta alla “falsa” crisi creativa in Italia, Mr. Kiss è senza nessun ripensamento un discone.

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Gli Anni Luce musicano il cortometraggio He Comes from the Kitchen

Written by Senza categoria

Gli Anni Luce musicano l’ultima opera del videomaker indipendente bolognese Lorenzo Massa, realizzato per la June Lab casa di produzione dello stesso videomaker.
Il cortometraggio intitolato “He Comes from the Kitchen” rielabora perfettamente l’immaginario della band bolognese. Per la realizzazione del corto è stato utilizzato il brano “LeRreni di Babbo Natale” dal loro recentissimo Mr. Kiss (DeAmbula Records, ottobre 2013) brano dalle sfumature Mathpostrock.

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