I trevigiani Dotzauer si inabissano nel loro album d’esordio Deep, un concept sull’affogare, tema affascinante e veramente adatto alle sonorità sommerse, lente e interiori che il trio riesce a ricreare in sei (lunghi) brani di un Post Metal all’apparenza cupo e riflessivo, ma che in realtà non risulta poi così difficile all’ascolto. Ecco, forse il pregio dei Dotzauer è proprio questa capacità di miscelare il suggerimento di una pesantezza (“Organic Silver”, o il corpo centrale di “Air Hunger”, con il suo incedere Sludge dai riff ruvidi e martellanti), con atmosfere iridescenti, più acide e frizzanti (“Water Buries the Skyline” o l’inizio della stessa “Air Hunger”, dove si toccano attimi di intenso Post-Rock), fino a raggiungere fondali Ambient quasi fossero pause fra un’immersione e l’altra (“Deepster”, quattro minuti di un soundscape pressoché perfetto).
L’unico particolare che non riesce a soddisfarmi fino in fondo riguarda il cantato, curato da Alberto Brunello degli Whales and Aurora: un growl monocorde e che dal secondo brano in poi inizia ad annoiare, per poi rilassarsi giusto all’inizio sia della quarta che della quinta traccia, dove riprende in naturalezza. Intendiamoci: tecnicamente il risultato è più che sufficiente, ma si ha come l’impressione che il comparto vocale sia per i Dotzauer un aspetto secondario, magari non a livello produttivo, ma, implicitamente, nell’economia generale del disco. Forse avrei preferito una maggiore varietà vocale, o forse, semplicemente, mi attanaglia la curiosità di poter un giorno ascoltare i Dotzauer misurarsi con una produzione 100% strumentale, sento che il risultato potrebbe essere parecchio interessante.
Al di là di queste piccolezze, Deep (altro esempio di oculatezza da parte di Red Sound Records, che continua a produrre dischi sensati e con un taglio molto netto e competente) resta un album che mantiene ciò che promette. Un album da riascoltare, da perdercisi. Da tuffarcisi dentro, anche: da cui farsi sommergere. Ci vediamo sul fondale.