Le sonorità elettro pop dei bresciani Mulai, duo composto dai fratelli Giovanni e Nicola Bruni Zani, hanno conquistato il podio del 27° Rock Contest, concorso nazionale di musica per artisti e gruppi emergenti.
I Mulai (la parola in indonesiano vuol dire “inizio”), si sono aggiudicati la vittoria sabato 5 dicembre nel corso della finalissima all’auditorium Flog di Firenze, convincendo il pubblico e la giuria di giornalisti e artisti presenti (tra cui Rachele Bastreghi dei Baustelle, Appino dei Zen Circus, Dente e Max Collini degli Offlaga Disco Pax).
Il premio consiste nella partecipazione al cd Rock Contest 2015, la distribuzione digitale tramite Audioglobe, il tutoraggio di un anno da parte dello staff del concorso e la possibilità di registrare il proprio cd presso SAM – Studi di registrazione.
I Mulai sono fautori di un’elettronica pop, fluida e sussurrata, vagamente psichedelica, influenzata da dubstep e downtempo, con linee vocali dirette e orecchiabili. Il primo ep Something for Someone è appena uscito ed è stato prodotto e mixato da Giovanni Bruni Zani e masterizzato da Mauro Abbatiello al 4cmp studio di Milano.
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I Mulai vincono il 27° Rock Contest
Max Gazzè 11/07/2015
Max Gazzè – Flowers Festival Collegno (TO) 11/07/2015
L’atmosfera al Parco della Certosa per questa serata di Flowers pare tranquilla, forse troppo dal momento che i presupposti sono quelli di festa grande. Di quelle sane e con la forza di chi si sballa solo con una birra di troppo e tanti amici. La serata è infatti organizzata in collaborazione con i ragazzi torinesi di Partycillina, che per l’occasione raccolgono fondi per l’associazione no profit Find The Cure. Purtroppo in queste occasioni farebbe piacere vedere un bel pienone, ma nonostante i nomi di spicco in cartellone (oltre a Gazzè ci sono Dente, Due Venti Contro, Dari) il pubblico riempie l’area del parco per poco più di metà.
Ma poco importa infondo se il paesaggio regala un festival organizzato al meglio: ricco di stand, cibo di ogni tipo (a prezzi più che ragionevoli per altro!), giochi per bambini, postazione per dj-set e un ampio spazio verde. Se poi a colorare il paesaggio ci pensa la musica del buon Max Gazzè, allora anche tutti i centimetri di asfalto si ricoprono di alberi in fiore. Il suo set sembra un house concert, Max sembra invecchiato (bene!) e più statico del solito, vestito con un jeans e una maglietta prese a caso dall’armadio. Poca scenografia ma tanta buona musica, sebbene manchi un poco la fluidità nella sua band che a sua detta ha provato pochissimo per questa prima data del tour. Lo si nota quasi subito in “I Tuoi Maledettissimi Impegni”, suonata lievemente sommessa, quasi con il rischio di sbagliare. Ciò nonostante la canzone non perde la sua rabbia soffusa, la sua ribellione soffice.
Le dita di Gazzè accarezzano il basso in “Vento d’Estate”, perfetta per questa stagione che, dopo diversi giorni, concede un po’ di freschezza alle porte di Torino. “A Cuore Scalzo” rimane il suo capolavoro, perfettamente confezionato da una band che anche se poco rodata segue bene le onde senza mai far naufragare la nave del cantautore romano. Poi un pubblico che canta a memoria “Il Timido Ubriaco”. Gente di ogni età e di ogni genere mentre si abbraccia, si bacia, accenna goffi passi di danza con la birra in mano, rende l’aria molto più quotidiana, un venerdì sera passato in famiglia. Ma una grossa famiglia che va dal metallaro con la maglietta del Sonisphere alla bimba sonnolente nel passeggino, con tanto di cuffie antirumore nelle orecchie. Poche cose ci intimoriscono stasera, a dirci “Quel Che fa Paura” ci pensa Gazzè con questo brano dal disco d’esordio di vent’anni fa, vera chicca di questo concerto. “Come sputi a gola secca, scagliati contro le onde del mare”, frasi forti e visionarie ma di una semplicità disarmante che entrano nelle nostre coscienze anche in una serata così rilassata.
A distendere un po’ gli animi ci pensa “Cara Valentina”, spensierata più che mai grazie ad un riuscitissimo intermezzo Reggae. Qui qualche goccio di birra cade a terra a seguito di passi di danza un po’ troppo azzardati. Altre due chicche arrivano subito dopo: la prima pescata dal 1998 ed è la contorta “Comunque Vada”, poi a sorpresa Max rispolvera un momento di grande musica condiviso con i compagnoni Fabi e Silvestri. Ecco “L’amore Non Esiste”. Non manca niente, Gazzè e musicisti reggono la baracca con umiltà e scioltezza, la gran dote di chi si guarda in faccia e sa come muovere in concomitanza tutte le onde sonore.
La seconda metà del concerto è puro greatest hits e qui mi accorgo di quanto il cantautore romano abbia dato alla musica italiana: “L’uomo Più Furbo Del Mondo” scatena tutto Flowers, “Il Solito Sesso” è poesia che vaga lenta nel parco ma tutti sono troppo timidi per raccoglierla tra le mani, “Mentre Dormi” è forse una delle più belle canzoni d’amore italiane e poi “La Favola di Adamo ed Eva” dove Max Gazzè ottiene la meritata ovazione dei presenti, che anche se non riempiono lo spazio, mostrano tutto il calore che hanno in corpo. Poi c’è “Sotto Casa”, un po’ di nazional popolare suonato bello tamarro come merita di essere.
C’è infine tempo per qualche bis, Max torna sul palco con la t-shirt di Find The Cure (andate a buttare un occhio al loro sito se non li conoscete) e regala una jazzaggiante “Perso” seguita da “L’amore Pensato” e dalla frivolezza di “Annina”, intramontabile proprio come il finale di “Una Musica Può Fare”. Finalmente suonata decisa, con un bel po’ di enfasi, mancava davvero solo questo. In ogni caso Max Gazzè dirige le onde della sua musica come un burattinaio e questo spettacolo incanta. Non per gli effetti speciali, molto di più per la semplicità con cui lui realizza i suoi giochi di prestigio. L’ho capito davvero solo alla fine, ma la festa non erano Max Gazzè e la sua band ma l’aria magica e paradossalmente casalinga che ci hanno fatto respirare.
Vincenzo Fasano – Fantastico
“Questo album parla del cuore, dello stomaco che mi si stringe, del perdono e delle promesse, delle persone che diventeremo, della generazione che ride, del pianeta terra e della gioia dei colori. Questo album parla della felicità, si, della felicità. Ho la felicità e non ho paura ad usarla. Fantastico”. Vincenzo Fasano, cantautore mantovano di origini siciliane, parla così del suo secondo album, Fantastico, in uscita il 5 maggio per Eclectic Circus. Quattro anni fa il disco d’esordio, Sangue, che gli ha permesso di affacciarsi nella scena indipendente italiana e di aprire le date di Tre Allegri Ragazzi Morti, Riccardo Sinigallia, Nada, Le Luci della Centrale Elettrica, Dente, Brunori Sas e una lunga lista di importanti realtà. Una garanzia sul valore artistico di Fasano che proprio sulla scia cantautoriale degli ultimi dieci anni si può collocare. Chitarra, voce e non solo. Un’analisi attenta e tagliente della realtà che lo circonda, con un po’ di “acido” che arriva dal suo bagaglio musicale e dalle sue passioni, il Folk come il Punk di fine Settanta. Voce graffiante per raccontare il suo mondo interiore e quello che c’è fuori, speranze e delusioni di un giovane uomo che – scriver nella sua biografia – si è laureato controvoglia in giurisprudenza, avendo, allo stesso tempo, l’occasione per vivere da vicino il sottobosco musicale e artistico di una città vivace come Bologna. Sì, di cantautori come Vincenzo Fasano ce ne sono diversi in giro, la “scuola italiana”, in questo senso, può contare su una nutrita schiera di suoi rappresentanti, con molti Fasano ha diviso il palco, qualcuno ha messo anche lo zampino nei suoi lavori (Sinigallia, Gionata Mirai, Dino Fumaretto). C’era bisogno di un altro alfiere? Difficile dirlo così, di sicuro c’è bisogno di cose fatte bene. E questo album è fatto bene,
“Ti Vendi Bene”, nuovo videoclip de Le Luci della Centrale Elettrica
Così Vasco Brondi descrive il video: “Per questo video c’era l’idea di raccogliere un anno di concerti, migliaia di chilometri e di incontri in quattro minuti di immagini. Rendere l’idea di questi concerti che sono stati dei riti liberatori.” Nel video compaiono anche gli ospiti che hanno condiviso il palco con Vasco nel corso di questo anno di concerti: Federico Dragogna, Rachele Bastreghi, Giorgio Canali, Dente, Levante, Niccolò Carnesi e Maria Antonietta oltre ai musicisti che hanno suonato nelle tre tranche del tour, ovvero Ettore Bianconi, Sebastiano De Gennaro, Andrea Faccioli, Daniela Savoldi, Matteo Bennici e Paolo Mongardi.
Ciao Ciao Bell’Amore Mio, il debutto da solista di Nico per Picicca Dischi
Nicola Faimali non è solo il bassista della band che accompagna da diversi anni Dente, ma un raffinato musicista che si cimenta oggi con il suo debutto solista come cantautore. Ciao Ciao Bell’Amore Mio è un disco di canzoni d’amore, come quelli che si facevano una volta, nel solco della tradizione della musica italiana senza tempo. Se ne capovolge però il punto di vista e quello che si racconta non è l’eternità ma l’assoluta fragilità delle relazioni. Non l’amore eterno ma quello precario, che non fa sconti, che a volte preferisce gli addii perchè a pronunciarli si fa meno fatica del provare a stare insieme. Fare e disfare: l’entusiasmo per l’inizio di una convivenza in cui tutto è possibile e il disastro annunciato della fine, malintesi e vuoti sentimentali. Dieci brani arrangiati lentamente con un portatile sul furgone durante i lunghi spostamenti e negli hotel durante le pause dei tour con Dente. Quelle di Nico, sono canzoni lasciate a decantare per lungo tempo, freschissime però all’ascolto e gonfie di ispirazioni. La velata tristezza di Tenco e l’intenzione musicale di Fred Bongusto che prolungava l’estate di almeno un paio di mesi, la leggerezza dei Beach Boys di Pet Sound e Wild Honey ma anche Dalla, Venditti e Dorelli nell’età dell’oro: ovvero i decenni ‘70 e ‘80. Faimali arrangia e suona tutti gli strumenti a disposizione: pianoforte, batteria, chitarre, ukulele e percussioni, misurando tutto il suo potenziale artistico e dando vita a un disco confidenziale moderno. Autobiografico, malinconico, autentico.
Il Re Tarantola – Il Nostro Tabacco Sa d’Amore
Ho ascoltato un paio di volte questo nuovo lavoro de Il Re Tarantola senza Emma Filtrino, con la quale aveva realizzato le prime cose, e subito mi sono immaginato un personaggio simpatico e un po’ svampito, una specie di amicone che a trent’anni non sa che diavolo fare nella vita oltre ad essere felice e fregarsene. Poi ho udito ancora e mi sono cascate le braccia, ritrovandomi di nuovo tra le orecchie uno di quei grossolani gruppi indie italiani madrelingua; di quelli che non si capisce bene cosa dicano e sputano frasi a effetto di quelle che piacciono a un pubblico sempre meno attento alla sostanza e sempre più all’apparenza. Poi ho origliato ancora, ho capito che Il Nostro Tabacco Sa d’Amore (che richiama il precedente del 2011 Il Nostro Amore Sa di Tabacco) stava diventando una specie di droga per me e ho deciso che dovevo capire meglio questo stranissimo cantautore bresciano.
Il suo mix di Lo-Fi e Punk/Grunge attitude mette insieme con naturalezza i Nirvana e Daniel Johnston ma il cocktail che ne viene fuori è talmente sconclusionato e strampalato da avere un sapore del tutto nuovo. Come dice lo stesso Re in un brano, copia tanto male che sembra originale e le parole rendono perfettamente l’idea, alimentando anche il dubbio lecito se tutto sia ricercato con intelligenza o frutto di eccessi di spontaneità. Il Re Tarantola non suona semplicemente Lo-Fi ma ha la bassa fedeltà che scorre come un virus nelle vene; si registra i dischi in casa (anche se registrazione e mixing di questo sono stati fatti dallo stesso Manuel Bonzi al Castello di Gera studio di Breno), dischi che scrive per conto suo e fa lo stesso per video e quant’altro. Inseguendo una nuova tradizione indie italiota, alla bassa fedeltà aggiunge uno stile vocale che chiamare canto è un eufemismo, aggiunge qualche parola che richiami l’attualità mediatica, si atteggia a fiero perdente, gioca con le parole, con ironia e divertimento eppure suona più sincero di ogni Officina della Camomilla o Dente che possiate aver ascoltato negli ultimi tempi.
Il Re Tarantola è divertente senza doversi necessariamente atteggiare a profondo conoscitore della vita e senza doversi mostrare come un nuovo poeta maledetto per poveri senza cultura. È sincero e inadeguato, realmente imperfetto tanto che in certi momenti pare quasi di ascoltare dei perfetti incompetenti, gente che con la musica c’entra poco, anche se le melodie e le canzoni e i ritornelli e tutto quanto sono di un’amenità unica. Cosa c’è di eccezionale nella musica de Il Re Tarantola non è facile da dirsi. Di sicuro non bastano i testi evocativi, malinconici, spesso sbagliati anche nella forma (eppisodi al posto di episodi non si può sentire) e non è troppo originale la formula Folk/Lo-Fi che unisce chitarrine, tastiere e rullanti eppure ha un che di difficilmente riscontrabile in ogni altra nuova proposta. Un suono talmente genuino che riesce a trasformarsi in pura piacevolezza, la stessa avvenenza che riesci a vedere quando senti un bimbo incespicare nelle sue prime parole. Nirvana abbiamo detto e tanto Daniel Johnston e poi Folk e chitarre taglienti e fastidiose come in un certo Psych Garage Rock anni Sessanta tutto in uno stile semplice e assolutamente inoffensivo, totalmente depurato da ogni possibile violenza o aggressività sonica. Ascoltatelo per bene, è molto più di uno scarso cantante o pessimo musicista che non sa scrivere testi impegnati, immaginifici e cool. Molto più che un tizio che canta e suona male sparando cazzate che mettono allegria. Potrebbe anche essere una nuova via per l’Indie italiano, una strada da scoprire facendo retromarcia e prendendo coscienza dei propri limiti, con naturalezza, scoprendosi meno di quello che noi stessi vogliamo credere.
Dente – L’Almanacco del Giorno Prima
Me la ricordo bene la mia prima volta con Dente. È stata durante una sessione d’esami estiva, di quelle che ti tolgono il sonno e l’appetito, e ti riducono a un’insignificante particella subatomica immersa nell’immane grandezza dell’universo. È stato un ascolto casuale, di quelli che arrivano e ti trafiggono alle spalle, mentre ignaro ti aggiri nei labirinti della tua esistenza, convinto di essere immune a certe manifestazioni emotive. Parole che ho cancellato dal vocabolario ce ne sono una dozzina o anche di più. Ho cominciato da quelle che, si sa, son delle bugie. Come per sempre che, fondamentalmente, è uguale a mai. Un modo scanzonato di affrontare la vita, accompagnando l’ironia delle parole con il suono della chitarra, a volte del piano; non mi serviva altro per sorridere quel giorno. Ed è così che ho conosciuto L’Amore Non È Bello. Un’affermazione che nell’immaginario collettivo presuppone l’esistenza di un seguito: l’amore non è bello se…, ma che in questo caso non esiste. L’amore non è bello. Punto e basta. Chi ha bisogno di un se vada a cercarselo altrove. E da lì in poi sono andata a ritroso, verso l’ascolto di Non c’è Due Senza te ed Anice in Bocca, dal sound più primitivo, essenziale, ma sufficiente ad accompagnare parole di una schiettezza ancora una volta disarmante. Io Tra di Noi rappresenta invece una svolta musicalmente parlando; gli arrangiamenti si fanno più completi grazie all’introduzione di archi e fiati, si osa con qualche suono elettronico.
Dopo quasi tre anni da Io Tra di Noi arriva L’Almanacco del Giorno Prima. Il titolo si riferisce palesemente alla trasmissione televisiva l’Almanacco del Giorno Dopo, con la variante della parola prima a continuare la tradizione del gioco di parole nel titolo dell’album. Anche il disco, come il titolo, si conferma in pieno stile dentesco: brani caratterizzati da una forte malinconia, la predilezione per tematiche riguardanti amori quasi esclusivamente infelici (teoria confermata dallo stesso Dente), il tutto contornato da arrangiamenti molto ben curati, merito anche della collaborazione di Enrico Gabrielli (Calibro 35) e Rodrigo D’Erasmo (Afterhours). Sembrerebbe che ci sia proprio tutto in questo disco, ed invece la grande assente è proprio l’emozione, e scusate se è poco. Brani come “Chiuso dall’Interno”, “Invece Tu” e “Miracoli”, sono piacevoli all’ascolto, ma vanno via veloci, senza lasciare molte tracce dopo il loro passaggio, senza farsi troppo notare. Qualcosa comincia a muoversi con “Fatti Viva”, dal ritmo quasi ossessivo di sottofondo, che introduce il suono del clavicembalo capace di portare chi ascolta in epoche remote. Sulla stessa scia si sviluppa anche “Fiore Sulla Luna”, ma perde di intensità rispetto alla precedente. Altra presenza non così scontata è il suono delle chitarre elettriche; non aspettatevi assoli da capogiro, ma piuttosto piccole comparse in canzoni come “Al Manakh”. Per “Meglio Degli Dei”, “I Miei Pensieri e Viceversa” e “Remedios Maria” a chiusura del disco vale lo stesso discorso dei brani di partenza: si fanno ascoltare piacevolmente, ma vanno via veloci. Il tempo rimane tempo che scorre e basta, e non si dilata come a volte succede quando si ascolta musica.
L’Almanacco del Giorno Prima è senz’altro un buon disco, ben costruito, molto ben arrangiato, molto radiofonico se vogliamo, migliore di molta altra musica che si sente abitualmente in radio, ma a mio avviso non aggiunge niente rispetto alle produzioni passate di Dente, anzi, si priva di quella autenticità che contraddistingueva i testi e di quella straziante ironia che si riduce ad una ricerca forzata di giochi di parole che però non mi fanno più sorridere. Lascio ad animi più nobili del mio il compito di emozionarsi di fronte a parole come chi non muore si ripete, chi non vuole non si vede più. Io ci vedo solo la citazione di un proverbio e nulla di più. Aspetterò i live per poter sorridere ancora, sperando che Dente non abbia deciso di ammazzare la sua ironia anche sul palco.
Revo Fever – Più Forte
Se dovessi riassumere in tre righe i Revo Fever li definirei la risposta italiana ai Franz Ferdinand con degli inserti alla Ministri e un cantato simile agli Oasis (la voce ha lo stesso timbro di Liam Gallagher!). Rimango quindi quasi incredulo quando leggo che i quattro ragazzi hanno poco più di vent’anni e un curriculum di tutto rispetto composto da due Ep registrati da Federico Dragogna (chitarra e seconda voce dei Ministri), trattasi di Fegato! del 2011 e Il Mendicante/Tutto da Rifare del 2012. Inoltre una grande esperienza live in giro per Milano e provincia li ha portati a condividere il palco con Ministri, Dente, Management del Dolore Post-Operatorio, Tonino Carotone, Lombroso e tanti alti nomi illustri della scena indipendente. Il loro primo disco autoprodotto si chiama Più Forte. Tra le loro influenze citano le aperture (solo quelle?) dei Queens of the Stone Age (provate a fare un paragone tra “No One Knows” e “Tutti i Santi Giorni”…), i riffs dei Black Keys (duo americano ormai affermato a livello mondiale che gode di ottima stima persino in Inghilterra) e l’attitudine Punk acustica dei Violent Femmes (che però di Punk avevano secondo me ben poco).
Pochi quindi i riferimenti italici, ma soprattutto sono pochi gli elementi innovativi presenti nel disco, un altalenarsi di roba buona e roba mediocre (era proprio necessaria una canzone come “Non Chiedermi Come Sto” all’interno della tracklist?). Meno male che appena dopo averla sentita i Revo Fever riprendono la strada giusta con un one two three four tanto caro ai Ramones e riescono quindi ad arrivare fino alla fine senza particolari problemi. Ok per l’attitudine do it yourself marchio del Punk anni settanta che da sempre caratterizza le scelte della band, la quale ha scritto, registrato, mixato e masterizzato la musica nonché ideato, stampato, piegato, timbrato e cucito l’artwork. Ma una mano da un produttore di grido non avrebbe certamente giovato? Come esordio certamente non c’è male, ma sono sicuro che il livello di qualità crescerà notevolmente in un’eventuale seconda fatica discografica, soprattutto se qualche major dovesse accorgersi dei Revo Fever. Noi la sufficienza gliela diamo (in fondo se la meritano pienamente) ma siamo sicuri che il loro sound si presta più a una dimensione live che a quella in studio.
Non fermatevi quindi alle apparenze del primo ascolto di Più Forte e magari se potete andate a sentirli dal vivo dove sicuramente daranno il meglio di loro!