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I.A.N.T. – Limite
Limite mi ha catturato sin dalla prima nota. Sarà perché sono un inguaribile nostalgico e con questo album gli I.A.N.T. (Incapaci Ai Nostri Tempi) mi hanno fatto tornare indietro di oltre dieci anni, quando in Italia imperversava una scena Punk Rock di tutto rispetto portata avanti da Marsh Mallows, Shandon, Moravagine e chi più ne ha più ne metta. Così già “Il Trionfo”, una canzone che ricorda molto Ska-P e Harddiskaunt, mi fa drizzare le antenne, un’attenzione acciuffata anche da un testo avverso agli schiavi delle mode social e al declino delle generazioni future. “Luogo Comune” abbandona lo Ska e mette in pratica un Punk potente, con un ritornello Hardcore degno dei NOFX più molesti. Ancora una volta le liriche fanno un’ulteriore differenza spaziando dalla lotta al sistema al problema dilagante della disoccupazione. Il singolo “33-15” modera il sound mostrando sfaccettature più Alternative Rock. L’influenza dei Derozer è tangibile in “Non Sparerò”, un brano che pare il fratello gemello de “Il Viaggio Più Lungo”, anche se c’è una differenza d’età di tredici anni. La title track, che vede come ospite Tomaso De Mattia dei Talco, è una traccia Ska conturbante in principio che sgretola ogni convinzione sonora sfociando in un ritornello veloce e ultra melodico. Le ultime cartucce sparate sono la cover della hit del 1999 “Il Mio Nome E’ Mai Più”, nata dalla collaborazione tra Ligabue, Piero Pelù e Jovanotti e “La Colpa E’ Tua”, una canzone tiratissima che cementifica il loro appartenere al credo del Punk del secondo millennio. Se Limite fosse uscito dieci anni fa avrebbe catapultato gli I.AN.T. sul carro dei vincitori. Oggi li fa apparire più come delle mosche bianche. Ma il merito di farci fare un tuffo nel passato è così grande che non può che essere premiato.
Io e i Gomma Gommas – Carrones
La storica band marchigiana, ispirata per nome e concezione ai Me First and the Gimme Gimmes, si rifà viva con questo nuovo lavoro descrivibile come un doppio omaggio a due icone che nulla hanno da spartire tra loro, ma che con la giusta dose di fun possono incontrarsi e camminare con spensieratezza a braccetto. Ecco come nasce Carrones – Loca Live. Stiamo parlando, ovviamente, dei Ramones (fortissimo il riferimento già dalla cover dell’album) e di Raffaella Carrà. Infatti le sette tracce sono tutte delle rivisitazioni dei successi della Raffaellona nazionale. Si parte con “Ma che Sera” e si termina con un’improbabilissima versione Punk di “Tuca Tuca”. Impossibile far emergere una canzone sopra le altre: sono tutte dei grovigli di ritmi Rock’n’Roll e melodie Surf. Carrones è questo: snaturare positivamente brani classici con lo stile di Derozer e Lagwagon, avere una durata limitata e una dose di divertimento prolungata. Non è consigliabile ai bigotti della musica italiana, per evitare effetti collaterali. One, two, three, four…
Peter Punk
I Peter Punk sono tornati da poco con un nuovo disco dopo una pausa di quasi dieci anni. Il Seme Della Follia è un disco di puro Punk (se volete saperne qualcosa di più trovate la recensione qui su Rockambula, talmente puro da sembrare quasi anacronistico, piacevolmente immaturo. Abbiamo dunque fatto due chiacchiere con la band per capire meglio come si legano insieme queste tre realtà: Punk-Italia-2015.
Ciao a tutti e benvenuti su Rockambula! Dopo un lungo stop, che effetto fa tornare a fare dischi, a rilasciare interviste, a macinare kilometri e fare del gran macello (ne fate ancora tanto e l’ho visto coi miei occhi)? Cosa avete fatto in questi anni? Quando vi siete mancati a vicenda e cosa vi ha spinto a riprendere?
Ciao!!!!E’ una sensazione bellissima!! Noi adoriamo suonare, quindi comporre, creare e soprattutto fare concerti! Ci fa molto piacere che hai notato che ad ogni concerto sputiamo ancora sangue e non ci risparmiamo. Per noi sarebbe impossibile star fermi e non dare il 100%. E dovresti vedere il dopo concerto, un delirio senza fine ahahahh. Abbiamo ricominciato a suonare con i Peter per non buttare nel cesso anni che sono stati tra i migliori della nostra vita, poi tieni presente che tre di noi han suonato , dopo i Peter , per anni nelle Cattive Abitudini. Alla fine abbiamo aggiunto “soltanto” il tassello mancante alla nostra follia.
So benissimo che la scena musicale odierna in Italia non è quella dei gloriosi anni 90. Quali sono i pregi e i difetti di allora e di oggi. Com’è cambiato il modo di fare live secondo voi? Quanto e come i social network influiscono sull’attività di una band come la vostra?
I pregi sono che il pubblico era maggiore e la gente più coesa in una scena. C’era più interesse e la gente sembrava divertirsi di più che oggi. C’era più iniziativa e più amore per la musica. L’unico difetto è che era tanto facile sparare sui gruppi che avevano più successo etichettandoli come dei venduti. Il nostro modo di fare live non è cambiato, come dicevamo prima diamo sempre tutto. In generale, anche ai concerti di gruppi più grossi, si tende ad osservare più che a partecipare. Noi crediamo ai social fino ad un certo punto. Servono per pubblicizzare i concerti soprattutto, però lo stare sul campo è il modo migliore per promuovere il gruppo.
Quali sono secondo voi i gruppi storici del Punk italiano che hanno scritto la nostra storia e quali quelli caduti nel dimenticatoio che avrebbero meritano maggior successo? Esiste ancora una “scena”?
La “scena” esiste sempre, è meno numerosa ma c’è sempre. Ci son davvero tanti gruppi storici che potremo citare, ma limitandoci al nostro tipo di punk è facile dire Punkreas, Derozer, Pornoriviste. Sono i gruppi emblema dei nostri anni. Tra i gruppi che meritavano un successo maggiore potremmo citare i primi Melt, i Paolino e i Senza Sicura. Grandissime band!
I ragazzi di oggi si affacciano alla musica con approcci a noi difficili da comprendere (anche io ho qualche annetto alla spalle) e un genere che indubbiamente genera entusiasmi è il Rap. Come vedere la sua esplosione nel nostro paese? E’ solo una moda o c’è qualcosa di più?
Purtroppo non siamo affatto informati sulla scena rap. Noi non seguiamo la televisione o altro. Forse nella grandi città questo fenomeno è più tangibile, ma qui di certo no. Non siamo dei vecchi dinosauri, ma riconosciamo di non seguire i trend del momento. Noi ascoltiamo sempre e solo punk rock, hard core e metal.
Arriviamo al disco Il Seme Della Follia. E’ sicuramente un disco con pochi cazzi e tanta botta, che contiene comunque pezzi diretti e molto orecchiabili. A mio avviso però non è cambiato molto nel vostro modo di fare musica. Non avete sentito il bisogno di far evolvere il vostro suono e i vostri testi?
Secondo noi invece sia musica che testi si sono evoluti. Non è un disco uguale ai precedenti anche se ovviamente segue il genere. Se per evolvere dobbiamo snaturarci allora mi sa che è dura che lo faremo mai. Il Seme della Follia suona esattamente come devono essere i Peter nel 2015.
In “Ombra Longa Day” parlate di una fiera di paese delle vostre parti, con tanto di dialettismi, quanto sono importanti le vostre origini geografiche nella vostra musica?
Più che una fiera era un proprio evento. Sempre collegandoci al titolo del nostro disco, potremmo definirla follia totale. Forse Oliviero Toscani ha pensato proprio a questa festa quando ha definito tutti i veneti degli ubriaconi ahhaha. Diciamo che il vino ci piace. Noi amiamo la nostra terra, ma come qualsiasi altra persona pensiamo. Come i ragazzi sardi ad esempio. Sono molto legati alla loro Sardegna e fanno bene. Siamo tutti italiani, ma il luogo dove si nasce e si cresce rimane sempre nel cuore. Ogni tanto mettiamo qualche parola tanto per cambiare e per rimarcare che siamo gente cresciuta campagna che rimarrà sempre semplice e schietta.
Ho notato che utilizzare la figura di Diprè nel video di “Trasher” è stata una scelta molto criticata. Come la giustificate e come è avvenuto il contatto con questo ormai popolarissimo personaggio del web?
L’idea di Diprè è nata da Stefano. Siamo tutti affascinati dai suoi personaggi e ci fanno parecchio ridere. Però non comprendiamo come gli stessi riescano a diventare cosi famosi da riempire i locali dove vanno e le band che si fanno il culo invece non riescono ad avvicinarsi al loro livello di popolarità. E’ questo il messaggio che vogliamo trasmettere con il nostro video. Sempre con la nostra solita ironia. Purtroppo molte persone non l’hanno capito, ma alla fine non possiamo farci niente a tal proposito. Lui comunque è stato subito disponibile e gentilissimo. Sa quel che vuole e ha una sua logica.
Cosa prevede il futuro di Peter Punk?
Prevediamo che faremo sempre quello che ci piace di più. Cioè suonare cercando di trasmettere qualcosa a chi ci ascolta. Quando non avremo più nulla da dire allora smetteremo
Grazie mille a tutti! Fate un bel saluto agli amici di Rockambula e in bocca al lupo!
Un saluto a tutti gli amici di Rockambula!!!!Ricordatevi di spargere sempre il seme della follia!!!
Latte+ – No More Than Three Chords
Ho trentaquattro anni, non studio, non lavoro e non guardo la tv e quando, da giovane, blateravo di no future mi ero fatto un’idea più idealista di quest’anarchia che a oggi pare solo essere un costante stato di caos interiore. Gli unici momenti in cui riesco a ristabilire l’ordine è quando mi passano tra le mani ricordi degli anni più belli della nostra vita, quelli in cui tutto era Punk e a tutto si pensava tranne che al giorno in cui avrei scritto ho trentaquattro anni e blah blah blah. Qualche settimana fa, a distanza di oltre quindici anni, sono riuscito ancora a pogare e ballare e fare un bagno di birra e risate con i mitici Chromosomes e ora, eccomi a far girare nello stereo l’ultima fatica dei Latte+, tra i meno vicini al mondo Flower Punk dei suddetti, anche perché arrivati con qualche anno di ritardo (1997), ma di certo capaci di incarnarne perfettamente lo spirito ribelle e un po’ romanticamente cazzone. Con questo nuovo lavoro, i Latte+ tornano alle loro origini, mettendo da parte la lingua madre e tornando all’inglese, scelta che certo sarà stata decisiva per arrivare alla coproduzione statunitense della Infested Records. Oltre a questo, cosa dovremmo aspettarci da una band nata negli anni 90, che fa Punk senza spostarsi di una virgola dai suoi cliché, con cinque album all’attivo, compilation, split, live con Punkreas, Derozer, Senzabenza? Niente più che il tirare una linea, fissare un momento preciso in cui urlare al mondo: “questo siamo noi, questi sono i Latte+!”. Non aspettatevi altro che un manifesto postumo di una generazione incapace di crescere, se crescere significa diventare schiavi di una società che ci vuole quanto più conformi agli standard scelti dai potenti. No More Than Three Chords è un disco che prende a prestito, com’era lecito aspettarsi, i sound dei mostri sacri Queers e Green Day ma che ha nei Ramones il suo massimo punto di riferimento; in tal senso, non pare certo un caso, l’omaggio del brano “Johnny Ramone” (oltre al titolo, anche i coretti iniziali stile “Blitzgrieg Bop”), che in realtà molto ricorda anche lo stile di un’altra immortale formazione italica che dei fast four ha fatto un credo, gli Impossibili con la loro “Rock’n Roll Robot”.
La rilettura della lezione del professor Joey Ramone avviene tuttavia in maniera del tutto diversa, puntando su una maggiore dinamicità rispetto ai colleghi compatrioti, grazie anche all’uso della lingua inglese, e quasi sottolineando l’aspetto più duro e crudo della band di New York. Se Joey rappresentava il lato sensibile della band, Johnny ne rappresentava quello più grezzo e battagliero e soprattutto a questo sembrano ispirarsi Chicco (basso e voci), Sunday (chitarra e voci) e Puccio (batteria) tanto che brani come “Rise Up” o “I Wanna Be Like Steve Mc Queen” somigliano più ai durissimi pezzi stile “The Crusher” che non alle sdolcinate “Do You Wanna Dance” e simili. La sottile linea che divide l’ispirazione e l’omaggio dal plagio, si assottiglia ulteriormente in “Anyway I Wanna Be with You” quando per poco non ci si trova con la testa sprofondata in una cover di “Palisades Park”. L’unico fattore che riesce a differenziare il sound pelle, jeans e converse è la voce, la quale regala al tutto un sapore californiano che almeno in talune circostanze (“It’s Been a Long Time”), si avvicina alle linee più melodiche di certi Guttermouth. Ho trentaquattro anni. Alla mia età dovrei essere sposato, con due figli, laureato (questo sì, anche se non mi serve a un cazzo), avere un conto in banca (sì, ma ormai a zero), un mutuo da pagare per un monolocale e invece mi ritrovo ad ascoltare Punk e va bene così perché come dice sempre un vecchio amico, l’unica cosa che conta oggi è divertirmi ed essere felice e No More Than Three Chords è il disco perfetto per farlo. Domani penserò al resto.
La Band della Settimana: Le Teste
Le Teste, band Ska Core di Saronno, sono:
Claudio “Cla” Cosi – Voce e Chitarra
Carlo “Lotto” Medici – Basso
Valerio “Vale” Mangiafico – Sax
Michele “Drugo” Mastrofilippo – Trombetta
Domenico “Dome” Santoro – Tastiera
Marco “Marco” Laurenti – Batteria
Kruz – Suoni
Le Teste nascono come Teste di Cocco nel settembre del 2001 dalla passione per la musica di alcuni compagni di scuola. Passione che, con il passare degli anni, è rimasta intatta e ha permesso al gruppo di affinare le proprie doti tecniche e compositive e di calcare più di 250 palchi in sette anni di attività con guru del panorama Rock alternativo italiano come Persiana Jones, Derozer, Vallanzaska, Peter Punk, Almukawama, Figli di Madre Ignota e molti altri. Nel 2004 esce il primo disco della band dal titolo Stasera Non Entrate distribuito in tutta Italia da Vacation House e dopo una pausa di circa due anni, Le Teste tornano in auge con un restyling della formazione e del nome (che diventa appunto Le Teste) e dopo una serie di live si chiudono in studio per dare alla luce il nuovo album dal nome 2012. Con quest’ultimo progetto si nota ancora di più la voglia del gruppo di diffondere divertimento, freschezza e allegria allo stato puro senza mai trascurare una certa dose di rabbia e di grinta che caratterizzano sempre i pezzi delle Teste che, oltre a far ballare, si pongono come obbiettivo anche quello di far riflettere.
Jerry Moovers – A Cresta Alta
Questa non me l’aspettavo. Forse non ci pensavo neanche più. Come se tutto quello che ho vissuto (oserei dire quasi “subito”) nei concerti di fine anno del liceo fosse scomparso insieme ai miei brufoli, ai pantaloni larghi coi tasconi e allo zaino scarabocchiato dell’Invicta. E’ un dato di fatto: uno dei “desaparecido” della musica underground anni 10 pare proprio essere il verace e diretto Punk. Certo, vive ancora di rendita grazie ai grandiosi fasti di fine anni 90. Vive nelle sue forme più spinte e più smussate, vive nelle puzzolenti cantine Hardcore e nelle altalenanti classifiche, in cui a volte fa stile scomodarlo. Sopravvive come un virus difficile da estirpare, ancorato nelle venature della musica americana e britannica, ma la sua forma più grezza, più pura, pare essere un vecchio ricordo sbiadito.
Non tutti però la pensano così, o forse sarebbe meglio dire che se ne fottono. E i Jerry Moovers da Bergamo, già a vederli in faccia, pare proprio che se ne fottano alla grande. Seppure giovanissimi vantano numerosi concerti (a dire il vero però quasi tutti nei paraggi di casa) e un secondo disco in uscita, dal titolo inequivocabile: “A Cresta Alta”. Sulla musica poco da dire, se non che il disco è suonato strabene, prodotto con la giusta dose di marciume che non snatura l’essenza del genere. Rullate velocissime, basso plettrato ipermedioso e assoli di chitarra scrausi sono le scelte sicure ma anche le carte vincenti. Il riffone alla Sum 41 nell’intro “Punto di Domanda” ci indica subito la direzione da seguire. Se cercate ciuffi fashion, facce da pomeriggio su MTV o singoli per le vostre comode playlist, questo non è il disco per voi. Questo disco è sigarette fumate di nascosto, pomiciate a caso e pogo davanti a piccoli palchi sudici. Questo disco è più Rock’n Roll di quanto possa sembrarvi. Sparato ai mille all’ora già dal secondo pezzo, “Solo” dimostra che i ragazzi non sono poi così immaturi e sfoggiano pezzi mai banali, nonostante la musica e il cantato di Jako non lascino grande spazio alla fantasia e il rimando ai “classici” (Pornoriviste, Derozer e Punkreas) sia dietro l’angolo.
“Tra Sogni e Realtà” dona linfa e brucia di speranze, che sentite in bocche così giovani strappa un sorriso e fa stringere più forte i pugni, “Il Rumore del Silenzio” e “Ricorda” si spingono verso ritmiche più Hardcore dove il rullante di Seba sembra tagliare le casse a pezzettini. “Veronica” è invece il pezzo che ti aspetti, melodico, spudoratamente adolescenziale e tutto di un fiato. Un piacevole cliché. Inutile ingannarci, questo non sarà mai il disco dell’anno e i Jerry Moovers non saranno mai la band rivelazione dell’underground italiano. Potrei facilmente cavarmela dicendo che sono nati tardi, con un genere che spesso è stato considerato (da me per primo) facilotto e usa e getta. Ma scordiamoci di tutto: dei riff già sentiti, delle facili polemiche contro l’America e delle “creste alte”. Apriamo gli occhi. Qui dentro c’è la foga di fare musica per bisogno esistenziale. C’è tutta la passione che vorrei incontrare ogni volta che ascolto un disco di una giovane band. E datemi del romantico, ma sono ancora convinto che senza questa passione non si combini un bel cazzo.