Quanta attesa per questo Songs from the Earth, nuova fatica dei nostrani Furor Gallico. Cinque anni sono abbastanza e può succedere di tutto; non a caso all’ intrepida band qualcosa è accaduto: Maurizio “Merogaisus” Cardullo è passato ai Folkstone. “Merogaisus” aveva un ruolo fondamentale nel gruppo perchè era il polistrumentalista ed il produttore; inoltre, dalla band sono andati via anche il bassista Mac Brambilla ed il batterista Simone Sgarella. In sostituzione a questi musicisti sono accorsi Paolo Cattaneo, Fabio Gatto e Federico Paulovich, quest’ ultimo dai Destrage. Cinque anni sono lunghi, il vantaggio sta nel poter meditare e riflettere. Pensare e ripensare a come può suonare un disco, cosa aggiungerci e cosa omettere. Questo arco di tempo per i Furor Gallico è stato fruttuoso. Registrato nei Metropolis Studio di Milano mentre il missaggio e la masterizzione sono a cura di Alex Azzali. Songs From The Earth è senza ombra di dubbio un lavoro di buona fattura ma con alti e bassi che in un linguaggio più vintage potremmo definire con un buon lato A e un lato B più scadente. Ci troviamo ad ascoltare un disco che parte alla grande per chiudersi in una maniera un pò strampalata, forse per la voglia eccessiva di sperimentazione. In un primo momento la differenza la fa la vena Folk targata Furor Gallico ma ad un certo punto del disco cominciamo a notare una virata verso il Crossover se non, a tratti, al Nu Metal e il diminuirsi dello stampo Medieval. Insomma, parliamo di un album in cui vediamo un gruppo che veramente cerca di superarsi. In un primo momento troviamo tutte quelle atmosfere che ricordano un pò le feste medievali e pagane; pian piano però questo andazzo si scosta un po. Personalmente l’ho trovato un tentativo vano ma comunque lodevole che mostra finalmente cosa vuol dire avere coraggio. I Furor Gallico sono una realtà nostrana che insieme ai Folkstone, gli Elvenking, i Vallorch e i Kalevala hms innalzano la bandiera tricolore. Quando parliamo di loro, facciamo riferimento ad un gruppo intraprendente che nel bene o nel male cerca di conquistarsi i propri spazi con coerenza e onestà.
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Protest The Hero + Monuments + Destrage 24/06/2014
Nel pieno del periodo in cui in Italia giungevano i grandi nomi del Rock come Rolling Stones, Black Sabbath e Pearl Jam, controcorrente, io andai in brodo di giuggiole quando lessi dell’unica data italiana dei Protest the Hero. Fui ancora più felice quando venni a sapere che ad aprire il concerto sarebbero stati i Destrage. Biglietto alla mano mi precipitai in quel di Pinarella Di Cervia, entusiasta come un pupo davanti al suo primo giocattolo. Intorno alle 20:00 iniziò uno show che prevedeva ben cinque gruppi. I primi a salire sul palco furono gli umbri Desource, per un live fatto di Metalcore stile A Day to Remember, stage diving e camminate sopra le teste della folla. Una piacevole scoperta. Dopo di loro i lancianesi Hybrid Circle. E’ stato bello vedere una fetta di Abruzzo arrivare fin qui. Il loro genere si spostava più verso il Prog Metal, unito sempre alle sonorità tipiche dell’Hardcore. Uno spartiacque tra gli Slipknot e gli stessi Protest the Hero.
Il pubblico pareva apprezzare i brani tratti dall’ultimo disco A Matter Of Faith. Sicuramente cosa buona e giusta. Mentre tutto procedeva secondo le tempistiche studiate a tavolino dall’organizzazione, i terzi furono i seguitissimi Destrage. I ragazzi di Milano dal vivo hanno una potenza pari a quella di dieci rulli compressori . Erano in forma smagliante e bastava osservare con quanta foga si agitavano le persone presenti sulle note di “Jade’s Place” o “Purania” per capirlo. Davvero impressionanti. Una performance da brividi. Ma la vera sorpresa della serata sono stati i londinesi Monuments e il loro frontman Chris Barretto, un tipetto con delle corde vocali fuori dal comune e in costante simbiosi con gli spettatori. Erano la conferma che il genere aveva ancora molto da dire visto che pareva di ascoltare un singolare avvinghiamento tra i Killswitch Engage e la musica Soul. Le canzoni tratte dal recentissimo The Amanuensis e dal precedente Gnosis hanno cotto a puntino l’ambiente in fermento per l’approssimarsi degli headliner.
Luci soffuse e un boato hanno accolto, dopo un’estenuante attesa, i Protest the Hero. L’opening è stata affidata, come da copione, a una “Clarity” eseguita a mille all’ora, cantata da un pubblico in visibilio. Il nuovo batterista Mike Ieraldi (ex The Kindred) non avrà la classica mazzata, ma è preciso e perfettamente funzionale. La pecca sono stati i monologhi trash del cantante Rody Walker, forse sbronzo, tra un brano e l’altro, che vertevano su donne facili. ani e bestemmie. Fortuna che le canzoni migliori come “Mist”, Bloodmeat” e “Sex Tapes” sono state tutte eseguite senza sbavature e con una carica travolgente. Il bis finale è stata la stupenda “Sequoia Throne”, che ha rischiato di far venir giù l’intero Rock Planet. Un concerto che dimostra che quando si decide di seguire il proprio cuore non si sbaglia mai.