Dischi Soviet Studio Tag Archive
La Band della Settimana || Hope You’re Fine Blondie
Un trio Trevigiano formato da Paolo Forte (chitarra e voce), Luca Ramon (Batteria e cori) e Nicola Gubernale (Basso).
“Venety Fair” è il nuovo videoclip dei Miss Mog
Il trio synth-pop veneto che il prossimo 15 aprile pubblicherà su etichetta Dischi Soviet Studio il primo disco sulla lunga distanza, Federer.
Mosè Santamaria – #RisorseUmane
Con Mosè Santamaria bisogna stare attenti. Personaggio subito affascinante ma pericoloso, con questo alone mistico e quei riferimenti (Jodorowsky, Gurdjieff, ganja, mitologie, Bibbia) che basta poco per far crollare tutto nel pasticciaccio New Age. Nonostante le apparenze, in #RisorseUmane questo non succede. Il misticismo è una filigrana: i riferimenti culturali, esperienziali di Santamaria sono tra le righe, ma lui racconta altro, (anche) attraverso questi. Sono storie di un Pop focalizzato, intelligente, o di un Cantautorato alieno ma accessibile: amori perduti, infuocati o gentili, carnali, platonici o spirituali, raccontati con tratti vividi (“Mata Hari”), soffusi (“I Colori di Françoise”), intensi (“A Nizza”), oppure storie di paese (“I Love You Marzano”) o di città (“L’Altra Parte della Città” ), o ancora appunti e riflessioni sulla scoperta di sé e del mondo, sull’evoluzione del proprio essere e di ciò che lo circonda (“Mine Vaganti”, “Come gli Dei”, “Passato Prossimo”). Santamaria racconta e si racconta con freschezza, con una leggerezza attenta, non troppo incline al caso, con accostamenti a volte sorprendenti che lo rendono interessante. Meno focalizzate le zone dove si ironizza (“Compromessi e Chiacchiere da Bar”, la più banalotta), ma nel complesso il tutto si regge sulle proprie gambe senza molta difficoltà. La musica segue il mondo delle canzoni, si adatta senza volersi etichettare in maniera troppo chiara, e quindi mescola strumenti acustici e virtuali in arrangiamenti mai casuali, alle volte veramente saporiti, stuzzicanti (“A Nizza”, per esempio), sempre in un’ottica Pop ma con una netta veste Elettronica, spesso uptempo, con ganci ad ogni angolo e in cui tutto (o quasi) rimane nelle orecchie e nella testa abbastanza in fretta. Pur se armonicamente abbastanza lineare, #RisorseUmane sa rendersi vario con guizzi e storture (di pianoforti, fiati, synth, cori…) che nobilitano e soddisfano. Detto questo, rimangono le ombre: in primis la voce, sforzata, imprecisa, un timbro posticcio, impostato, che si infila tra me e l’ascolto sereno di questo disco come uno scoglio praticamente insormontabile. E poi, poco distante, lo scarso senso melodico/metrico, che spesso fa intorcinare le frasi, le incaglia, le espande e le svuota, con effetti a volte pesanti sullo scorrere dei testi e in generale delle melodie. C’è insomma un personaggio molto interessante che sta facendo un percorso curioso, sincero e appassionato, con qualche difetto che non è chiaro se sia vezzo o limite: bisogna vedere come e quanto evolverà da questo, comunque buono, punto di partenza.
“I Love you Marzano” è il primo singolo di Mosè Santamaria
“I Love you Marzano” è il primo singolo con relativo videoclip su YouTube del cosmico cantautore pop Mosè Santamaria. Il brano anticipa l’uscita, prevista per il 4 dicembre, del disco di debutto #RisorseUmane su etichetta Dischi Soviet Studio. Nove canzoni di misticismo quotidiano che accompagnano in un bar di provincia gli esseni, Gurdjeff e Jodorowsky. E proprio al film “El Topo” si ispirano i costumi del clip girato dai videomaker Davide Guerra e Jacopo Santarello, che ritrae un vero e proprio atto psicomagico, una teatralizzazione della morte di Mosè, perché – racconta lui stesso – “come diceva Gurdjeff per svegliarsi occorre rinascere e per rinascere serve prima morire”. “I love you Marzano”, prodotto da Martino Cuman (Non Voglio che Clara) come tutte le tracce del disco d’esordio di Mosè Santamaria, è un brano ironico “sugli anni dell’adolescenza, dei due di picche, dei film di Jodorowsky, della ganja, degli sciamani, della fame di sapere e di quella tendenza a unire gli opposti o decontestualizzare ciò che è normale per trasformare la realtà in un’esperienza extrasensoriale”.
Tutto questo nella più cronica provincia italiana, che per Mosè è un luogo geografico ma anche una dimensione esistenziale, dove le condizioni che limitano le vite di ciascuno impediscono all’uomo di trovare la propria essenza divina.
Quella provincia che è “una piazza, un talk show di paese dove ognuno ha le sue croci, chi è malato di calcio, chi tradisce il marito, chi è rapito dagli alieni”. E difatti il video di “I love you Marzano” è ambientato al Lago del Brugneto e in un ranch nel comune di Torriglia vicino a dove Pier Fortunato Zanfretta raccontò di essere stato rapito dai rettiliani.
Neko at Stella – Neko at Stella
Il Rock deve suonare sporco e duro, altrimenti non stiamo parlando di Rock. Ma di maledette influenze senza voce concreta. L’omonimo esordio discografico dei Neko at Stella impone le classiche regole del Desert Noise Rock nel miglior modo possibile, un lavoro mixato in analogico per rendere vive e bagnate le radici americane del sound. Un lavoro che suona datato di una ventina di anni ma in grado di mettere in evidenza la straordinaria potenza psichedelica della band, non è roba facilmente ascoltabile in Italia se proprio vogliamo dare un punto di originalità al disco, qui di made in Italy non troviamo assolutamente niente esclusa la nazionalità di Glauco Boato (voce e chitarra) e Jacopo Massangioli (batteria). Pezzi interminabili che sembrano tirare fino all’infinito, la chiusura che non vuole mai arrivare butta l’attenzione a capofitto nella pesantezza Stoner dei pezzi a loro volta carichi di passione. Quella passione scritta in maniera dura ma comunque sinonimo di amore e vita vissuta, le batterie spaccano i timpani come è giusto che sia. Fucilata in pieno volto e poca voglia di discutere.
Si parte subito forte con l’opener “As Loud as Hell” (primo singolo e video del disco), le intenzioni poco delicate dei Neko at Stella vengono subito fuori facendo capire di che pasta sarà composto l’intero disco che sicuramente non è adatto ad un pubblico di spelacchiati amanti del Rock dolce (sempre se possiamo definirlo Rock), questa cosa inizia a piacermi veramente e sono ancora alla prima traccia. Poi si continua a picchiare e quasi provo dissolvenza mentale quando mi ritrovo negli intermezzi di chitarra appartenuti ai più tenebrosi Sonic Youth di Daydream Nation, sensazioni pure che passano per la testa, magari associo ma non centro il bersaglio. L’immaginazione gioca brutti scherzi, a me piace giocare con le mie emozioni e Neko at Stella ne produce a dismisura e fottutamente contrastanti. Anche gli oltre otto minuti e trenta di “Like Flowers” non sono proprio una soluzione semplice da affrontare per il mio cervello che s’impone di seguire un percorso Blues e vagamente Shoegaze senza azzardare bruschi movimenti, il pezzo che forse nasce per caso ipnotizza e piace tanto. Poi la tempesta riprende piede nell’improvvisazione strumentale di Intermission. Graffi infetti sulla schiena. Poi continuo a farmelo scivolare sulla pelle in maniera delicata, il piacere inizia ad aumentare anche perché il disco assume forme lievemente più leggere anche se in “Drop The Bomb, Exterminate Them All” trovo parecchie cosette scontate Grunge anni novanta alle quali siamo ormai troppo abituati. “The Flow” dichiara che il disco ha cambiato decisamente stile a favore di chitarre ritmate Blues. Poi motoseghe psichiatriche in Psycho Blues e tanta voglia di muovere il culo. Altre due canzoni dall’interiorità emotiva alle stelle e il disco finisce. I Neko at Stella hanno dimostrato la durezza della loro corazza ma anche la voglia di portare avanti un progetto musicale fuori dal coro, il loro omonimo esordio esce fuori dalla quotidiana routine, idee chiare e tecnica da incorniciare. Speriamo sia il piacevole assaggio di una band ancora tutta da scoprire, noi e la musica italiana abbiamo tanto bisogno di band e dischi di questo calibro.
Misachenevica – Come Pecore in Mezzo ai Lupi
Misachenevica è un nome veramente figo per una rock band, un nome talmente bello da influenzare tutto l’ascolto del cd (davvero!). Ti piacciono subito senza una reale motivazione, hanno un nome grandioso e nessuno può farci niente, sono quelle cose che ti rendono grande o sfigato dall’inizio. Arrivano dal nord est e ci sparano in presa diretta l’album Come Pecore in Mezzo ai Lupi sotto etichetta Dischi Soviet Studio. Il rock italiano più classico degli anni novanta come linea da seguire per orientarsi dentro questo lavoro non sempre coerente con le proprie potenzialità, nel senso che assaporo dei pezzi grandiosi e dei pezzi sinceramente superflui, come presenze indesiderate durante la migliore festa dell’anno. Una festa mesta per evocare i Marlene Kuntz del primo periodo catartico, una potenza meno sviluppata ma comunque sempre dietro l’angolo quella sprigionata dalle chitarre dei Misachenevica, meno graffianti ma molto emozionali. Misachenevica, devo sempre ripetere questo nome fino allo svenimento, ne sono rimasto troppo attratto. Misachenevica. Come Pecore in Mezzo ai Lupi in qualche maniera mantiene viva quella schiera di adoranti sognatori del primo indie (italiano) che vedevano perse le proprie speranze e non riuscivano più a riconoscersi in nessuna manifestazione musicale attuale, le pecorelle smarrite che ritrovano la retta via per rimanere nell’argomento lasciato percepire dal titolo del disco (anch’esso di una bellezza fuori dal comune).
Il pezzo “Figlio illegittimo di Kurt Cobain” lanciato come singolo impressionabile del disco (e qui sotto potete spararvi il video) tira da subito fuori una cattiva essenza di rock duro, primordiale e con una struttura melodica pop orecchiabilissima, si impara subito la strofa di un ritornello studiato alla perfezione e canticchiarla non è poi così male. Indubbiamente non parliamo del disco dell’anno, per quello bisogna guardare altrove ma non tutto è da prendere alla leggera, la band appartiene sicuramente alla fascia buona della musica italiana, quella che sovrasta la cattiva di molte migliaia di distanze. Ebbene il nome della band gioca a loro favore e incuriosisce un vago ascoltatore, se mi trovassi a scegliere un disco alla cieca sopra uno scaffale di un vecchio negozio di dischi la mia scelta cadrebbe senza esitazioni sopra di loro. I Misachenevica hanno già il potenziale commerciale nel sangue, una produzione più attenta e mirata li renderebbe competitivi sotto ogni punto di vista. Come Pecore in Mezzo ai Lupi al momento rimane un bel ricordo con tantissimo bisogno di conferme future, il vero rock si vede alla distanza.