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Mood – Mood
Francesco e Daniele sono due giovanissimi ragazzi emiliani con la certezza recondita che la musica può risultare efficace senza usare parole, che si possono imporre e dettare regole combinando una potenza binaria alla voglia di uscire dagli schemi con l’incoscienza di chi ha l’età dalla propria parte. Francesco e Daniele suonano, rispettivamente, chitarra e batteria e hanno 34 anni in due.
L’omonimo disco d’esordio è un concentrato di Math Rock secondo la concezione dei Don Caballero: riff controversi seguiti a ruota da un drumming preciso e glaciale. “M.W.” e “15 Seconds”, le prime due tracce dell’album, ci aiutano a trovare il giusto climax e ci permettono un ambientamento netto e, al contempo, graduale. I Mood si fregiano di un’ossatura solida che non si sgretola neanche davanti al paragone pesante con i newyorkesi Battles e il loro sound sperimentale. “Supernova” ne è la prova lampante. Si gira pagina e con “Falicon” respiriamo un’aria diversa, molto meno rarefatta, dove una forte componente Punk sbatte contro attimi più introspettivi. La stessa cosa avviene con “Sick Pride Nice Vibe”, anche se tra le due c’è spazio per “Room 204” l’unica composizione con una parte cantata (o sarebbe il caso di dire urlata?) all’interno. Gli oltre otto minuti di “VE-LO” chiudono i giochi tra sfoggi di tecnica e una purezza sonora che va apprezzata a piccoli sorsi.
Mood è un disco che, preso di petto, già al primo ascolto sa di suo regalare emozioni a profusione. Per la nostra Italia inflazionata un altro bel lascito da promulgare.
Quadrupède – T O G O Ban
La creatura di Le Mans è uno strano quadrupede, un duo eccezionalmente versatile capace di ostentare i suoi due volti, strutturalmente simili, ma completamente dissimili nella colorazione, come suggerisce la variopinta cover a doppia facciata (opera dell’artista Akatre) nella quale due teste antropiche sono completamente sommerse da flussi di vernice dalle tonalità difformi. Due anime che si avviluppano e moltiplicano in quest’opera attraverso le aperture dell’Electronic sperimentale e del Math Rock. I Quadrupède, giovane formazione in attività da circa tre anni, espandono questo poderoso processo creativo amalgamando arrangiamenti elettronici e classica strumentazione Rock, fatta di batteria e chitarre, collaudando le proprie capacità al fianco di grandi artisti come LITE, Papier Tigre, Woodkid, Adebisi Shank e Lost in the Riots e pubblicando dunque T O G O Ban, esordio dalle rosee speranze. Il lavoro è stato mixato da Matt Calvert (Three Trapped Tigers), masterizzato nella capitale britannica da Peter Beckmann (Sun Ra, The Magic Lantern) e pubblicato dall’etichetta belga Black Basset Records.
Sette brani che non raggiungono la mezz’ora ma che riescono comunque a trascinare, almeno parzialmente, e travolgerci in un ascolto vorticoso e intenso. L’intro celestiale stile Mùm contornato da voci angeliche e monotone presto si fonde con una possente Drum’n Bass (“Beam Pool Mom”) che a sua volta si rivela stilisticamente cangiante e pronta subito a palesare le diverse sfaccettature dell’opera che seguirà. Gli indizi Glith Pop e Noise della parte introduttiva si fanno presto prove (“Via Là”) mentre con “Rhododendron” emerge la vicinanza del duo dei Paesi Bassi con la musica dei cugini Don Caballero, anzi, ancor più con i newyorkesi Battles, in questa parte più che una semplice ispirazione nella combinazione di ritmiche precise e ripetitive e inserti elettronici. Quasi completamente assente l’aspetto lirico e vocale (sospiri e cori perlopiù) mentre più forte, rispetto ai già citati autori del piccolo capolavoro Mirrored, è il fattore Rock duro e crudo che tuttavia si manifesta solo parzialmente nei vari brani con brevi sfuriate che permettono al disco di suonare più carico di quanto non sia effettivamente nella sua totalità; interessanti anche i passaggi Electro/Prog Pop (“ASTRØ”) mentre annoia un po’ la deriva Electro Ambient/Ethereal nella parte finale (“Adulhood”) risollevata dal brusco crescendo potente caratteristico di molti di questi brani. Introduzione compresa, sono ben tre gli intermezzi anche se “Oblong Opale” può piuttosto definirsi come il momento più sperimentale e inquietante dell’album, invece che semplice momento di stacco tra prima e seconda parte.
T O G O Ban è un esordio degno di nota, che colpisce al primo ascolto, anche per la curiosità nei confronti di un certo tipo di Math Rock misto a Elettronica che non troppo spesso (vedi Battles) abbiamo avuto il piacere di ascoltare realizzato con efficacia. Un lavoro riuscito quando più definito e complesso come nel caso di “Rhododendron” ma che finisce per annoiare e suonare indigente quando si dilunga in ridondanze Electro prive di carattere. Complice la brevità, non regge ad ascolti ripetuti ma può essere certo la base per qualcosa di ancor più valido magari in un futuro prossimo.