È uscito lo scorso luglio l’ultimo lavoro dei De Rapage, la band abruzzese che, nessuno sa bene per quale motivo (forse nemmeno loro), porta un nome francesizzante che ognuno pronuncia un po’ come cazzo gli pare. Io, personalmente, lo pronuncio con tanto di “r” catarrosa iniziale: Rrrrrapage. Insomma, chi parla francese sa di cosa sto parlando.
Un lavoro corposo, composto da 12 brani ufficiali, 11 intermezzi e 2 ghost tracks, che porta il titolo di Droga e Puttane. È un concept album che la band stessa definisce come il proprio disco definitivo, nel quale si racconta la storia di Johnny Swindle, giovane perditempo al quale, scampato a morte certa, appare Gesù Cristo che gli offre la possibilità di vivere ancora a patto di dedicare la sua vita al Rock e di restare sempre fedele alla musica vera. A Johnny vengono subito in mente droga e puttane, suoi personali traguardi per affrontare l’impresa. Fra prime prove, battaglie con i vicini di sala prove, coverband e colpi di culo, Johnny otterrà il successo ma allo stesso tempo si vedrà costretto a piegarsi al mercato.
Una storia avvincente che si sviluppa tra le pieghe del Rock più classico, tra assoli, riff, e sezioni ritmiche incisive. Diversi gli stati emotivi che si affrontano: dalla più spavalda “Free Albany Cappotation” alle più drammatiche “Droga e Puttane”, “Compromessi” e “Vai con la Morte – Living Ingulammammete”. Non mancano nemmeno sonorità distorte (“Inferno Larsen” e “Bordello Acerbo”) e tonalità più rivolte al Blues (“Coverband”).
In pieno stile De Rapage anche i vari intermezzi, necessari per non perdere il filo logico della storia, ma che non perdono l’occasione, come tutti gli altri pezzi, di ironizzare su tutti quei cliché che accompagnano la vita di una rockastar. Un esempio? L’esilarante “The Faina Candau”, che già dal titolo prende per il culo i grandi maestri italiani della pronuncia inglese ed introduce il discorso verso una delle maggiori piaghe sociali dei nostri tempi: le cover band.
Eh già, perché un dei meriti di questo gruppo di musicisti anziani (come anche loro si autodefiniscono senza problemi), non è tanto quello di aver rivoluzionato i canoni della musica Rock, ma quello di aver preso una posizione ben definita nei confronti di cover e tribute band, ribadita anche nel booklet del disco: “Droga e Puttane è un concept album basato su una storia di fantasia (…). Non si intendono offendere persone per motivi legati al sesso, all’etnia o alle preferenze politiche, ma solo le cover band e le tribute band in genere che speriamo si estinguano proprio come hanno fatto i dinosauri che, almeno, erano fighi”. Tutto questo li rende decisamente molto meno anziani di tanti ventenni pronti a vendersi l’anima (e non solo) pur di raggiungere una finta celebrità che non appartiene a loro ma agli autori delle canzoni che interpretano; una finta celebrità che non fa rima proprio per niente con la parola dignità.
Droga e Puttane è un album che narra una vita da rockstar così come ce la immaginiamo, così come ce la propongono, così come a volte accade. E’ un disco piacevole all’ascolto, anche se appare a tratti ripetitivo dal punto di vista musicale. I testi della band abruzzese, a differenza dei loro precedenti lavori, sono dotati di senso compito in quanto parte integrante della storia che vogliono raccontare. Insomma, si può affermare che i De Rapage sono cresciuti (musicalmente parlando, ma il discorso per quel che mi riguarda vale anche negli altri campi della vita), ma non dovete avere paura di tale affermazione. Perché crescere non vuol dire, come pensano in molti, rinunciare a delle parti fondamentali di sé, quello si chiama suicidio. Crescere vuol dire proprio raggiungere la pienezza di sé nei diversi aspetti che compongono la nostra esistenza. I De Rapage sono i cazzoni di sempre, non temete; hanno solo convogliato tutta la loro cazzonaggine nel racconto in musica di una storia da titolo Droga e Puttane, che certo dice tanto di loro, del loro modo di fare ed intendere la musica, di come si sono espressi fino ad ora e di come probabilmente continueranno ad esprimersi in futuro, ma che stavolta racconta anche molto di più.