Nuova coltellata sonica per i veneti Elettrofandango, “Achab”, sette stilettate che prenotano la Los Angeles a cavallo 70/80 regno della violenza urbana, culla del vaticinio hard-core dei Black Flag e di quell’eterno giovanotto intellettuale e occhialuto chiamato Henry Rollin, dunque la potenza di questo lavoro non sgrana d’un millimetro le aspettative aggressive e giaculatorie di un prodotto “prodotto” per far fibrillare ascolti e nervi al massimo della tensione.
Racconti, incubi, veemenze e pedaliere sconquassate fanno arredamento in questo disco che, nonostante momenti violenti e sostantivi sonici, rimane fruibile e fa emergere una certa dose di personalità sgolata, fervida nelle liriche e avvelenata nell’esecuzione frastagliata; è un disco che si immerge nei flutti marini, dentro voragini e risacche tempestose, mare inteso come chiazza d’acqua dalle proporzioni di una guerra in cui combattere le asperità della vita, dell’esistenza e del moto perpetuo dell’idiozia umana e dell’uomo singolo, insomma del quotidiano come presa diretta di disillusioni.
Dicevamo onde e risacche che urlano e si leccano ferite non rimarginabili, furore e dolcezza urticante che si confrontano da vicino, in una list accentuata da sonorità diverse ma parentali, la tribalità stoner “Antro di Achab”, l’eco post-rock di reminiscenze che riporta lontani ed italianissimi Santo Niente “Nessuno”, il caos tondo che – tra prog e matrici speed – vessa la bella”Denti” o il funesto trombeggiare che “accompagna” in un solingo incedere “Relictual”, praticamente schianti e vuoti d’aria che diventano degni sigilli di garanzia per una band che colpisce e suggestiona al primo giro di giostra, sin dal primo infuocare di jack.
Le deliranti visioni degli Elettrofandango guardano in faccia il dolore, i vuoti a perdere e gli acidi pensieri delle notti fonde, e guai a parlare di incontro con questa cinquina sonora, piuttosto una “bella collisione” con chi del rock ne mette in aria le vene pulsanti; Achab, veramente un disco con i contro cazzi e per questo lunga vita e – è proprio il caso di dirlo – in culo alla balena!