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Adam Carpet – Adam Carpet

Written by Recensioni

Mi arriva una mail. Contiene una serie di informazioni ghiottissime su questa band, Adam Carpet. Vorrei rivelarvele subito dall’inizio, così col convincervi a parole della validità di questo progetto, ma proverò far parlare la musica, per prima cosa. Anche se l’impresa ha il gusto delle cose impossibili.
Il primo brano che ascolto è sul tubo: “Babi Yar”. Avete presente quando siete lì, un po’ annoiati in un qualche anonimo pomeriggio d’inverno e vi arriva quella canzone che appena parte sbarrate gli occhi increduli? Ecco, io ho reagito così: per qualche istante mi sono pure domandato se non mi fossi addormentato, precipitando in qualche sogno di indefinita bellezza.

Che cosa sono questi Adam Carpet?

Dei mostri, forse degli alieni. Suonano musica extraterrestre, un intenso di mix di elettronica, rock, industrial, post rock e tutto quello che potete vederci. È un qualcosa di travolgente, sublime: ci sono groove e ritmiche serrate,suoni pazzeschi, divagazioni, atmosfere intense e dense di ispirazioni.
Ho detto suonano. Sì suonano: di programmato ci sono solo i synth e qualche arpeggiatore, il resto è tutto sudore di braccia e mani. E si sente. L’energia è davvero tanta, ti pervade e ti invade come poche cose. Forse in molti storceranno il naso a sapere che è un act interamente strumentale: mi dispiace per voi, ma qua non c’è posto per le parole, l’organico soddisfa già a dovere ogni esigenza comunicativa.

Ora come ora mi accorgo di quanto questo sia il tipico disco che le parole servono davvero poco a descrivere: ogni brano è talmente ricco di spunti e di sonorità che riuscire a trovare una decina di frasi che li inglobi tutti è praticamente impossibile, almeno quanto descrivere ogni singolo brano. Rileggo le frasi che ho appena scritto: suonano un po’ ridicole rispetto alla potenza sonora che mi sta passando nelle orecchie, una misera briciola di un qualcosa di gigantesco.
Provate per credere: lasciatevi travolgere dalle ritmiche ipnotiche dell’opener “Carpet”, dalla disperata riflessività di “Carlabruni?” e dalle sonorità grezze di “Jazz Hammered”. Fate solo anche un salto sul tubo, sentitevi di due singoli apripista di questo primo lavoro omonimo, “Babi Yar” e “I Pusinanti” e lasciatevi conquistare.

Infine, chi sono questi Adam Carpet?

Due batterie, due bassi, chitarra e synth. Componenti dei Timoria, delle Vibrazioni e di altri gruppi di livello. Certamente dentro questi soggetti vivono dei mostri, forse degli alieni. Oltre a questo è di indubbio interesse la scelta del packaging di questo debutto: un box in carta riciclata contenete un codice per il download digitale, la t-shirt del gruppo e una seed-card, che una volta innaffiata diventerà un fiore.
È un progetto indubbiamente di avanguardia, sia scenicamente che musicalmente. Chiedo scusa per il senso di ineffabile che questa recensione trasmetterà, ma posso farci davvero poco.

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Uno non basta – Narciso dilaga

Written by Recensioni

Una bionda a gambe aperte, truccatissima, in mutandine e canotta slabbrata, seduta su un divano di pelle, sotto la scritta “Uno non basta”, a me, che sono maliziosa, fa mal pensare. E poi storcere il naso.  Incazzare forse rende meglio l’idea. Perché è vero che tira più il proverbiale pelo di che un carro di buoi, ma se la finissimo con una certa iconografia stantia del rock alla AmbraMarie, sarebbe anche meglio. Mi riferisco alla copertina di Narciso dilaga, disco degli Uno non basta. Sul retro, per simmetria, il b-side della fanciulla. MADDAI! Sì, sono una femminista convinta e sì, la copertina sarebbe bastata a non farmi recensire questo lavoro. Ho deciso comunque di mettere da parte i miei pregiudizi vittoriani e ascoltare.  L’elettronica degli Uno non basta arriva diretta dagli anni ’90, come dimostrano le prime due tracce, Zombie e Per due.  Il cantato è sillabico e quasi parlato, il vocalist sembra non cantare: ne giova la chiarezza del testo, ma nel tripudio ritmico e sintetizzato degli arrangiamenti, non sarebbe guastata un po’ di melodia. I testi sono pregevoli: i ragazzi lavorano per immagini e spesso devono servirsi di metafore già sentite, ma risultano comunque efficaci. Succede, ad esempio, in Vi ammiro vi uccido, dove frasi come “milioni di contenitori vuoti/invece di una testa o di un cervello” o “ed un palmare nelle tasche che controlla il mondo/che neanche dio al posto suo è riuscito a fare tanto” non brillano per chissà che riferimenti o chissà che originalità, ma chiariscono subito che l’elettronica della formazione di Roma non è puro divertimento da discoteca. E come a rafforzare quest’idea, ci si allontana dalla cassa in quattro in Passi da gigante, dove il dub alla Otto Ohm la fa da padrone. Fino a qui, gli Uno non basta avrebbero potuto presentare un Ep buono e rappresentativo. La band è compatta, preparata e capace di fare emergere una certa opinione e una certa attenzione alla realtà sociale odierna. Sono tecnicamente capaci e che il genere vi piaccia o meno, hanno indubbiamente qualcosa da dire. Qualità sorprendenti se si pensa che i ragazzi lavorano insieme a questo progetto solo da due anni, che normalmente è il tempo che una band impiega per trovare un proprio criterio compositivo. Peccato che l’album prosegua per altre otto tracce. Parla sempre poco e No passano senza lasciare ricordo di sé, Fuoco nel vento brilla solo come amarcord anni ’90, La fine ricalca Discolabirinto dei Subsonica, tanto da aver risvegliato la suffragetta che c’è in me all’urlo di “Plagio!”. Grigio Islanda, fortunatamente, riequilibra il cd: a mio avviso è la traccia più efficace, più riuscita, più potente. Il testo è più semplice di quello degli altri brani, costruito per immagini che occupano sezioni intere e non singoli versi, il cantato è finalmente pieno di voce, svelando un timbro particolare che ricorda quello di Davide Autelitano dei Ministri. La title-track Narciso dilaga sembra il manifesto estetico della band, soprattutto per quanto riguarda gli arrangiamenti, strazeppi di artifici elettronici che appesantiscono un testo già pieno di anafore sulla parola “Narciso”. L’esercito degli schiavi è l’ennesima dimostrazione che questi ragazzi sanno scrivere dei gran bei testi ma non sanno renderli in musica. Il senso si perde tra la il battere della cassa e i synth. Peccato.
Ps. Sul cd, è stampata l’immagine della ragazza. Vestita. Senza faccia (tagliata) e con degli shorts giro ****, ma vestita.

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