Emidio Clementi Tag Archive
Siren Festival, Vasto (CH) | 27-30.07.2017
Avete già nostalgia del Siren Festival, vero? Eccovi una ricchissima gallery dell’edizione 2017 artista per artista!
(foto di Antonello Campanelli)
Afterhours + Sorge @ Flowers Festival, Parco della Certosa Reale, Collegno (TO) 15/07/2016
Riuscire a vedere nella stessa sera e sullo stesso palco Manuel Agnelli ed Emidio Clementi è sempre una bella botta… emotiva.
È la terza volta che mi capita questa fortuna, dopo la notte al Traffic Free Festival del 2008 (che segnò la reunion dei meravigliosi Massimo Volume) e quella dello spettacolo “Agnelli Clementi”, se la memoria mi assiste – dunque è probabile mi sbagli – dell’anno successivo. A tradurre in realtà uno dei più classici proverbi nostrani ci ha pensato, la sera del 15 luglio scorso, il Flowers Festival, che ha ospitato il concerto degli Afterhours, freschi di pubblicazione del loro undicesimo lavoro in studio, Folfiri o Folfox, e di Sorge, il nuovo progetto di Clementi in compagnia di Marco Caldera, coproduttore dell’ultimo disco dei Massimo Volume, posto in apertura di serata.
Sono piuttosto curioso di ascoltare in sede live la nuova proposta di Clementi già saltata dalla programmazione di Hiroshima Mon Amour, per cause di forza maggiore, due volte negli ultimi mesi. Per far spazio alle due ore abbondanti di show degli Afterhours e finire negli orari stabiliti Mimì e Marco devono iniziare molto presto, così, quando con 2 amiche ci avviciniamo al Parco della Certosa, in lontananza si sentono le note della bellissima “Bar Destino” e probabilmente è già volato via un buon quarto d’ora di concerto. Una volta entrati ad accoglierci è l’opprimente atmosfera de “Il Cerchio” ed è subito ipnosi.
Pensavo (stupidamente) che la voce di Clementi potesse avere un qualche minimo segno di cedimento a causa del contemporaneo ed inedito uso della tastiera, invece niente, il magnetismo dello spoken di Mimì non cede una virgola di un incanto che l’elettronica di Caldera sposa perfettamente.
Nonostante il ritardo ci si può ritenere piuttosto fortunati sarà infatti nella seconda parte dello spettacolo che arriveranno alcuni dei pezzi migliori dell’esordio del duo tra i quali spiccheranno “Accetto Tutto”, l’inconsueto fare Hip-Hop della mirabile “Noi Facciamo Ciò Che Siamo” e soprattutto l’ispiratissima “In Famiglia”, intima catarsi capace con i suoi beat ed i suoi versi magistrali di avvolgere e rapire completamente. Il duo chiuderà l’esibizione con un’inedita perla rimasta fuori da La Guerra di Domani. Mimì è sempre Mimì ed anche con questo nuovo progetto e con questa raccolta di canzoni, che come da lui dichiarato spaziano tra ciò che si è e ciò che la vita porta ad essere, non fa che confermarlo. La sua poetica ed il suo immaginario così legati e capaci di svilupparsi attraverso l’esistente e il concreto non danno scampo, ti entrano dentro, le sue parole ed il suo modo di declamarle sono tra le cose più belle che l’Italia, non solo musicale, abbia conosciuto negli ultimi 25 anni.
Qualche minuto di attesa per la preparazione del palco e sarà la volta degli Afterhours che per la prima volta in vent’anni mi coglieranno impreparato, ad oggi non ho dato che due ascolti al loro ultimo lavoro, la situazione però mi fan sperare riportandomi alla mente uno dei loro live ai quali resto in assoluto più legato, la differenza è che all’epoca impreparati lo eravamo tutti poiché con un breve tour che toccò anche Torino la band presentò Ballate per Piccole Iene qualche giorno prima dell’uscita ufficiale, come si usava fare negli anni 70.
In perfetto orario Manuel Agnelli fa il suo ingresso sul palco con la sua chitarra acustica sulle note fuori campo di “Ophryx” attaccando con l’opener del nuovo disco, la toccante e viscerale “Grande”, e viene raggiunto dal resto della band, che ne fa ulteriormente salire la tensione emotiva, a metà brano. La mia prima impressione è che ci siamo, ci siamo proprio “alla grande”. Arrivano poi in serie altri 3 brani del nuovo disco tra i quali i due singoli, la potentissima e distorta (ma a mio modo di vedere non così centrata) “Il Mio Popolo Si Fa” e l’instant classic “Non Voglio Ritrovare il Tuo Nome”.
Da qui in avanti i brani di Folfiri o Folfox si alterneranno a buona parte dei classiconi pescati dalla lunga e importante discografia della band, insomma partirà quel terapeutico rito di liberazione collettivo e personalissimo che è parte integrante di ogni concerto degli Afterhours. Avremo così modo di ascoltare e cantare (in alcuni casi urlare), tra le tante, l’immortale “Male di Miele” (sempre una gran botta d’energia), o quei brani che sono un affondo di coltello, ora brutale ora lento e passionale, nella carne più sensibile (“La Vedova Bianca”, “Il Sangue di Giuda”, “La Sottile Linea Bianca”, “Varanasi Baby”). Verrò colpito da una “Padania” mai così bella, e dalla doppietta “Bungee Jumping” / ”Costruire per Distruggere”, pezzi che vedranno crescere la loro componente Noise, nel caso della seconda, con Iriondo e D’Erasmo ai fiati (quest’ultimo anche al classico violino), Jazz Noise, che darà ai brani una vitalità nuova pur senza stravolgerli, tutto molto bello, tutto eseguito meravigliosamente. Chapeau.
In questo frangente i brani pescati dal nuovo disco che più mi appagheranno saranno la ballata per piano con accenni di violino “L’Odore Della Giacca Di Mio Padre”, il Rock macchiato di Blues e Americana di “Né Pani Né Pesci” e la bella coralità perfettamente incastrata tra Pop e Rock di “Se Io Fossi il Giudice” con la quale si chiuderà la parte di set che precede i bis.
Al primo rientro la band proporrà “Le Verità Che Ricordavo”, tipo quella di un Agnelli circense pazzo che rotea con foga il microfono, cosa che non gli vedevo fare da un po’ e che, sarò stupido, a me fa sempre un gran piacere vedergli fare, seguita da “Riprendere Berlino” (non c’è niente da fare, de I Milanesi Ammazzano il Sabato non ho nulla nel cuore), dalla graditissima sorpresa di “Strategie” che live mancava da qualche tempo, fino a giungere a “Pop (Una Canzone Pop)” eseguita in acustico dal solo Manuel ed alla sempreverde “Non è Per Sempre”. Secondo encore: “Quello che non c’è”, sempre gustosissima anche se tagliata del finale strumentale, ed a concludere un brano introdotto dal ricordo di Manuel di un viaggio in India risalente a 15 anni fa in compagnia di quell’Emidio Clementi che lo aveva da poco preceduto sul palco, un viaggio che ha marcato a fuoco un’amicizia e che ha partorito gioielli come questa conclusiva, e stasera veramente monumentale, “Bye Bye Bombay”.
L’impressione che il nuovo Folfiri o Folfox mi lascia suonato dal vivo è che si tratti di un disco che rimarrà, magari non come i dischi migliori della band, che non vi sto ad elencare tanto lo sappiamo tutti quali sono, ma rimarrà, sicuramente più degli ultimi due lavori, e nei live che verranno negli anni a seguire alcuni brani di questo lavoro li aspetteremo e gli Afterhours, nel limite del possibile e se ancora esisteranno, ce li daranno. La nuova formazione che osservo dal vivo per la prima volta (la febbre mi lasciò a casa durante il loro primo tour nei teatri dello scorso anno) è veramente tosta, sicuramente per i fans di lunga data non vedere sul palco in particolar modo un certo Giorgio Prette può dare un certo effetto, ma mettendo da parte il cuore ed ascoltando, credo si possa affermare che oggi si abbiano di fronte quelli che probabilmente sono i migliori Afterhours di sempre, per lo meno in ottica live. Probabilmente i Nostri un disco capolavoro non lo incideranno più (mai dire mai, ok), ma se consideriamo che il gruppo è in piazza da trent’anni e solitamente ne bastano molti ma molti meno per esser bolliti (cosa che questi Afterhours non sono nemmeno lontanamente) possiamo sfregarci le mani per quello che ancora oggi questi ragazzacci si dimostrano capaci di sfornare. Ma appunto, l’ottica live, stasera ho visto gli After più maturi di sempre, a tratti perfetti, ma che la parola non vi faccia pensare ai King Crimson, perfetti come una rockband viscerale con la loro esperienza deve essere, l’attitudine non è cambiata ma tutto suona meglio, come se ci fossero una consapevolezza e probabilmente anche una concentrazione maggiori in tutti i suoi componenti. Forse questa sofferenza (l’ultimo disco, come ormai tutti sapranno, nasce dal dolore della perdita per cancro del padre da parte di Manuel, sfociando in vita) ha regalato alla band coscienza, anche quella di essere dei 40/50enni, per quanto ancora capacissimi di fare il culo a chi ha la metà dei loro anni, senza però più bisogno ad esempio di dover sfanculare il fonico durante i primi pezzi dell’esibizione o di robette simili molto Rock, ma in fin dei conti solo sulla carta (attenzione, quel roteare il microfono di cui parlavo sopra è sotto il mio punto di vista un segno distintivo, dunque cosa assai diversa) e, mi ripeterò fino alla nausea, senza perdere nulla in impatto, anzi.
Poi magari il prossimo disco degli Afterhours virerà verso qualcosa di più leggero, giovanile e alla moda, poi magari su quel disco non suoneranno gli stessi musicisti che hanno suonato sull’ultimo e che stasera ci hanno regalato questo gran bel concerto, poi magari il prossimo disco degli Afterhours nemmeno esisterà.
La verità in fondo é che con un tipino come Manuel non si sa mai, ed è anche per questo che gli voglio un gran bene e non lo giudico, tanto mal che vada, domani, saremo liberi di non piacerci più.
Notturno Americano 17/01/2015
Notturno Americano – 17 gennaio 2015 @ Blah Blah, Torino
“Ci sono notti che non accadono mai”. E poi per fortuna ci sono notti che accadono, eccome! Ci sono notti che trasudano emozione, così cariche di significato, che sembrano riscattare tutta la tristezza che a volte invade, inevitabilmente, la vita di ogni comune essere mortale. Il mediatore, colui che ha corso il rischio di pagare il riscatto per lasciare andar via le sensazioni sopra descritte, è stato in questo caso uno spettacolo che porta il nome di Notturno Americano, il reading che Emidio Clementi, storica voce dei Massimo Volume, porta in giro per l’Italia insieme a Corrado Nuccini ed Emanuele Reverberi dei Giardini di Mirò. La moneta utilizzata per pagare il riscatto è la prosa, unita alla poesia, unita alla musica. La luce è soffusa e sullo sfondo scorrono, proiettate, le tavole di Gianluca Costantini. I suoni di Emanuele Reverberi hanno ora la malinconia del violino, ora la potenza della tromba, mentre Corrado Nuccini crea atmosfere a suon di chitarra e synth. La voce narrante è invece quella di Emidio Clementi, che si cimenta nella lettura de “Il Primo Dio”, il racconto di un viaggio nell’America dei primi del ‘900 attraverso lo sguardo visionario dello scrittore Emanuel Carnevali, e “L’ultimo Dio”, il libro autobiografico dove ripercorre parte della propria vita e ne sottolinea gli aspetti comuni a quella di Carnevali. Notturno Americano è l’ulteriore tributo che Clementi dedica a Carnevali, scrittore e poeta che scopre grazie ad un cliente che una sera d’inverno gli mette in mano un libro dicendogli “Leggilo. Parla di uno come te”. Ma ormai credo non si tratta più di un “uno come te”. Si tratta piuttosto di un “uno come noi”. Perché mentre Clementi legge e declama le sue pagine, ognuno di noi si riscopre improvvisamente Carnevali, per uno o più aspetti: la partenza verso un luogo sconosciuto, il ricostruirsi una vita da zero, il lavoro che fa schifo ma nello stesso tempo hai il terrore di perdere. Per un’ora Clementi è Carnevali, noi siamo Clementi, noi diventiamo Carnevali. È la prima volta che assisto ad un’esibizione del leader dei Massimo Volume; c’è chi pensa che Clementi “sia preso bene” quella sera, ed in effetti sembra esserlo. Quando gli sei accanto per scambiare due chiacchiere, Emidio cerca il tuo sguardo, ti scava negli occhi e ci sprofonda dentro. Poi al saluto finale ti prende le braccia e non puoi fare a meno di pensare a quanta vita c’è disegnata su quei tatuaggi. Poi ti stringe le mani quasi volesse recitare con te una preghiera e infine ti bacia. È un rito che si ripete a dismisura, con chiunque abbia voglia di salutarlo. “ È il 1914 quando Carnevali scende dalla nave, prende la rincorsa, e spicca il volo. Accarezza il sogno, ma non riesce a stringere la presa”. È il 2015 quando Clementi sale sul palco, prendiamo la rincorsa, e ci fa spiccare il volo. Stringiamo forte la presa, e ci portiamo a casa un sogno.
Nient’Altro Che Macerie – Al Vento
Nient’Altro Che Macerie escono per 4V4 Records portandosi dietro una notevole considerazione di pubblico e l’aspettativa diventa inesorabilmente alta, talmente alta da rendere il loro esordio discografico (un anno prima erano usciti con un Ep Circostanze) molto interessante. Al Vento, ecco come prende nome il disco dei Nient’Altro Che Macerie, un vento talmente tagliente e disordinato da portarsi dietro di se tutto quello che si incontra, non c’è assolutamente bisogno di tenerezza in questo disco, un disco acerbo e maleodorante, l’odore acre delle chitarre rabbiose che non cercano certamente complimenti, piuttosto si farebbero spaccare la testa.
Si parte con estrema rabbia curata, “In Silenzio”, quel frangente bello e in crescita dello Stoner italiano però in qualche modo reso in maniera splendidamente Post Rock, Post Indie, Post Tutto. Poi si continua sulla stessa linea dura, “Il Senso Della Fine”, come dicevo prima Al Vento non lascia traspirare assolutamente leziosità. E tu sei lo sbaglio in persona. Poi rivivo sonorità alla Mimì Clementi quando il disco porta alla mia conoscenza “Evitabili Prospettive”, pezzo molto introspettivo che comunque mantiene sempre l’aria spocchiosa di chi proprio non vuole sentirsi delizioso. La delizia forse dimentichiamo che non appartiene quasi mai alle nostre fottute vite di sofferenza sembrano voler portare alla ribalta i giovanissimi musicisti di Milano celati dietro il moniker distruttivo di Nient’Altro Che Macerie, e di macerie ne abbiamo viste tante in questi ultimi anni. Il disco riprende subito la propria identità nerboruta quando Al Vento propone “Reazione al Nulla (Emesi), una ritmica da mare in tempesta, una risolutezza sconcertante nella voce sempre tirata al massimo, non c’è possibilità di riprendere fiato. Affoghiamo. “Le Parole Tra i Denti” è ancora rivoluzione e voglia di andare contro, riff grezzi e belli come poche volte è difficile associare questi due aggettivi. Poi “Quello Che Vorrei Davvero” chiude decisamente in gloria l’esperienza discografica dei Nient’Altro Che Macerie, una disco talmente singolare nei generi da non scendere mai nella scontatezza delle scelte, soluzioni che vengono dallo stomaco e gridate senza troppe referenziali remore. I Nient’Altro Che Macerie sono una band giovanissima che mette subito in chiaro le proprie intenzioni, sono sbruffoni, sono smaniosi e ragionano d’istinto ma Al Vento è un bel disco che merita tutti gli elogi del caso. Bravi questi milanesi che portano alto il valore della musica italiana.