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Faber Nostrum, ascolta Motta in “Verranno a chiederti del nostro amore”
La versione di Motta è contenuta nel disco tributo a De Andrè in uscita il 26 aprile.
Continue ReadingMichele Anelli – Giorni Usati
Michele Anelli, al suo ritorno dopo la collaborazione con i Chemako, si presenta con un disco di svolta per la sua quasi trentennale carriera. Abbandonate definitivamente le sonorità Roots Rock degli esordi coi Groovers, il nostro vira infatti in modo deciso verso un Pop ispirato agli anni 60 non senza venature Rock Jazz Prog & Beat, ed un cantato che trova sempre più il suo faro in Lucio Battisti. Questa svolta è figlia dell’incontro con il tastierista Andrea Lentullo e con il contrabbassista Matteo Priori che hanno sviluppato idee che Anelli rincorreva da tempo ma che fin qui aveva solo sfiorato. Il disco, prodotto da Paolo Iafelice, già al lavoro con Fabrizio De Andrè, P.F.M., Vinicio Capossela, Daniele Silvestri e tanti altri, risulta essere molto curato ma non riesce a catturare. Le liriche di Anelli, che in passato ha prodotto rivisitazioni di canti di lavoro e resistenza, sembrano provenire direttamente da quei periodi (“Leader”) non convincendo appieno neanche nei momenti migliori. Anche il sound può talvolta risultare più datato di quanto dovrebbe; nonostante ciò non mancheranno comunque momenti piacevoli durante l’ascolto. Il disco ci parlerà dell’amore con le sue comprensioni ed incomprensioni, dell’importanza del suo tetto che ripara dalla pioggia battente che la società ci scaglia addosso, nonché della necessità di svegliarci, alzare la testa e riprenderci le nostre strade e possibilità, i nostri giorni, la nostra vita. Troveremo i momenti più apprezzabili nel brano di apertura “Lavoro Senza Emozioni” capace in qualche modo di coinvolgere con i suoi cori quasi ossessivi ed una melodia ariosa a far da contraltare, nella ballad Pop-Rock “Adele e le Rose” e nella gradevole “Alice” per quanto adatte, soprattutto durante i ritornelli, al festival della città dei fiori, in “Gospel”, brano nel quale interviene il Lift Your Voice Gospel Choir, che Anelli dedica alle persone incontrate durante il suo percorso e rilevatesi importanti per la sua crescita di uomo ed artista, e nella conclusiva title-track, leggera e jazzata, nella quale la voce oltre al cantato sarà impegnata in una parte parlata per il testo meglio riuscito dell’intero lotto. Michele Anelli, al quale non va negato il merito di cercare e frequentare da sempre strade distintive, sforna dunque il disco che da tempo sognava e inseguiva ma senza purtroppo riuscire a emozionarci. Giorni Usati alterna luci ed ombre, ma si tratta comunque di luci mai abbaglianti come di ombre con le quali è possibile convivere. È un disco che manca del giusto mordente e di conseguenza non lascia il segno ma che può, sotto certi punti di vista, essere considerato quasi come un esordio, un primo frutto di una pianta che in futuro potrà probabilmente donarne di più maturi, ricchi e succosi.
Max Manfredi – Dremong
Appena cinquantadue secondi di “Intro Dremong” e si entra nel mondo visionario di Max Manfredi, artista che nel vinse la Targa Tenco Opera Prima con l’album Le Parole del Gatto. In una carriera di oltre due decenni tanti altri sono stati poi gli attestati di riconoscimento ottenuti (ci piace ricordare appena il Premio Regione Liguria come “capostipite della nuova generazione dei cantautori genovesi” nel 1995, il Premio Lunezia, il Premio Lo Cascio e “miglior solista” al MEI di Faenza nel 2005 e poi nuovamente il Premio Tenco come miglior disco dell’anno nel 2009 con l’album Luna Persa). Anche il pubblico ha comunque sempre creduto in lui, tanto da finanziare attraverso la piattaforma Musicraiser questo nuovo album, Dremong, che prende il nome da un orso che, a quanto pare, secondo una leggenda tibetana diedi i natali a quello che più comunemente chiamiamo Yeti. Fiducia incommensurabile quindi verso un artista che non ha mai deluso le aspettative dei propri fan. Del resto anche Fabrizio De André, rispondendo a una domanda sui cantautori italiani, lo aveva dipinto come “il più bravo” (“Gazzetta del Lunedì” il 23/6/1997), mentre Roberto Vecchioni lo ha definito “un capostipite (…), uno che ha bazzicato col romanzo, con la poesia, col dialettale, con la canzone e senza, un capace, uno che non posso nemmeno limitare con il termine di cantautore”. La vetta della qualità si raggiunge già con la titletrack che non a caso è la seconda in ordine cronologico, ma guai a sottovalutare anche l’armonica “Disgelo” o l’inquieta “Notte”. Testi raffinati ed atmosfere inusuali pervadono l’ascolto di questo disco “inquieto” soprattutto quando ci si immerge nella “medievale” “Sangue di Drago” o in “Finisterre” che prende il nome dal famoso comune spagnolo situato nella Galizia. Tredici nuove canzoni per lo più scritte in binomio con Fabrizio Ugas, con cui c’è un rapporto lavorativo che ormai dura da diversi anni e che si adopera anche alla chitarra classica ed acustica, al laud cubano e ai cori. Tante altre però sono le persone coinvolte però in questo progetto (l’elenco sarebbe troppo lungo per poterle menzionare tutte) che spazia dalla musica etnica alla pura contaminazione sonora del progressive anni settanta senza trascurare il lato oscuro del Rock passando per strumenti strumenti tradizionali come il glockenspiel, la concertina, gli orientali gu-qin e go-zen, i flauti, il violino, la batteria, le percussioni e il basso fretless. Se proprio volessimo quindi circoncidere il disco in un solo genere potremmo quasi farlo includendolo nella cosiddetta world music (anche se forse sconfineremmo leggermente). Sicuramente non avrebbe sfigurato se fosse stato pubblicato da una grande major del settore quale la Real World di Peter Gabriel. Una produzione pressoché perfetta curata nei minimi dettagli da Primigenia Produzioni ed un nuovo capitolo aperto da un grande cantautore quale Max Manfredi. Intanto noi aspettiamo già il suo seguito…
“Vladimiro (È Sotto Shock!)”, il nuovo video di Sergio Zafarana
Il videoclip del singolo “Vladimiro (È sotto shock!)” tratto dall’EP Zafarà, primo progetto solista del siciliano Sergio Zafarana, co-prodotto dall’etichetta indipendente Muddy Waters Musica e registrato ed arrangiato da Aldo Giordano presso il Rec-Studio. Sergio Zafarana è siciliano e scrive musica da che ne ha memoria. È chitarrista e lead vocalist in diversi progetti. Zafarà è il suo esordio da solista. Ha collaborato, tra gli altri, con Cesare Basile e Daniele Coluzzi (Io non sono Bogte). Tra molte esperienze artistiche, di alcune va particolarmente fiero: il premio “Città di Milano” nella rassegna Rock Targato Italia, con Deaprimavera; il premio della critica al festival Risonando De André, con i Trifase; l’EP Storie all’Ombra dei Grattacieli, il brano “A Sara non Piace Viaggiare”, registrato presso il Metropolis studio di Lucio Fabbri. Il suo stile è fortemente influenzato da bevitori dalla voce roca (Tom Waits, Vinicio Capossela), da poeti estinti (Fabrizio De André, Giorgio Gaber), da milanesi capelloni (Afterhours, Paolo Benvegnù), da incalliti sperimentatori (Radiohead).
Od Fulmine – Od Fulmine
I sogni alcune volte riescono a realizzarsi ma le delusioni sono sempre molto più frequenti, la musica d’autore riesce a farci camminare spensierati e pulsanti sopra la bellezza della vita. Perché poi non è necessario esternare le proprie emozioni, potrebbero essere male interpretate e di colpo tutto potrebbe finire. Scrivono canzoni irresistibili come faceva Tenco gli Od Fulmine al debutto discografico con questo omonimo disco. Indie Rock d’autore tanto cercato dai Non Voglio Che Clara e sponsorizzato dai Perturbazione, la tecnica è quella giusta dei bei testi in chiave Rock, la formula perfetta per modernizzare il cantautorato italiano di tanti anni fa. Gli Od Fulmine sono di Genova e provengono da diverse ma affermate realtà musicali (Meganoidi, Numero 6, Esmen), il loro legame con la cosiddetta “scuola genovese” è strettissimo perché oltre Luigi Tenco si percepisce qualcosa di Fabrizio De Andrè e Umberto Bindi. Insomma, hanno imparato dai grandi maestri cercando di mantenere alta la qualità del cantautorato italiano. Brani come “Altrove 2” e “Ma Ha” spiegano benissimo il concetto di fusione tra cantautore e Indie Rock, soprattutto se viene considerato un sound prevalentemente estero e poco italiano. Se poi volete far increspare la pelle avete bisogno di un brano semplice ed emozionale come “Nel Disastro”, un classica struttura compositiva con un ritornello bellissimo: Ma nel disastro mi vedrai sorridere/Sotto un diluvio ritornare in me/Di notte ho visto quello che mi manca e tu mi vieni incontro anche se non lo fai più.
Non è facile trovare il giusto equilibrio nella musica, il rischio di strafare è sempre dietro l’angolo, gli Od Fulmine percepiscono soltanto le parti buone dell’arte, parlano di amore con chitarre indurite, non hanno paura di mettere a vivo i propri sentimenti. L’ascoltatore è libero di interpretare le canzoni come meglio crede, ognuno può vivere il proprio film senza dover rendere conto a niente e nessuno. L’omonimo disco degli Od Fulmine riesce a caricare di passione, giocando con intrecci sostenuti a volte dalle lacrime a volte dai sorrisi, piove ed immediatamente esce il sole, “Fine dei Desideri” come pezzo immagine dell’intero concept. Le cose che portiamo dentro non sempre riusciamo ad esternarle con la giusta precisione, questo disco parla con il cuore in mano, questo disco è veramente carico di considerevoli aspettative. E noi siamo fieri di ascoltare una band come gli Od Fulmine.