Al Garbage Live Club di Pratola Peligna (AQ) si suona a terra, in mezzo al pubblico, tra la gente, sopra il sudore e le birre rovesciate che ti fanno lo sgambetto e ti buttano giù come se vodka e birra non bastassero. Si suona così per una scelta precisa; eliminare quanto più possibile il distacco tra gli artisti e chi li ascolta, che di ragazzini alle prime armi che si credono rockstar ne abbiamo fin troppi. I piccoli locali come questo, che danno spazio alle formazioni emergenti tagliando fuori le cover band e i karaoke, sono la palestra perfetta e necessaria per diventare grandi e imparare a costruirsi un pubblico, prima che sia il pubblico a cercarti. Lo scorso sabato, sul (non) palco del piccolo club abruzzese c’era una grandissima band londinese; anzi no, c’erano i Push Button Gently, che, musica a parte, di britannico hanno ben poco trattandosi di quattro ragazzi provenienti dalle parti di Como e Lecco. Musicisti in gamba, non proprio giovanissimi, che hanno preso in pieno lo spirito di questo locale integrandosi perfettamente tra la fauna autoctona già prima di iniziare il concerto. Non si tratterà di una band d’oltre manica, eppure, il loro suono non solo non ha nulla da invidiare a tante formazioni emergenti della City riportando alla mente, anche in maniera netta, un certo Brit Pop, di quello più sporco e sghembo. L’influenza dei Beatles è palese, soprattutto nella linearità del disco più che nel live, ma non tutto si riduce a questo e l’azzardata auto definizione di Technicolor Fuzz Rock prende una forma più precisa col passare dei minuti e dei brani. Non solo Brit Pop, dicevamo, e non è certo un caso se Francesco Ruggiero alla batteria sembra pestare come un matto avendo scoperto che Darkwave, New Wave e simili sono la sua primaria passione. Discorso simile per Julio Speziali, voce (ma anche chitarra e basso all’occorrente) della band, con una timbrica forse non pulitissima e perfetta stilisticamente ma che ha il pregio di incastonarsi perfettamente, col suo incedere volutamente claudicante, dentro i continui cambi di ritmo dei pezzi, nelle intercapedini tra note e rumore; voce che ha anche il pregio di mostrare una duttilità impressionante, riuscendo a evocare tanto il Soul yankee, quanto il Pop continentale e un certo cantautorato fuori dal comune. Mai forzato l’apporto di Natale De Leo ai Synth, che non esagera e si limita a impreziosire brani già dalla struttura portante ben salda mentre fondamentale è il lavoro di Nicolò Bordoli, che, oltre alla chitarra, aggiunge la sua voce a supporto di quella di Speziali.
Il live inizia con “Hurkah”, opening dell’ultimo disco ‘Cause e il resto del concerto sarà tutto incentrato sulla presentazione dei suoi brani, con tutta la tracklist riproposta, più una versione alternativa di “Morning Sailor” nella parte finale. Ci penserà il bis, richiesto da alcuni, a farci ascoltare qualcosa di più vecchio e la cosa non potrà che farci piacere, considerando che, alle spalle, i comaschi hanno tanti altri lavori interessanti, tra cui Confortable Creatures, Fuzzy Blue Balloon e Uru. I quattro ci sanno fare, si dimostrano ottimi tecnicamente, meno nel rapportarsi col pubblico forse; ma sanno come scrivere canzoni, scegliendo ottime armonie e linee melodiche e fanno anche un lavoro eccelso in fase di esecuzione, riuscendo a mantenere intatta una certa propensione al Pop di fondo, pur suonando spesso “storti”, come ha detto qualcuno di fianco a me, cioè con variazioni continue, feedback, rumorismi, interruzioni, e schitarrate pesanti che, in alcuni punti, sembravano quasi volersi trasformare in note Stoner. Sono proprio i pezzi più potenti e nevrotici, quelli in cui i Push Button riescono meglio, mentre convincono meno nelle ballate più languide e morbide. Nonostante le influenze fuori confine siano molteplici ed evidenti, non possono mancare i paragoni col panorama italiano e qui, necessario è l’accostamento con i Verdena, specie per quella capacità di mantenere intatto lo scheletro dei brani mentre intorno sembra scatenarsi un cervellotico caos sonico. Nei lombardi sembra sempre un po’ troppo tirato il freno a mano, rispetto ai colleghi, ma le similitudini non sono certo una forzatura, nonostante la differenza di lingua (i nostri cantano in inglese); come non lo sono quelle con i veneti Jennifer Gentle, nei passaggi più psichedelici, o ancora con i milanesi Fuzz Orchestra, anche se l’aspetto sperimentale e rumoristico è molto meno presente.
È stato un live gradevole, soprattutto nella prima parte, che ha messo in mostra una band ancor più meritevole di quello che non poteva sembrare su disco. C’è ancora e ci sarà sempre tanta strada da fare per loro ma sono assolutamente già pronti per calcare palchi più importanti di quelli di piccoli club di provincia senza dimenticare quanto sudore hanno versato, quanta birra bevuto e quanto affetto hanno ricevuto in questi piccoli club di provincia.