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Push Button Gently @ Garbage Live Club, Pratola Peligna (AQ) 10/12/2016

Written by Live Report

Al Garbage Live Club di Pratola Peligna (AQ) si suona a terra, in mezzo al pubblico, tra la gente, sopra il sudore e le birre rovesciate che ti fanno lo sgambetto e ti buttano giù come se vodka e birra non bastassero. Si suona così per una scelta precisa; eliminare quanto più possibile il distacco tra gli artisti e chi li ascolta, che di ragazzini alle prime armi che si credono rockstar ne abbiamo fin troppi. I piccoli locali come questo, che danno spazio alle formazioni emergenti tagliando fuori le cover band e i karaoke, sono la palestra perfetta e necessaria per diventare grandi e imparare a costruirsi un pubblico, prima che sia il pubblico a cercarti. Lo scorso sabato, sul (non) palco del piccolo club abruzzese c’era una grandissima band londinese; anzi no, c’erano i Push Button Gently, che, musica a parte, di britannico hanno ben poco trattandosi di quattro ragazzi provenienti dalle parti di Como e Lecco. Musicisti in gamba, non proprio giovanissimi, che hanno preso in pieno lo spirito di questo locale integrandosi perfettamente tra la fauna autoctona già prima di iniziare il concerto. Non si tratterà di una band d’oltre manica, eppure, il loro suono non solo non ha nulla da invidiare a tante formazioni emergenti della City riportando alla mente, anche in maniera netta, un certo Brit Pop, di quello più sporco e sghembo. L’influenza dei Beatles è palese, soprattutto nella linearità del disco più che nel live, ma non tutto si riduce a questo e l’azzardata auto definizione di Technicolor Fuzz Rock prende una forma più precisa col passare dei minuti e dei brani. Non solo Brit Pop, dicevamo, e non è certo un caso se Francesco Ruggiero alla batteria sembra pestare come un matto avendo scoperto che Darkwave, New Wave e simili sono la sua primaria passione. Discorso simile per Julio Speziali, voce (ma anche chitarra e basso all’occorrente) della band, con una timbrica forse non pulitissima e perfetta stilisticamente ma che ha il pregio di incastonarsi perfettamente, col suo incedere volutamente claudicante, dentro i continui cambi di ritmo dei pezzi, nelle intercapedini tra note e rumore; voce che ha anche il pregio di mostrare una duttilità impressionante, riuscendo a evocare tanto il Soul yankee, quanto il Pop continentale e un certo cantautorato fuori dal comune. Mai forzato l’apporto di Natale De Leo ai Synth, che non esagera e si limita a impreziosire brani già dalla struttura portante ben salda mentre fondamentale è il lavoro di Nicolò Bordoli, che, oltre alla chitarra, aggiunge la sua voce a supporto di quella di Speziali.

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Il live inizia con “Hurkah”, opening dell’ultimo disco ‘Cause e il resto del concerto sarà tutto incentrato sulla presentazione dei suoi brani, con tutta la tracklist riproposta, più una versione alternativa di “Morning Sailor” nella parte finale. Ci penserà il bis, richiesto da alcuni, a farci ascoltare qualcosa di più vecchio e la cosa non potrà che farci piacere, considerando che, alle spalle, i comaschi hanno tanti altri lavori interessanti, tra cui Confortable Creatures, Fuzzy Blue Balloon e Uru. I quattro ci sanno fare, si dimostrano ottimi tecnicamente, meno nel rapportarsi col pubblico forse; ma sanno come scrivere canzoni, scegliendo ottime armonie e linee melodiche e fanno anche un lavoro eccelso in fase di esecuzione, riuscendo a mantenere intatta una certa propensione al Pop di fondo, pur suonando spesso “storti”, come ha detto qualcuno di fianco a me, cioè con variazioni continue, feedback, rumorismi, interruzioni, e schitarrate pesanti che, in alcuni punti, sembravano quasi volersi trasformare in note Stoner. Sono proprio i pezzi più potenti e nevrotici, quelli in cui i Push Button riescono meglio, mentre convincono meno nelle ballate più languide e morbide. Nonostante le influenze fuori confine siano molteplici ed evidenti, non possono mancare i paragoni col panorama italiano e qui, necessario è l’accostamento con i Verdena, specie per quella capacità di mantenere intatto lo scheletro dei brani mentre intorno sembra scatenarsi un cervellotico caos sonico. Nei lombardi sembra sempre un po’ troppo tirato il freno a mano, rispetto ai colleghi, ma le similitudini non sono certo una forzatura, nonostante la differenza di lingua (i nostri cantano in inglese); come non lo sono quelle con i veneti Jennifer Gentle, nei passaggi più psichedelici, o ancora con i milanesi Fuzz Orchestra, anche se l’aspetto sperimentale e rumoristico è molto meno presente.

È stato un live gradevole, soprattutto nella prima parte, che ha messo in mostra una band ancor più meritevole di quello che non poteva sembrare su disco. C’è ancora e ci sarà sempre tanta strada da fare per loro ma sono assolutamente già pronti per calcare palchi più importanti di quelli di piccoli club di provincia senza dimenticare quanto sudore hanno versato, quanta birra bevuto e quanto affetto hanno ricevuto in questi piccoli club di provincia.

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Le Classifiche 2016 di Silvio “Don” Pizzica

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #09.12.2016

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #25.11.2016

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Il Babau e I Maledetti Cretini – Il Cuore Rivelatore

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Non ascoltate questo disco, non guardate queste immagini, non leggete questa storia. Gettatelo nel fuoco prima che sia troppo tardi. Dio abbia pietà di noi.

Prende forma la Trilogia del Mistero e del Terrore, con questa seconda prova, Il Cuore Rivelatore, ancora una volta opera ispirata da un racconto del maestro Edgar Allan Poe. Il primo capitolo, La Maschera della Morte Rossa, è un racconto che narra di una pestilenza e delle vicende del principe Prospero, il quale si rifugia in un palazzo per evitare il contagio per poi essere raggiunto e ucciso insieme ai suoi invitati dalla Morte Rossa durante un ballo in maschera. Il secondo fonodramma riprende la stessa linea guida ma stavolta si basa su una narrazione ancor più nota dell’autore di Boston e, dalle precedenti atmosfere medievali e diaboliche, si passa a un contesto più inquieto e ansioso.

Sotto la produzione artistica di Roberto Rizzo, Il Babau e I Maledetti Cretini confezionano un’opera perfetta sotto ogni aspetto, a partire da una ricercata prefazione firmata Dr. M. Scheller e strutturata secondo un artificio noto in letteratura, per cui tale dottore (proprietario dell’etichetta Btf) avrebbe finalmente trovato il disco e la trilogia in un imprecisato futuro e abbia lasciato scritte alcune parole per ammonire chiunque a stare lontano da queste opere malefiche e maledette, come si trattasse di un cimelio oscuro. Anche il resto del libretto di quasi cinquanta pagine è di pregevole fattura con le illustrazioni di Gianni Zara ad alternarsi alle parole dei vari brani riportate sia secondo l’originale in inglese di Poe, sia con la traduzione italiana degli stessi artisti.

Per quanto concerne l’aspetto musicale, Il Cuore Rivelatore è di difficilissima catalogazione e valutazione. Il canto è quasi totalmente assente, visto che Franz Casanova si limita, per modo di dire, a recitare i testi con qualche divagazione più melodica e cori surreali di Andrea Dicò. Stessa cosa per melodia e forma canzone. Il resto del lavoro affidato alle sue tastiere, alla batteria di quest’ultimo e alle chitarre di Damiano Casanova, si risolve in un Progressive di avanguardia che tanto si rifà alle opere dei maestri del genere anni Sessanta e Settanta, con una notevole propensione per gli aspetti più psicotici e psichedelici e, alternativamente, a un sound minimale e aggressivo che, in talune reiterazioni ritmiche, ricorda anche le sperimentazioni degli Swans più nevrotici.

Come detto, la valutazione di questo disco è cosa in sostanza impossibile, se si vuole inserire in un ambiente prettamente discografico. Al di fuori dei confini non ha certo la forza, causa lingua italiana, per attecchire e sotto l’aspetto musicale tutto è forgiato per far si che le note rendano nel migliore dei modi le sensazioni date dal momento narrante, l’agitazione e la tensione crescente, senza distogliere l’attenzione dalle parole. Del resto, non siamo di fronte ad una serie di canzoni o a un semplice concept album ma a un vero e proprio fonodramma, la cui musica ha solo lo scopo predetto, senza fare troppi sforzi per agognare e individuare una stilistica davvero avanguardistica. Il Cuore Rivelatore è un disco/non disco che quasi non ha valore sotto l’aspetto musicale, o meglio, ne ha nei limiti del suo seguire le dinamiche standard del Prog, forgiato da una band che ha l’incredibile merito di aver riscoperto e reinventato la traduzione musicata di opere letterarie, scegliendo di concentrarsi sugli aspetti enigmatici, tetri ed estrosi di tali opere. In questo caso, forse anche più che nell’episodio precedente, l’obiettivo è stato raggiunto pienamente, con una grande cura per i dettagli, musicali e non, esecuzioni impeccabili, eccellente resa sonora della fluidità del racconto e ottima capacità recitativa. Basta questo per definire Il Cuore Rivelatore un grandissimo album.

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Elisa Rossi – Eco

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Dopo Viola Selise e Il Dubbio pubblicato nel 2013, torna la cantautrice riminese con un Ep Pop che più Pop non si può e lo fa con sette tracce gradevoli sia per la voce, sia per melodie e arrangiamenti semplici ma che rendono perfettamente l’idea stilistica di Elisa Rossi. È lei stessa a comporre e scrivere i testi di queste canzoni apprezzabili, con il tutto a fare da cornice brillante ma non invadente al suo canto audace che vuole farsi portavoce del proprio Io, attraverso uno stile energico, passionale, a tratti enigmatico. “Tempo fa ho letto che il profilo è l’immagine di noi stessi che conosciamo meno eppure il suo disegno ci rappresenta in maniera inequivocabile. Il volto di profilo si può disegnare con un unico tratto continuo. È un segno forte, essenziale ma riconoscibile e io, essenzialmente, non faccio altro che seguire la linea del mio profilo e raccontarne i tratti attraverso le canzoni, per riconoscermi e rendermi riconoscibile agli altri”. Questo è l’archetipo essenziale di Eco, secondo la stessa Elisa Rossi e presenta esattamente il senso di questo lavoro della vincitrice 2007 di Musicultura. Un’opera che con semplicità e decisione riesce a esprimere tutta l’artista. Un estended play Pop nel senso più classico del termine, con piccolissime e dosate intrusioni elettroniche e qualche melodia eterea che finisce per accostarla al più delicato Dream Pop e la rende perfetta overture dei live di uno dei più grandi interpreti del cantautorato alternativo tricolore, Paolo Benvegnù. Eco non è qualcosa adatto a chi nella musica cerca forzatamente le spigolature, a chi nella voce non cerca la perfezione estetica e nei testi vuole aggressività e attitudine Punk Rock o malinconia hipster ma è innegabilmente un lavoro confezionato con cura ammirevole, tanta da non poter passare inosservata.

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #18.11.2016

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10 SONGS A WEEK | la settimana in dieci brani #11.11.2016

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Mike Spine – Forage&Glean

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L’artista di Seattle fa le cose in grande e pubblica per la Global Seepej Records questo doppio best of che raccoglie le sue migliori canzoni divise in due diverse anime, quella più Folk del volume uno e quella più Punk del volume due. Dopo dieci album all’attivo, Mike Spine, nato nella terra del Grunge ma che divide la sua vita con l’Europa, pubblica per la prima volta un lavoro nel vecchio continente ed anche per questo motivo il suo nome non è ancora materia per le masse, nonostante abbia suonato in ogni dove dividendo il palco con Los Lobos, Creedence Clearwater Revisited, Damien Jurado e tanti altri. Pur non essendo eccessivamente legati stilisticamente, se si esclude la materia prima Folk, la figura di Spine e le sue liriche quasi seguono il solco di quel Billy Bragg che fu strenuo avversario del thatcherismo in Inghilterra. Mike Spine, come il britannico, usa la sua musica, le sue parole e la sua voce per raccontare le vicende e le esperienze dei lavoratori delle diverse città in cui ha soggiornato, osteggiando le ingiustizie sociali, finanziarie e ambientali tanto nei fatti quanto artisticamente. Proprio Billy Bragg affermava: “Io non sono un cantautore politico. Sono un cantautore onesto e cerco di scrivere onestamente su ciò che vedo intorno a me in questo momento”. Questa frase trova altresì applicazione in Spine e quest’onestà la ritroveremo in tutte le trentadue canzoni che compongono Forage&Glean, registrate, per la cronaca, negli studi Haywire Recording di Portland da Rob Bartleson (Wilco, Pink Martini) e masterizzato da Ed Brooks (Pearl Jam, R.E.M.) a Seattle. Prima di giungere a questa raccolta, il musicista ha militato nella band At the Spine pubblicando cinque album che miscelavano il Punk ricercato di The Clash, alla potenza del Post Hardcore, l’intensità di Neil Young al Grunge dei Nirvana; nel 2010 la prima svolta con la band The Beautiful Sunsets, con cui pubblica Coalminers & Moonshiners e, finalmente, nel 2015, il primo album solista; nel mezzo, una serie incredibile di concerti e un tour europeo con la polistrumentista Barbara Luna. Forage&Glean non è dunque semplicemente un’ammucchiata di vecchie canzoni ma un viaggio a ritroso nella vita di Spine, che ripercorre le sue esperienze artistiche e di vita dall’oggi agli esordi, dall’Europa agli States, impreziosendosi delle tante anime con cui è entrato in contatto.

Stilisticamente, oltre ad una voce accattivante che, nella timbrica, molto ricorda quella del cantautore di Huddersfield, Merz, tutte le influenze già citate si ritrovano con una certa facilità, e se nella prima parte è il folk e la melodia a farla da padrone, con pezzi che lasciano spaziare la mente tra reminiscenze di Dylan, Young e Van Morrison, il secondo volume è di tutt’altra fattura, con pezzi veloci, aggressivi, che si distaccano dal Folk per inseguire un alternative e Hard Rock dall’attitudine Punk totalmente inaspettato viste le premesse dei primi brani tanto che andrebbero scomodati termini di paragone quali Beck, Pixies o Sonic Youth per rendere l’idea ma anche Okkerville River pur consapevoli che tra Spine e Will Sheff c’è una bella differenza a favore di quest’ultimo.

Detto tutto questo ci si aspetterebbe un apprezzamento incondizionato a Forage&Glean ma non è così perché, se è vero che la varietà stilistica espressa può accontentare palati dalla diversa sensibilità e se apprezzabilissimo è il tema dell’impegno sociale, è anche vero che questa sorta di punto di arrivo per Spine, vuole essere anche un punto di partenza per puntare a un pubblico più ampio, il quale rischia di finire in confusione per la troppa carne messa sul fuoco. Si aggiunga a questo il fatto che la proposta vista da ogni punto di vista non ha nulla di originale e che le doti del musicista di Seattle sono ben lontane da quelle dei suoi padri putativi ecco che viene a forgiarsi un giudizio che non può andare oltre una timida valutazione.

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L’immenso Club to Club 2016

Written by Live Report

Il mio Club to Club inizia qualche mese fa, quando, durante una serata al Garbage Live Club di Pratola Peligna dedicata alla Warp Records, un mio amico dj e futuro compagno di avventura a Torino, viene da me con entusiasmo fanciullesco e mi dice: “Oh, a novembre si parte”. “E dove si va?”, faccio io. “Al Club to Club; ci sono gli Swans“. “E chi altro?” dico. Lacrime agli occhi ed eccitazione alle stelle. “Autechre e Amnesia Scanner bastano?”. Basteranno.

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Parranda Groove Factory – Nothing but the Rhythm

Written by Recensioni

Linfante 22 Ottobre 2016 Garbage Live Club

Written by Live Report

Il modo migliore per far sì che gli altri (il pubblico in questo caso) credano in te è essere il primo a credere in quello che fai e per crederci davvero bisogna fare le cose con il massimo sforzo, impegno, spirito di sacrificio e una notevole dose di organizzazione. È esattamente questo che fa Stefano Scrima, in arte LinFante, solista di Cremona che ha girato il mondo, tra Madrid e Barcellona, per stabilirsi definitivamente nella capitale. È proprio lui a consacrare il periodo dei concerti del Garbage Live Club di Pratola Peligna (Aq) dedicato alla reinterpretazione del Folk in tutte le sue varianti, fase che sarà conclusa dal modenese One Glass Eye il prossimo 5 novembre e che ha già visto esibirsi artisti come Give Vent e The Dead Man Singing. Dopo il Folk in chiave Punk, Emo e Post/Art Rock e prima della variante Math, tocca alla musica a metà tra bizzarrie liriche e sentimentalismo ironico de Linfante.

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Stefano Scrima fa le cose per bene, dicevamo all’inizio; realizza videoclip curati e divertenti, spende attenzione su immagine e artwork dei suoi lavori, ultimo l’Ep Piccolo e Malato uscito il 29 settembre per La Fame Dischi, e infine non ha paura di girare l’Italia in autobus e treno, tra grandi metropoli e minuscoli paesini con la sua chitarra in spalla e un’armonica nello zaino. Stefano incarna un modo di proporsi e di fare musica che troppo spesso sembra essere dimenticato dal pubblico tanto quanto dai musicisti stessi, abbagliati dall’irreale e apparentemente immediato successo che sembrano avere quelli che riescono a infiltrarsi nella malvagia macchina dei reality show. Incarna un modo di fare musica che parte dal cuore e fa a pugni con la propria anima; si nutre di chiacchiere prima del concerto, di disperato bisogno di attenzione, di difficile ricerca di qualcuno disposto a dedicare pochi minuti della propria vita per ascoltare quello che si ha da dire.

Tutto questo è emerso dal piccolo live de Linfante nel piccolo Club abruzzese; un live diverso da ogni altro suo live non solo per il rapporto instaurato con i presenti, con i quali l’artista ha bevuto e scherzato prima, durante e dopo il concerto, ma anche per la scelta artistica di non seguire alcuna scaletta precisa, evitando anche di suonare alcuni dei suoi pezzi più belli e più noti come “Muoio di Sonno”, “La Bella Estate” e una delle mie preferite, “Chiudo gli Occhi e non Penso a Te”. Ovviamente tutti i pezzi dell’Ep faranno parte della serata, da “Serenata ai Grilli” al brano dedicato alla sua città d’adozione, passando per “Una Pianta Carnivora Mi Ha Detto Che Non mi Ami Più” e il brano che da titolo al disco. Simpatico siparietto, invece, quando suonerà “L’Amaro” e un bel bicchiere di Cynar finirà sul palco/non palco tra le risate dei presenti. Dal primo album Linfante sceglie forse i pezzi più introspettivi e meno immediati, come “Mentisenti”, “Medievalità” ma anche la bellissima “Non Mi Piace Niente”. Tra le tante sorprese che, dicevamo, renderanno la serata singolare, tantissimi inediti, un brano della sua band Sydrojé, “Bacche, Rabbia e Alcol” e un paio di pezzi presenti nel suo primo demo. Alla fine saranno circa quindici i brani proposti, in una sorta di viaggio virtuale nella “carriera” ancora tutta da scrivere di questo giovane musicista, dal passato degli esordi e dei suoi progetti paralleli, al presente con l’Ep appena edito, fino al futuro con brani mai incisi e che forse lo saranno in un futuro prossimo. Un live che ha dimostrato tanto, non solo delle qualità strumentali e vocali del musicista romano, ma anche di quanto sia importante ascoltare e supportare gli artisti nelle loro piccole esibizioni, affinché ci si renda conto del loro reale valore e si possa permettergli di continuare a dire ciò che hanno da dire fino a quando avranno qualcosa da dire che ci regali un’emozione. Un live che, tra le tante cose, ci ricorda cosa sia la musica, nella sua versione più umana e viscerale.

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