Ed eccoci giunti ad un altro appuntamento di grande rilevanza offertoci dal Flowers Festival dopo la data unica italiana di Anohni. Questa sera incastonati nella cornice del Parco della Certosa Reale di Collegno saranno presenti, anch’essi per la loro unica tappa italiana, i leggendari Pixies, una delle band più importanti ed influenti che l’Alternative Rock ricordi. Una band che nel suo periodo d’oro ha sfornato dischi che sono entrati nella storia della musica e che due anni fa, a 23 anni dall’ultimo lavoro in studio, è tornata a pubblicare materiale inedito ed oggi si appresta a dare alle stampe il suo settimo disco, Head Carrier, la cui uscita è prevista per il prossimo 30 Settembre. I Pixies si sono sempre contraddistinti per la loro grande varietà di linguaggio, per quegli arrangiamenti, molto spesso caotici, spigolosi, sfaccettati e contrastanti, fondati sulle grandi e folli doti vocali di Black Francis (unite alle ritmiche della sua chitarra), sull’ecletticità del cofondatore Joey Santiago alla chitarra solista, sulle sediziose ritmiche del batterista David Lovering, sulle splendide armonizzazioni vocali e sul basso robusto e letale di Kim Deal, che come tutti saprete dopo aver preso parte alla reunion nel 2004 ha lasciato la band nove anni più tardi, sostituita per brevissimo tempo da Kim Shattuck alla quale è a sua volta subentrata Paz Lenchantin che vedremo stasera sul palco. Una band che ha imparato e fatto sue le lezioni di David Thomas e dei suoi Pere Ubu (tra l’altro tra i due leader non manca anche una certa somiglianza) e che tra le sue fonti d’ispirazione annovera anche artisti dal calibro dei Violent Femmes e dei sempiterni Lou Reed e David Bowie e che ha a sua volta ispirato band come i Nirvana, i Pavement e tanto altro ancora di quello che sono stati buona parte degli ascolti di molti di noi dagli anni 90 ad oggi.
Insomma questa sera l’attesa è sicuramente bella alta ed insieme ad un gruppetto di amici, tra i quali un’altra penna di questa webzine, la smorziamo con un paio di buone birre ed un piatto di gustosi agnolotti al ragù, certamente non esaltanti per quantità ma che comunque ci aiuteranno a non svenire durante il concerto. L’onore di aprire per la band di Boston spetterà ai Ministri che vedo dal vivo per la prima volta e (consideratemi pure un marziano) di cui non conosco nulla nonostante il loro nome abbia ormai un certo peso all’interno della scena musicale del nostro paese. I ragazzi offrono uno spettacolo di Rock dallo spirito Punk che si dimostra piuttosto godibile con musiche dal buon impatto (per quanto non arrivi mai niente di sorprendente) nelle quali la parte del leone è assegnata alle chitarre. La voce di Davide Autelitano per i miei gusti è sicuramente più piacevole quando urla o si fa bassa e cupa che durante il cantato classico e melodico che fortunatamente prende il sopravvento raramente, i testi sono destinati ad un pubblico decisamente più giovane del sottoscritto, pubblico che comunque non manca (sarà infatti facile vedere ventenni come ultracinquantenni) e che se li gode cantando a memoria ed a gran voce ogni singola parola. No, non è nato nessun amore, ma devo comunque dire che i ragazzi sono capaci di tenere il palco alla grande e che la scelta di far loro aprire il concerto dei folletti mi è sembrata meno assurda di tante altre, considerando che spesso i gruppi posti in apertura di serata sembrano selezionati da qualcuno che come unico suo scopo abbia la mia, tua, nostra (in)sofferenza.
Durante i venti minuti conclusivi di un cambio palco durato l’esagerazione di tre quarti d’ora, probabilmente anche per prendere qualche precauzione a causa della leggera pioggia caduta a metà del set dei Ministri, il pubblico delle prime file sul lato sinistro del palco viene intrattenuto da un ragazzone che pare disegnato da Matt Groening e che cerca disperatamente il suo amico Giancarlo uralandone il nome a gran voce e più passa il tempo più si irrita anche con i Pixies e con Black Francis, ma è un’irritazione giocosa e piena d’amore (o forse mi sbaglio, forse prevede il futuro) il giovane sa di alleggerirci la sfiancante attesa, dona abbracci a destra e a manca e quando la band entra sul palco si catapulta più vicino che può, il suo spettacolo è finito, adesso tocca a loro, adesso tocca ai Pixies. La band di Boston parte subito con l’incendiaria cavalcata di “Velvety” seguita da “Rock Music” che precede la sensualità dannatamente coinvolgente della splendida “Hey” con la chitarra di Santiago che brilla per eleganza. Tre brani che bastano per farci capire che passeremo quasi un’ora e mezza in compagnia di una band ancora in grandissima forma, l’energia che si respira è veramente tanta e salirà ancora.
Oltre ad un paio di ripescaggi da quell’Indie Cindy che due anni fa segnò il loro ritorno (se vogliamo evitabili, per quanto live risultino nettamente più piacevoli) Francis e soci ci proporranno tutti e 4 i pezzi già ascoltabili del disco in arrivo, il Power Pop surfato di “Classic Masher”, “Baal’s Back”, potentissimo Hard Rock in pieno stile AC/DC, la power ballad “Head Carrier” ed il Garage “Um Chagga Lagga”, primo singolo estratto dal disco in arrivo, brani capaci di mostrarci come se la cava ai cori la Lenchantin su pezzi dove non possiamo paragonarla alla Deal, e si può dire che la ragazza ci sa fare e che supera l’esame anche sui pezzi dove il paragone è inevitabile, a voler trovare qualcosa che non va si potrebbe dire che forse in alcune occasioni il suo basso risulti meno potente e spigoloso di quello originale, ma mi sorge il dubbio che lo si potrebbe dire più per il dispiacere di non vedere sul palco la storica bassista della band che per come effettivamente lo strumento suoni. I nuovi brani dei Pixies live sono veramente trascinanti (ed immagino il nuovo disco piacerà più del precedente) ma ormai il loro segno distintivo non c’è più, mancano quella fantasia, quelle dissonanze, quella facilità complicata che avevano contraddistinto i loro giorni migliori, per quanto la title-track e “Um Chagga Lagga” due passi indietro nel tempo nel loro piccolo provino a regalarceli. Ma quei giorni stasera li ritroveremo ed alla fine andremo a casa felici di esserci stati, felici e bagnati (ma anche un po’ incazzati, scoprirete come mai più avanti) perché, come ad ogni concerto Rock all’aperto che si rispetti non mancherà, per una buona ventina di minuti, una pioggia torrenziale, portata, guarda caso, dal supereroe Tony (He’s got the oil on his chain, for a ride in the rain) non prima che la robusta e straziante violenza di “Dead” si sia occupata di oscurare il cielo.
I Pixies andranno a pescare molti dei loro pezzi storici, in particolar modo dai due album che li hanno elevati a band culto: Surfer Rosa e Doolittle. Avremo così modo di godere di brani come l’ossessiva e nevrotica “Bone Machine” con l’ottimo lavoro della sezione ritmica, i riffoni di Santiago e la voce di Francis che volerà ovunque possibile, come della prorompenza sgraziata, tossica e liberartoria di “Gouge Away” e della demenziale “River Euphrates” con i suoi graffi Punk Rock (brani che manderanno il pubblico in delirio sotto il diluvio).
A pioggia terminata arriveranno due delle canzoni più meravigliosamente appiccicose e melodicamente irresistibili che la mia mente ed il mio cuore ricordino: la splendida, intensa e criptica ballata “Monkey Gone to Heaven” e l’adorabile Surf Pop di “Here Comes Your Man” coi loro ritornelli killer (durante la seconda quello che avrò davanti ai miei occhi sarà uno dei pubblici più puramente felici che mi sia mai capitato di vivere ed osservare nel corso di un live). Arriveranno ancora la coinvolgente “Levitate Me”, furioso e distorto mostro Pop Rock estratto dal disco d’esordio Come On Pilgrim, ed ancora il loro pezzo più sigificativo, col suo inesorabile riff, l’abrasiva ed allucinogena “Where Is My Mind?”, momento di puro delirio collettivo. Sarà grazie alla tenera demenza di “La La Love You” che godremo di un paio di minuti un po’ più calmi prima dell’arrivo della strepitosa, eclettica e appassionata “Vamos” dopo la quale la band, fin qui col pubblico niente più che qualche occhiata, arriverà al momento dei saluti, che saranno calorisissimi, un paio di minuti per un grande e reciproco abbraccio e finalmente anche qualche sorriso da parte del leader del gruppo. Non ci sarà bisogno di richiamarli sul palco, i Pixies dopo questa calorosa stretta torneranno immediatamente ai loro strumenti per far partire “Debaser”, ma cosa accadrà? Che Black Francis deciderà di bloccarla dopo pochi secondi quando tutti ormai stavamo godendo all’idea di gustarci quell’immenso brano, uno scherzo da prete più che da folletto che non andrà giù a me come credo a molti altri. Al suo posto la band suonerà “Planet of Sound” da quel Trompe Le Monde, ultimo capitolo della loro prima fase, che segnava il decorso della loro schizofrenia più accesa e accecante, per quanto l’episodio raccontato sopra dia l’idea di un cammino ancora lungo per una completa guarigione.
L’amaro in bocca, sì. Che poi sarebbe semplicemente bastato non farla partire quella maledetta “Debaser” no? E chi si sarebbe lamentato in fin dei conti? Fin lì era stato tutto così bello, certo con lei sarebbe stato perfetto, sì sarebbe mancata “Gigantic” ma la sua è un’assenza evidentemente giustificabile, l’altra no, non dopo averla attaccata. Comunque, provando a mettere da parte la delusione per questo finale, quello che si può dire è che questa band dal vivo goda ancora di ottima salute. L’istrionica voce di Black Francis ha ceduto qualcosa di molto vicino allo zero, i musicisti sono ancora in un grande stato di forma con una Lenchantin inseritasi perfettamente nel’anima di questo storico gruppo. Questi folletti sono stati dei giganti e lo sono ancora per quanto incredibilmente attuali suonino le loro composizioni, veramente una ventata d’aria fresca, ancora oggi, stupefacenti. Però, mio caro signor Charles Michael Kittridge Thompson IV, questo non la giustifica minimamente per quanto combinato nel finale, dunque sappia che personalmente, almeno per qualche giorno, non potrò fare a meno di odiarla.