È scientificamente provato che vivere l’esperienza del viaggio nel tempo ha pesanti ripercussioni sul fisico e sulla mente. Io, ad esempio, ne ho vissuta una proprio di recente ed ora mi sento debilitato e fuori forma, faccio fatica a concentrarmi ed a portare a termine qualsiasi semplice azione quotidiana. A parte lo shock di essere catapultato ai giorni della mia adolescenza dove tutto sapeva di brufoli e marmellata, il trauma più grande è stato trovarmi faccia a faccia col me stesso di 20 anni fa che, traslucido di fronte allo stereo, mi ripeteva: “Non farlo, nooo!”. Un evidente caso di paradosso temporale, che avrà pesanti conseguenze sul mio futuro e forse anche sul mio passato. Forse prima di quell’incontro ero un ricco e lardoso figlio di puttana che se ne stava stravaccato sul suo yacht a contare soldi e prendere il sole… Ma veniamo al punto.
È successo che con estrema curiosità ho inserito nel lettore del mio stereo questo Forse… di Calcutta, un giovane cantautore di Latina che si propone forte solo della sua voce e della sua chitarra acustica, e già penso ad una di queste nuove leve dell’indipendenza nostrana tutta barba, occhiali da nerd e melodie esili esili pronte a buttarti nella malinconia e nella depressione. Invece nulla di tutto questo. Parte la prima traccia, Senza Aciugamano, che è da subito molto piacevole e ricorda lievemente i Grant Lee Buffalo per ritmica ed impatto, ma non solo… Il brano si fa ascoltare senza alcun impedimento e prosegue naturalmente fino alla fine, ma è netta una sensazione di deja-vu che ne permea l’esecuzione. Non riesco a capire cosa sia, bisogna andare avanti…
Solo al terzo brano il collegamento è ovvio. Me ne rendo conto quando davanti a me si materializza il poster di Lucio Battisti che mia cugina teneva orgogliosamente sulla parete più grande della sua camera e che ora è proprio qui, davanti a me, evocato dal timbro rauco e distante del nostro Calcutta. Mica roba da poco, direte voi. E no, rispondo io, ma ce ne sarà davvero bisogno? Vado avanti e non mi scoraggio, anche se i miei jeans sono improvvisamente diventati a vita alta. Calcutta si muove bene fra liriche accattivanti e acrobazie semantiche, ti lascia canticchiare ciò che hai appena ascoltato imprimendotelo bene in mente, a volte anche abbandonando strade già tracciate per avventurarsi in interessanti escursioni meno melodiche come in Nicole o nella spiazzante Il tempo che resta sing along, ma l’impressione che resti troppo ancorato al passato è evidente nella maggior parte dei passaggi. Intendiamoci, non che sia un plagio del buon Lucio con tanto di motocicletta e hp, ma questo Forse… ne respira appieno le arie peraltro conosciutissime e si confonde un pochino col già ascoltato. Pregevolissime sono comunque le citazioni (Arbre Magique), simpatico il tormentone dell’amico Enrico (Enrico), trascinante il non-sense (Cane) e interessanti le liriche (Pomezia, dalla quale Flavio Scutti ha tratto anche un video), ma forse non abbastanza per convincere chi ne è incuriosito ad apprezzare in toto il progetto che tuttavia si fa ascoltare ed apprezzare in quanto ad esecuzioni ed idee. Purtroppo la pesante eredità a cui si aggancia e che mi trasporta indietro nel tempo ne sminuisce la preziosità e non ne premia la bellezza anche se, ed è da rimarcare, è di certo un buon disco. È da sottolineare che il nostro si deve essere già cimentato col buon Lucio nazionale e che ne è sicuramente profondo conoscitore nonché artista che ha saputo far suo uno stile piuttosto che limitarsi ad imitare, ma per farsi conoscere ed apprezzare dal pubblico per le sue doti cantautoriali forse dovrebbe discostarsene ancora.
Comunque dal giorno in cui ho ascoltato Forse… comincio a rimpiangere i pantaloni a vita alta: controindicazioni da viaggio nel tempo.