Comodo definirsi Indie Rock quando si sa bene che vuol dire tutto o niente. E così i Dagomago contornano il loro genere di nessuna specifica e ci obbligano o ad ignorarli per quell’etichetta o ad ascoltarli per forza per giudicare. Evviva la Deriva è il frutto di poco meno di due anni di collaborazione del trio piemontese, eppure è un disco già supportato da un’etichetta, da un bel packaging, da una bella squadra di promozione. “Male”, la traccia di apertura, promette male come il titolo sembra preannunciare visto che apre con una serie di versi in rima, immagini depresse stereotipate, vocali aperte alla Manuel Agnelli. Sembra la solita roba nostrana, già sentita. Ma la band si riscatta con “Le Cabine del Telefono” che si rivela, invece, ben più particolare, con un cantato acido alla Francesco-C e un non so che dei Dari. Questa sensazione prosegue con “Cucinami Se Vuoi”, una canzone d’amore finito che ha più il sapore Punk di un vaffanculo che quello di una ballad di addio. Bella, mi ha fatto ridere. E anche con la successiva “Cervello in Fuga” capiamo che i Dagomago non sono la solita band nostrana che si piange addosso. Anzi: sembrano di proposito riprendere nei titoli tematiche care al Rock di protesta italiota per farne una bella caricatura, come in questo caso, in cui il testo recita “Il mio cervello è in fuga e io non gli sto più dietro” mentre la musica è una scanzonata serie di passaggi accordali delle tastiere, direttamente dagli anni 80. E si gioca con gli stereotipi anche in “La Vita Acida”, tra musicisti che suonano davanti a nessuno, Roma ladrona, la Milano da bere. Ok, non è che siamo di fronte a degli idioti o a dei ragazzotti leggeri che scherzano su tutto e non riescono a prendere niente sul serio. Evviva La Deriva è un album lucido, che affronta semplicemente da un altro punto di vista e con un altro piglio. E la faccenda è evidente in “Apprendista a Tempo Indeterminato”, un insieme di malessere diffuso che attraversa longitudinalmente la sfera privata e il contesto sociale, la vita professionale e l’amore. Il tutto condito con una bella chitarra sanguigna che finalmente esce fuori, più che nelle altre tracce, rivelando una certa bravura tecnica. Le tracce confluiscono con molta naturalezza una nell’altra, così “Viva Salsedo!” inizia quasi senza essercene accorti e lascia spazio a “Maninalto”, una marcia che apre a singhiozzo, elettronica e freddissima. Il disco prosegue con “Iocnr”, forse la traccia meno immediata di tutte, complessa nell’arrangiamento, non immediatamente incasellabile in nessun genere, con uno stacco dissonante, artificiale, confusionario. Quando inizia “Tenera È la Notte”, quindi, la differenza stilistica è notevole: accordi in deelay e cantato soft e fumoso, puntellato da effetti strumentali e doppie voci che danno subito un tocco di etereo al brano. Una bella parentesi o più semplicemente il climax di una maturità che la band sembra andare acquisendo man mano che le tracce scorrono, come in un percorso di formazione. Il cerchio non può che chiudersi con la smentita della prima traccia: “Non Fa Male” è un’altra ballata, che richiama vagamente i Perturbazione per l’arrangiamento e gli Eva Mon Amour per il mood delle liriche.
Nel complesso è un disco che si fa ascoltare e che può rivelare anche qualche bella sorpresa. Ve lo consiglio, e, se vi capita, andate a vederveli dal vivo già che sono in tour.