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Edoardo Borghini – Fumare per Noia

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“Ci riproviamo, ci ricaschiamo”: così comincia Fumare per Noia secondo (capo)lavoro di Edoardo Borghini, giovane cantautore livornese, che vuol dare un seguito al suo primo omonimo disco. Forse questo titolo perché l’artista vuol subito chiarire che, per una sorta di consecutio temporum, “Fumare Per Noia” è il logico risultato di una maturazione artistica avvenuta in un periodo, neanche troppo grande, che passa attraverso arrangiamenti molto più complessi e persino per imitazioni canine in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente” (proprio come fece John Lennon quando impersonificò un tricheco in “I am The Walrus”, sesta traccia dello storico Magical Mystery Tour, spesso coverizzata ed eseguita live anche da artisti del calibro di Frank Zappa, Oasis, Styx e dai nostri conterranei A Toys Orchestra). In “Perso l’Occasione di te” si ha la sensazione di imbattersi in un gioco musicale che prende spunto a quella “Eleanor Rigby” tanto cara agli stessi The Beatles e all’estro geniale del già citato Frank Zappa. Di quei riferimenti a Neil Young e a Francesco De Gregori che si erano riscontrati nel precedente compact disc invece è rimasto poco, proprio come se si volesse far capire l’ampiezza artistica di Edoardo Borghini che stavolta ha optato per un repertorio tendente più a Lucio Battisti (quello del periodo Mogol) e agli americani Byrds.

La conclusione è affidata a una “Ho Preteso” che è cantata in maniera piuttosto originale ed eseguita strizzando l’occhio al Jazz e allo Swing degli anni cinquanta. Peccato che il nostro viaggio sonoro con Edoardo Borghini duri solo otto canzoni (una mezz’oretta di tempo circa). Ci stavamo prendendo gusto. E come dice lo stesso Borghini in “Canzone di Quel che mi Viene in Mente”: “No, io non sono quel che si dice un cantautore matto, un canzoniere, un paroliere, ma so solo che a te piaccio così come sono”. E per una volta tanto l’autostima è davvero meritatissima.

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Rivoluzioni musicali in mostra alle OGR di Torino

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Quando si parla di musica, ognuno ha senza dubbio i propri riferimenti, i propri miti, le stelle polari che lo guideranno lungo il corso della propria esistenza ,in lungo e in largo, a destra e manca, forever and ever, “finché morte non vi separi”. Alcuni di questi miti, però, non fanno solo parte del nostro universo musicale, ma sono delle vere e proprie pietre miliari della storia della musica, simbolo di un’ epoca, esempio per le generazioni future ed esponenti di rivoluzioni che hanno deviato il corso della storia stesso.  Ed è proprio a questi Dei dell’Olimpo musicale che fa riferimento Alberto Campo, curatore della mostra fotografica Transformers – Ritratti di Musicisti Rivoluzionari, allestita presso i Cantieri OGR di Torino e visitabile dal 28 settembre al 3 novembre 2013. Il filo conduttore che la caratterizza è quello della “Trasformazione”, tema tanto caro alle ex Officine Grandi Riparazioni Ferroviarie (una delle ultime testimonianze della storia industriale della città), oggetto di un recente restauro che le ha restituite alla popolazione torinese sottoforma di “Cantieri Culturali”, sede di eventi musicali, teatrali, mostre, fiere ecc.

Ed eccoli allora sfilare uno per uno i Grandi della musica, in una serie di scatti che li ritrae durante la loro vita di artisti (con una predilezione per quelli realizzati durante gli eventi live) e di comuni mortali; un richiamo all’idea della “Trasformazione” come trapasso dalla dimensione pubblica a quella privata. Le fotografie sono attinte dal vasto bacino messo a disposizione da Getty Images, ed abbracciano sessant’anni di musica (dall’avvento del Pop negli anni ’50 all’era del web e delle tecnologie digitali odierne); il sottofondo musicale è una lunga colonna sonora composta da canzoni-simbolo degli artisti considerati. Campo fa cominciare tutto con Elvis (e come dargli torto!), opportunamente inserito nella sezione “Origini della Specie” e fotografato durante una delle sue celebri mosse di bacino. La seconda tappa porta il titolo de “l’Invasione Britannica” ed i protagonisti non potevano che essere Beatles e Rolling Stones, considerati perennemente in antitesi. Gli anni ‘60 si tingono anche di Folk e dei ritratti di un giovanissimo Bob Dylan, che con la sua “Blowin’ in the Wind”, cantata come inno di chiusura dei comizi di Martin Luther King, diviene il rappresentante della “Canzoni di protesta”, mentre Miles Davis e James Brown lo sono del Jazz e del Soul-Funky nella sezione “Black Power”. Si conclude un decennio e ne comincia uno nuovo, segnato dall’ “Utopia Hippie” che vede i suoi massimi esponenti nei Doors e in Jimi Hendrix (immortalato mentre dà fuoco alla chitarra elettrica durante il festival di Monterey), mentre il Transformer per eccellenza, David Bowie (nelle vesti di Ziggy Stardust) trova posto nella sezione “Rock a Teatro” insieme alla primissima formazione dei  Velvet Underground (fotografati con l’immancabile Andy Warhol ), quella di cui faceva parte anche la splendida Femme Fatale Nico, immortalata in un primo piano stupendo, mentre indossa una maglietta riportante la scritta Fragile. Nella sezione “gli Outsider” si piazzano Tom Waits e Frank Zappa, mentre l’unico artista italiano preso in considerazione, Ennio Morricone, non poteva che collocarsi nella sezione “la Musica Come in un Film”. Passano gli anni, cambia il modo di far musica, che diventa “definitivamente prodotto dal vivo su larga scala”: Led Zeppelin e Pink Floyd sono esempio dell’ avvento dei grandi concerti che riempiono gli stadi. Dall’altro capo del mondo, sempre in quegli anni, “One Love”, Bob Marley si faceva portavoce di un nuovo genere musicale: il  Reggae. Altra rivoluzione musicale degna di nota in quegli anni è il Punk, rappresentato nella sua forma più grezza dai Sex Pistols (lo scatto che ritrae Johnny Rotten nel tentativo di armeggiare un paio di forbici enorme parla da sé) e nella sua forma più colta da Patti Smith, la sacerdotessa del Rock che sembra non aver alterato con gli anni l’espressione che ha in volto mentre canta. Gli anni ‘80 sono quelli dell’ Hip Hop dei Beastie Boys, del re e della regina del Pop: Michael Jackson e Madonna. Gli anni ’90 segnano una frattura col decennio precedente grazie all’avvento del Grunge e dei Nirvana: il primo piano di Kurt Kobain troneggia in sala (forse è una delle immagini più belle della mostra), mentre ha in mano la chitarra che riporta la scritta “Vandalism: beautiful as a rock in a cop’s face”. La mostra arriva fino ai giorni nostri, e si conclude con l’ “Evoluzione della Rockstar” verso una musica sperimentale e ricercata, i cui esponenti sono rappresentati da Björk e Radiohead (riconoscere una foto scattata durante il loro ultimo tour del 2012 ti fa sentire fiero di esserci stato) per chiudersi definitivamente con l’avvento della musica elettronica dei Kraftwerk e dei Daft Punk nella sezione “Technologia”.

I grandi assenti? Tanti, ognuno sicuramente troverà qualche suo “mito” mancante all’appello. In ogni caso, non è un buon motivo per privarsi di questa mostra, che non è una semplice esposizione fotografica, ma un viaggio visivo e sonoro indietro nel tempo, verso tappe della storia e rivoluzioni musicali compiute dai musicisti che tanto amiamo. Allacciate le cinture, si parte.

Fonti: http://www.ogr-crt.it/events/transformers-ritratti-musicisti-rivoluzionari/

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Le Superclassifiche di Rockambula: Top Ten anni Sessanta

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Anni  60, quanti ricordi. Ad essere sinceri nessuno, perché in quel decennio anche mio padre era, al massimo, solo un adolescente. Eppure ogni cosa che ha riguardato la nostra vita, un disco, un film, un vestito, un pensiero, ha a che vedere con i Sixties. Erano gli anni della guerra fredda di Usa e Urss e di Cuba, del terremoto in Cile, di Martin Luther King e  Jurij Gagarin, del muro di Berlino, dell’avvento dei Beatles, dei Rolling Stones e del Papa buono. Gli ultimi anni di Marylin, Malcom X e John Fitzgerald Kennedy. Gli anni di Chruščёv e della minigonna, del Vietnam e della Olivetti, di Mao e del Che, della primavera di Praga e dei Patti di Varsavia, di Reagan e degli hippy, del pacifismo e dell’anarchia felice. Gli anni dei fascisti e dei comunisti, della British Invasion e di Mina, di Kubrick, della Vespa, della 500, di Carosello e di Celentano. Gli anni della contestazione studentesca e dell’uomo sulla luna, gli anni di Woodstock, delle droghe, della psichedelia e gli anni del Rock perché quegli anni sono le fondamenta solide su cui poggia tutta la musica (o quasi) che ascoltate oggi.

A scadenze non prefissate, Rockambula vi proporrà la sua Top Ten di determinate categorie e questa di seguito è proprio la Top Ten stilata dalla redazione in merito agli album più belli, strabilianti, influenti e memorabili usciti nel mondo nei mitici, impareggiabili anni 60. Nei commenti, diteci la vostra Top Ten!

1)      The Velvet Underground – The Velvet Underground & Nico

2)      Jimy Hendrix –   Are You Experienced

3)      The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band

4)      The Doors – The Doors

5)      Led Zeppelin – Led Zeppelin II

6)      Pink Floyd – The Piper at the Gates of Dawn

7)      Bob Dylan –   The Freewheelin’ Bob Dylan

8)      Led Zeppelin – Led Zeppelin

9)      David Bowie – David Bowie (Space Oddity)

10)   The Stooges – The Stooges

Vincono Cale, Reed e Nico con la loro banana gialla disegnata da Andy Warhol ma la presenza di Hendrix e The Stooges in Top Ten la dice lunga su quanto, a noi di Rockambula, piacciano le ruvide e sperimentali distorsioni dei mitici Sixties. Ovviamente non potevano mancare The Beatles, i re del Pop di quegli anni, presenti con uno dei loro capolavori assoluti, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band, mentre la scena Psych Rock, formidabile nei Sessanta, è rappresentata degnamente grazie all’esordio dei Pink Floyd con Syd Barrett ancora in grado di esserne l’anima e l’omonimo The Doors. Chiudono la lista uno dei più grandi cantautori mai esistiti con The Freewheelin’ Bob Dylan, il re del Glam Rock David Bowie e l’unica band capace di piazzare nei primi dieci posti ben due album, ovvero i Led Zeppelin.

Esclusi eccellenti, anche se citati dai nostri redattori, i Beach Boys con Pet Sounds, Frank Zappa, Captain Beefheart e, udite udite, i Rolling Stones.

Ora potete iniziare a urlare le vostre Top Ten!

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“Diamanti Vintage” Frank Zappa – Hot Rats

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Disco che fece saltare i già esplosivi fine Sessanta, la miccia accesa vicinissima alle polveri eccitate della controcultura americana, non ancora al massimo dei suoi fuochi d’artificio. Dopo la sbornia con le Mothers of Invention, Frank Zappa, il joker supremo di Baltimora, riforma la line-up della formazione, chiama a sé i violinisti Don “Sugar” Cane e Jean Luc Ponty, il mito Captain Beefheart, Underwood e una jungla di ritmiche e da vita agli Hot Rats e al primo album omonimo con questa nuova band pirica il boom non si fece certo aspettare, l’America perbenista non si sentì più al sicuro.

Distanziato di pochissimo dal precedente Uncle Meat, il disco è una geometria stralunata e ricca di etiche al contrario, un forgiato immaginario rock oltraggioso, contro a tutto, controcultura della controcultura, scene off e Living Theatre che riesumano vizi immacolati dell’underground appiccicandogli addosso particolarità oltre limite; un disco che -se rapportato con le produzioni antecedenti- porta le sue direttrici verso il mondo Jazz Progressive, mondo in cui Zappa sembra votato e in cui innesca un groviglio di sperimentazioni succulente che rimarranno nella storia, come il gioco di sax free che psichedelizza la speciale “The Gumbo Varations”, inno e bardo insuperato della prosopopea del cosmique zappiano.

Hot Rats è un progetto sostanzialmente sperimentale, con poche linee guida e molte infiltrazioni Bop, definizioni e termini sonori che si scavalcano a vicenda per dare fondo a un amalgama generale squisita e molto incentrata nel piacere di suonare un multistrumentale energetico che non ha precedenti, libero nelle partiture, anarchico nel cammino: fuori dei canoni e delle teste benpensanti il ghigno drogato di Beefheart in “Willie The Pimp”, la rilettura ammorbidita e molto freak di “Sons Of Mr. Green Genes” – già contenuta nel disco Uncle Meat – il viaggio alterato dei confini oppiati di Hammond e piano “Little Umbrella” o le ipotenuse scombussolate che “It Must Be A Camel” lascia a fine giro, come un arrivederci in una forma pura di allucinazione.

Zappa e gli Hot Rats in quel lontano 1969 saranno destinati a raccogliere i frutti di una meticolosa semina che tutt’ora è linfa, ispirazione e suoni di cui ogni band a venire non potrà mai farne a meno, come i dieci comandamenti, come l’ossigeno per vivere di musica e non solo.

 

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Pills Týden Patnáct (consigli per gli ascolti)

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“Le Pills non sono cattive. Le Pills sono musica. Il problema è quando quelli che ascoltano le nostre Pills le considerano una licenza per comportarsi come teste di cazzo.” Frank Zappa
Dalle novità extraconfine (su tutti il nuovo The Knife) proposte dal nostro Don, ad una mini carrellata storica targata Sannella. Dalla solita nuova scoperta della nostra Diana (stavolta svedese), sempre in crca di talenti nascosti, ad un classico tutto italiano proposto da Riccardo.

Silvio Don Pizzica
Mazes – Ores & Minearals   (Uk 2013)   Noise Rock     3/5
Come all’esordio, ancora psichedelia sporca in chiave Indie per la band britannica. Come all’esordio, il secondo lavoro dei Mazes non lascia intravedere niente di sensazionale, sotto ogni aspetto.
Dirk Serries – Microphonics XXI-XXV   (Bel 2013)   Ambient, Drone Music   3/5
L’artista belga riesce ad essere imprevedibile, qualunque cosa decida di fare. Questo lavoro ne è la riconferma. Tra atmosfere Ambient e droni elettrici e languidi, non potete perdervi l’ultimo capitolo della pseudo saga Microphonics. Sempre che non sia musica a voi indigesta.
The Knife – Shaking the Habitual    (Sve 2013)   Electronic, Experimental   3,5-4/5
Non per fare lo snob ma un po’ fa rabbia ascoltare tutto l’entusiasmo creato attorno a questa formazione considerando che da fine millennio a l’altro ieri la cagavano veramente in pochi. Oggi sembra la moda del momento ma in realtà, dietro a tutto questo, c’è un album fantastico che ha il merito di crescere ad ogni ascolto.

Max Sannella
Country Joe And The Fish – I Feel Like I’m Fixin’ To Die   (Can 1967)   Psichedelia    5/5
LSD e amori  incontrollati a cavallo di una psichedelica ottenebrante e a due passi dalla luna.
Culture Club  – Colour by Numbers  (UK 1983)   Pop Dance   3/5
Boy George e Soci strabiliano i dancefloor  internazionali con un mix di pop entravesti e calori jamaicani. Fanno centro!
The Cure – Wild Mood Swing    (UK 1996)   Dark Wave   4/5
Dalla “Generazione degli Sconfitti” i Cure di Smith si ricolorano di altre sfumature e promuovono un capitolo sonoro che cambia di non poco il loro status.

Diana Marinelli
Den Svenska Bjornstammen – Ett Fel Narmare Ratt   (Sve 2012)   Pop Techno   3/5
Cliccando a caso si può scoprire musica interessante come questa band svedese formatasi nel 2010 che miscela Pop, Techno e una puntina di Folk.

Riccardo Merolli
CSI – Linea Gotica    (Ita 1996)   Art Rock, New Wave    4,5/5
La migliore (post)rock band italiana di sempre incide un disco dalle tinte forti e sapori amari, l’inizio di una rivoluzione musicale che purtroppo in Italia non si può fare.

Marialuisa Ferraro
Smashing Pumpkins – Mellon Collie And The Infinite Sadness    (Usa 1995)   Rock    5/5
È semplicemente un must have, si presenta da solo, ma va assolutamente ripassato in cuffia di tanto in tanto, per sentire come la voce di Corgan si amalgami perfettamente con l’orchestrazione.
Half Japanese – Half Gentleman/Not Beasts    (Usa  1980 – Ristampa 2013)   Rock   3,5/5
Molto complesso etichettare con un genere questo lavoro: é un’esplorazione primitiva tra le matrici dei generi e le pulsioni ritmiche del reagire umano. Un disco cupo per molti aspetti, violento e crudo, che raramente cede il passo al puro godimento armonico-melodico.

Vincenzo Scillia
Iggy Pop & The Stooges – The Stooges    (Usa 1969)   Punk Rock    4,5/5
Il suono primitivo di un gruppo che è pura storia. “The Stooges” racchiude quel grandioso suono da garage che in tanti hanno seguito. Rispolverare questa perla è stato un vero privilegio.
Finntroll – Nattfodd    (Fin 2004)   Folk Metal    4/5
“Nattfodd” dei Fintroll è un simpatico disco che ha la capacità di farti immaginare di stare in mezzo agli abitanti del piccolo popolo. Tra fate, elfi, nani e troll vegliano più che mai i riff, le cornamuse ed il cantato in growl dei Finntroll. Una chicca di album.

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Arabeski Rock – Il Viaggio EP

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Finalmente, dopo tanto, sto finendo la pila di dischi che ho sulla mia scrivania. Lo so me la sto cercando ma ero a limite. Ascoltare tutto, dare il giusto tempo all’ascolto e  aver il capo redattore che pressa è sempre più complicato in un mercato musicale in cui l’indipendenza diventa un fattore di nodi, di connessioni, di riverbero nel web. Ma questi sono cazzi miei e ora non è tempo di soffermarmi, non è questo lo spazio. Scarto il prossimo EP, per le mani me ne capita uno che dall’aspetto ha poco a vedere con il rock!!! C’è una rovina in mezzo al deserto con un uomo in abiti tradizionali mediorientali che passeggia. Il solito superficiale! Unisco gli elementi che ho: un deserto, un arabo, un titolo, Il Viaggio e il nome della band Arabeski Rock. Potrebbe uscirci qualcosa di interessante, tipo mix di strumenti arabi miscelati ai classici strumenti rock o che ne so il solito bongo con qualche chitarra araba. Chi lo sa?! Mi ricordo ancora qualche anno fa quando lavoravo in un ristorante di cucina araba dove la proprietaria intratteneva il pubblico con concertino live e spettacoli di danza del ventre. Musica piena di vitalità ed energia che nella sua accezione più tradizionale richiama ad atmosfere riscaldate dal sole cocente che incendia la sabbia.Butto su l’album, vediamo che ci racconta. Il primo giro del primo pezzo, “Cargo”,  del primo album degli Arabeski non poteva non cominciare con un flauto ney, il tipico suono medio orientale che ti porta subito sul tappeto di aladin e ti fa pensare al deserto, ai cammelli, alle oasi. E bongo, anche se penso si chiami in un altro modo, d’accompagnamento che lascia spazio pian piano alla classica chitarra araba l’oud. Finora poco rock e molta tradizione araba. Ma di sottofondo si sente una chitarra elettrica che accenna ad un accompagnamento. Fiuuuù. Ma è ancora poco non riesco a sentire il rock. Forse è presto, sono solo alla prima track e molto probabilmente i componenti del gruppo saranno misti e avranno voluto sottolineare con la prima traccia il loro amore per la terra d’origine. Ma sono mie congetture, vado avanti. Non voglio usare neanche internet per saperne di più. Questo sarà un ascolto intimo. La seconda traccia, “Gnawa”, scivola anche lei nelle sonorità tradizionali della musica araba. E dal titolo, “Gnawa”. Chissà cos’è?! Aspetterò la fine per andarlo a cercare. A me serve rock! Dov’è il rock?! Non che per forza debba ascoltare rock o io abbia dei pregiudizi si chiamano loro Arabeski Rock e io adesso devo trovarlo. Ed è quello che sto cercando ora. Avanti. Prossimo pezzo “Le 2 Lune” e sorpresa intro alla Frank Zappa, a tratti psichedelica, progressive che sfocia in note orientali in un perfetto mood d’altri tempi. E qui il rock si sente!!! Sicuramente l’album si avvale delle collaborazione di molti artisti vista la quantità di strumenti che sto ascoltando nei vari pezzi.

La quinta track, “Tramonto nel deserto”ha un’intro che appunto ci fa viaggiare. Niente di più azzeccato nel titolo. “Lost in The Desert” è una song che soffia dal deserto e ti trasporta. E’ questo il potere degli Arabeski Rock. Lasciatevi trasportare tra le dune, tra le sonorità orientali e chitarre rock. L’album si chiude con tre pezzi, “Introspezione”, “Verso Chernobyl” e “Locanda” che concludono questo viaggio. Canzoni di riflessione. Come in ogni viaggio si torna verso casa e si pensa a ciò che è stato e a ciò che sta cambiando. Bello. Sicuramente un album diverso e coraggioso negli intenti. Le mie preferite “Gnawa” e “Le 2 Lune” ma quest’album merita di essere ascoltato lasciandosi andare senza pregiudizi perché quello che ci racconta è il sapore di una terra antica a noi distante a noi vicina. Però, forse, un po’ di rock inteso nell’eccezione più classica del termine manca ma vi posso assicurare che questo è un viaggio originale ed ambizioso.

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