Si chiamano Academy o più semplicemente TACDMY e sono una giovane band friulana danzereccia e promettente che miscela Phoenix, Digitalism, Daft Punk, Franz Ferdinand e The Strokes. Il 3 giugno è uscito il loro album di debutto Maning of Dance in contemporanea con la clip del primo singolo “Somebody Sometimes, realizzato da Ale degli Angioli (M+A) che è anche il video scelto questa settimana da Rockambula e che potrete vedere di seguito ed in homepage fino al prossimo sabato.
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Matinèe – These Days (singolo)
A volte è difficile credere che un gruppo o un artista italiano che non sia una Laura Pausini o un Eros Ramazzotti trovi fama abbondante oltralpe. I Matinèe sono fra i pochi eletti che ce l’hanno fatta riuscendo ad aprire i concerti di The Lumineers, Doughter, Mistery Jets e Futureheads senza mai sfigurare e tenendo alta la bandiera dell’Italia musicale. Nel loro curriculum possono persino vantare esibizioni dal vivo in tutti i live clubs londinesi più importanti per le giovani band come il 100 Club e un’apparizione alla Death Disco Night di Alan McGee (fondatore della Creation Records e scopritore degli Oasis). Il nuovissimo singolo “These Days” è stato realizzato con la collaborazione di Chris Geddes dei Belle&Sebastian alle tastiere sotto gli occhi e le orecchie attenti del produttore Tony Doogan (già al lavoro con Mogwai, Carl Barat dei Libertines e Glasvegas). Il sound della band appare molto più maturo rispetto a quello degli esordi, in cui persino i Franz Ferdinand si accorsero di loro ospitandoli ad un loro concerto italiano.
Le chitarre sono molto più incisive, con i loro riff accattivanti che si incastonano alla perfezione col drumming preciso del batterista e con la voce del cantante. In poco più di duecento secondi è condensata tutta l’essenza e la purezza del Brit Pop più eclatante ed anche quella del Rock indipendente inglese, perché le radici del gruppo sono sì italiane ma ormai i Matinèe sono a tutti gli effetti trapiantati nel Regno Unito. La canzone si presta molto all’ascolto ed è facile immaginare che verrà trasmessa anche sulle frequenze delle principali stazioni radiofoniche e sarebbe bello quindi se i Matinèe riuscissero a spopolare anche qui da noi. Noi di Rockambula facciamo il tifo per loro, consci di poter scommettere su una futura promessa del Rock Italiano. Mi rimane solo da chiedermi se la loro prossima hit sarà cantata nella lingua di Dante o in un inglese perfetto quale quello esibito da Luigi Tiberio (che nel gruppo suona abitualmente anche synth e chitarra) e da Alfredo Ioannone che è tra l’altro anche un ottimo bassista.
The Foreign Resort – New Frontiers
Fino a venti anni fa, in piena epoca Grunge ed Alternative Rock, orde di capelloni, depressi e disillusi in camicia di flanella e jeans strappati si accanivano ferocemente contro tutte quelle sonorità fredde e look da fighetto che rappresentano a tutto tondo quel caleidoscopico calderone denominato Post Punk o New Wave che dir si voglia. Dai primi anni Zero, grazie al successo di gruppi quali Interpol e Franz Ferdinand, è avvenuto un vero e proprio revisionismo storico nei confronti della “Nuova Onda” che ha attraversato il panorama musicale dal 1978 al 1983, regalandoci gemme che risplendono prepotenti ancora oggi nel firmamento Rock. La rivalutazione di tanto spessore e la continua citazione da parte di band emergenti sta rendendo nauseante e borioso il magnetismo oscuro di un’era artistica così estrosa, sia nei costumi e nel make-up, quanto permeata da un nichilismo e da un senso di disgregazione che ha fatto le sue vittime (Ian Curtis e Adrian Borland su tutti).
I Foreign Resort sono un trio originario di Copenaghen, vero e proprio cuore nero d’Europa (basti pensare agli Ice Age), attivi sin dal 2009 e composto da Mikkel B. Jakobsen (chitarra e voce), Henrik Fischlein (chitarra e basso) e Morten Hansen (batteria e voce). Sfornano questo New Frontiers imbastendo un flusso sonoro carico di velata malinconia e di fantasmi mai svaniti che ormai è divenuto un cliché dal sicuro impatto sul pubblico anche se annoia brutalmente. Mikkel. voce e penna della band, strizza l’occhio a Robert Smith con quel cantato affogato e lontano per tutte e nove le tracce; musicalmente domina la ritmica funerea dei Joy Division , condita ora con elementi Synth Wave tanto cari ai Depeche Mode quanto ai Cocteau Twins, ora da sferragliate di feedback nella migliore tradizione Shoegaze (My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain). Per quanto i riferimenti ai fasti del passato siano gloriosi, si finisce per essere risucchiati da un vortice tedioso e stucchevole; al massimo cercate un po’ di brio nello spedito Post Punk a tinte epiche della titletrack.
Franz Ferdinand
Alle volte per me è inevitabile associare certi concerti ad una gravidanza. So che con questa affermazione rischio la morte per decapitazione da parte di tutte le donne che hanno passato ore ed ore in sala travaglio, ma abbiate pietà di me e delle mie libere associazioni, che in questo caso fanno riferimento principalmente al sentimento dell’attesa che governa entrambi gli eventi. Compri un biglietto, aspetti per nove interminabili mesi l’arrivo del concerto, consapevole che in quel lasso di tempo può davvero succedere di tutto. Poi il giorno del concerto quasi per magia arriva, e ti trovi improvvisamente catapultato in un Regionale Veloce con destinazione Milano, dove ti aspettano i tuoi compagni di numerose battaglie; quelli forti, valorosi e temerari, che non si spaventano nemmeno all’idea di dover passare una notte da barboni nella stazione di Milano Centrale per andare direttamente a lavoro l’indomani freschi, riposati e soprattutto profumati, per la gioia dei colleghi. Per fortuna la sorte non ci è stata così avversa: il nostro “sopporter” ufficiale avrà pietà di noi ancora una volta e ci riaccompagnerà a casa. Dopo aver sbagliato treno alla fermata Famagosta (ma secondo voi potevamo farci mancare anche questo tipo di emozioni?), arriviamo finalmente al Forum Assago per essere letteralmente assaliti, sin dalla banchina della metro, da un numero incalcolabile di bagarini che offrono biglietti a prezzi modici e stracciati (a detta loro), tanto che mi chiedo se sono l’unica scema ad averlo comprato. Sono le 21.00, il Forum è pieno, ma dei Franz Ferdinand nemmeno l’ombra. Dal palco, l’occhio stampato sul fronte del cd Right Thoughts Right Words Right Action, riproposto sulla grancassa della batteria, ci osserva: uno sguardo divino sulle nostre esistenze? Un Grande Fratello che ci scruta dall’alto? Non lo sapremo mai. Noi lo interpretiamo come un occhio severo che, pur senza proferire verbo, è capace di farci arrivare un cazziatone interiore che dice più o meno “Che cazzo ci fate ancora senza birra in mano?”. Tranquillo occhio sulla grancassa, provvediamo subito.
Con una birra in mano le 21.30 arrivano senza problemi, e finalmente si comincia. I Franz Ferdinand si palesano in tutto il loro splendore sul palco. Alex Kapranos guadagna la posizione centrale, ed io lo amo già solo per la sua giacca di pelle, per il suo modo di saltellare sul palco e per come dice “Buonasera Milano”. La scenografia retrostante non è di grandi pretese, ma essenziale: uno schermo centrale e due grandi schermi laterali per proiettare immagini, luci ed effetti. Si comincia con “Bullet”, dall’ultimo album, e si prosegue con pezzi degli album precedenti, per un mix letale tra vecchio e nuovo. Tutto procede a meraviglia, l’energia che si sprigiona è tanta, come da previsioni: dentro, fuori e intorno è tutto un gran saltare. Intuisco l’arrivo di “Do You Want To” e mi preparo ad una carica nelle ginocchia da salto sulla luna, ma stranamente il ritmo rallenta, e così accade anche per “Walk Away”. Mi sa tanto che ci toccherà preservare l’energia potenziale per il seguito. Infatti a partire da “Take me Out”, seguita da “Love Illumination”, sarà uno scatenarsi di emozioni, voci e mani al cielo senza tregua, che solo “Jacqueline” e “Goodbye Lovers and Friend” riusciranno a mettere a freno, lasciandoci intravedere in controluce la fine del concerto. Mentre canto Goodbye lovers and friends, so sad to leave you, when they lie and say this is not the end… la mia voce si unisce a quella di altre “millemila” voci, ma mi ritrovo infine abbracciata a coloro che poco prima in metro mi facevano ridere in una maniera così spensierata, e penso che no, non ci dovrebbe mai essere una fine a tutto questo; non dovrebbe mai avere fine la Bellezza.
The Monkey Weather – The Hodja‘s Hook
Se i The Monkey Weather fossero nati in Gran Bretagna probabilmente li vedremmo in cima a tutte le classifiche scalzando dal podio artisti quali Franz Ferdinand, Arctic Monkeys e Kasabian da cui traggono spesso ispirazione pur mantenendo quella componente Punk n’ Roll che li caratterizza e li distingue dai loro più affermati colleghi. The Hodja‘s Hook è il secondo disco dei The Monkey Weather, che segue a due anni di distanza l’esordio bomba Apple Meaning e che contiene undici canzoni che testimoniano lo stato di grazia di una delle più divertenti Indie Rock band del nostro Paese. Probabilmente non eravamo di fronte a una band così ben assemblata proveniente dal Piemonte sin dai tempi degli esordi dei Marlene Kuntz che con l’album Catartica portarono una ventata di novità all’intero panorama musicale italiano troppo appiattito dai picchi cantautoriali e dalla filodiffusione delle radio “commerciali”.
Che la band si sia formata dopo un viaggio a Liverpool sulle orme dei The Beatles nel 2010 appare evidente sin dalle prime note di “Let’s Stay up Tonight”, dove il batterista Miky The Rooster “dà il La” ai suoi colleghi Jolly Hooker (chitarre e voce), Paul Deckard (basso e voce). Tanta energia e tanto sudore speso nella scrittura di tutti i brani sono evidenti anche in “Sometimes” e “Lies”, brani antitetici per caratteristiche sonore ma dalla qualità eccelsa. Le voci di Jolly Hooker e Paul Deckard sono certamente molto diverse fra loro ma ciò permette loro soluzioni assai varie e gradevoli all’ascolto. Del resto i The Monkey Weather avevano già dimostrato il loro valore durante i live spesso persino accanto a nomi quali The Vaccines, Linea 77, LnRipley, Pan del Diavolo, The Fire e tanti altri. Durante i quasi quaranta minuti dell’album trova persino spazio un’inaspettata ed alquanto insolita cover di “Firestarter”, brano contenuto nel disco The Fat of the Land che spalancò le porte del successo mondiale ai The Prodigy nel lontano 1997. L’unico rimprovero che si possa fare alla band è nei titoli, dai nomi troppo “classici” (“Sometimes” ad esempio era una hit mondiale degli Erasure!) ma i The Monkey Weather, ruvidi quanto gli Stooges di Iggy Pop e raffinati quanto i Blur, hanno fatto della semplicità e dell’immediatezza le loro migliori armi a disposizione. Un’altra (ennesima) grande produzione a nome AmmoniaRecords che certamente non vi deluderà!
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The Wows – War on Wall Street
Non è facile capire quanto sia da considerarsi pregio o difetto il possedere o proporre un sound per nulla figlio della propria terra, della società che ci ha cullati e cresciuti, della musica che s’incarna nella parola “italia”. Forse ad alcuni parrà una specie di negazione delle proprie radici, un modo per prendere le distanze, forse per convenienza e opportunismo, da qualcosa che fa parte di tutti, ma non da tutti è accettato di buon grado. Tuttavia le nostre fondamenta, specie quando si parla di musica, i principi che stanno alla base della formazione di ogni ragazzo che si cimenta con pelli e corde e microfoni non sempre sono gli stessi che tengono saldo il paese a una tradizione cantautorale che oltretutto rischia di generare un’eterna ripetizione degli stessi cliché. Ognuno di noi ha le sue origini in ciò che ha amato, in ciò che l’ha fatto diventare quello che è e l’ha spinto ad amare quello che ama e in un’epoca in cui, tra internet e tv, le barriere di spazio e tempo sembrano solo illusioni, le radici possono anche essere lontane tanto quanto dista Sheffield da Verona.
Proprio cosi, nella musica degli italianissimi The Wows non c’è davvero nulla della tradizione cantautorale italiana e pochissimo anche della scena alternativa anni 90 tricolore se si esclude la voce di Paolo Bertaiola che ogni tanto tradisce una pronuncia che, se non imperfetta (questo può dirlo solo un madrelingua o un docente di lingua inglese), quantomeno suona strampalata, dissomigliante da quello che solitamente si ascolta dalle corde vocali dei singer d’oltremanica. Impossibile non richiamare alla mente le dinamiche più garage degli Arctic Monkeys (“Bad Habit”, “You Are the Target Market”) ascoltando questo War on Wall Street cosi com’è difficile non ritrovare nelle ritmiche danzereccie e Rock al tempo stesso lo stile Franz Ferdinand (“Model Soldier”). Qualche richiamo all’Atmospheric Sludge dei Neuroris e allo Stoner più introspettivo (“Harlot’s House”, “Thinking of Business”, “A Fool’s Parade”) si ha negli intermezzi meno spinti e l’America è anche omaggiata in alcune note inserite qua e là e nei passaggi più aggressivi (“Nice Day”) e Folk (“Walls”) ma si tratta di vaghi cenni di qualcosa di meno ostentato di quello che vorrebbero far sembrare perché il nucleo, l’anima è innegabilmente nella Gran Bretagna di fine e nuovo millennio dei già citati (e non), spesso ai limiti del plagio (“Mr. Maginot”). Oltre che tanto Garage Rock Revival, The Wows non si fanno mancare armonie più datate, vicine al Post Punk ma anche alla New Wave (“Thinking of Business”) che non fanno che confermare la loro anima internazionale.
Paolo Bertaiola (voce), Marco Bressanelli (chitarra), Matteo Baldi (chitarra), Fabio Orlandi (batteria) e Pierluca Esposito (basso) vengono da Verona ma la loro musica giunge da molto più lontano, nel tempo e nello spazio e se non vi riuscirà di trovare niente di troppo originale, se nelle loro canzoni non vi parrà di scorgere nulla che non avreste potuto trovare fatto in maniera migliore da qualcuno dei più illustri colleghi britannici e statunitensi, se le chitarre sembreranno scimmiottare senza troppa efficacia e le ritmiche ripetersi con poca scaltrezza, ascoltate comunque il loro War on Wall Street perché un paio di brani quantomeno vi faranno muovere il culo a tempo di Rock e di questi tempi non è niente male.
Franz Ferdinand – Right Thoughts, Right Words, Right Action
In agosto l’Italia generalmente si ferma e tutti si dedicano a giornate oziose distesi come pelli di leopardo su spiagge, lettini, materassini e chi più ne ha più ne metta, mentre gli instancabili scozzesi Franz Ferdinand si preparavano a sparare fuori un nuovo attessissimo album. Nel mentre orde di fan con le fauci spalancate dal 2009, oramai asciutte dalla tanta attesa, hanno divorato con bramosia i furbeschi teaser lanciati dai quattro, secondo collaudate tempistiche discografiche. Tutto questo rumore per la quarta fatica del gruppo che già nel titolo si anticipa proverbiale Right Thoughts, Right Words, Right Action. Avranno davvero pensato, parlato e agito nel modo giusto i genietti dell’Indie Rock?A sentire le dieci tracce sembrerebbe proprio che a Glasgow abbiano imparato a mettere il proverbiale gatto nel sacco infilando uno dietro l’altro una serie di pezzi cuciti alla perfezione addosso. Come dire facciamo quello che sappiamo fare nulla di più, ma lo facciamo alla grande. Né è riprova la marcia indietro rispetto al precedente Tonight lascianado solamente ai posteri i giochetti elettronici e le ambientazioni New Wave e ai dj da night life le versioni Dub. L’inizio ti stende con tre semplici mosse da cintura nera, “Right Action”, prima nota e subito vorresti amare Alex Kapranos non solo per il suo accento scozzese. “Evil Eye”, quando la rivisitazione supera ogni aspettativa e un riff da pellicola horror riesce a diventare un brano dissacrante al punto giusto, irriverente, disconnesso con punte splatter e patina anni 70 accompagnato da un video non adatto ai deboli di stomaco. “Love Illumination” ammalia con un sound che ammicca, grazie alla presenza dei synth ai ritmi da dance hall, capace di infilarsi subdolamente nel cervello per non mollarlo più per ore e ore. Batteria dritta, chitarre in levare sembre di ascoltare il manuale dell perfetto indie rocker scritto su pentagramma. Dopa aver sudato saltellando a ritmo serrato si viene catapultati nel mondo Brit Pop, dalle punte dei capelli fino alle punte dei calzini, di “Stand On The Horizon”, nonostante qualche coretto di troppo che sopportiamo per affezione. Saremo anche in scozia, ma Damon Albarn e compagni fanno scuola anche da quelle parti. Giusto verso la metà dell’album, come per l’ora del te ci prendiamo un momento di relax per concederci uno sguardo romantico con gli occhioni melanconici che guardano fuori da un finestrino striato dalle gocce di pioggia, assaporando il gusto di “Fresh Strawberries”. Il momento mattone finisce presto e subito torniamo ad agitare il bacino e le gambette con “Bullet” e “Treason! Animals!” che passano veloci con riff solari e ritmati. Rock ballabile ecco la definizione calzante che sta alla base del sound di quest’ album. Siamo rocker ma non per questo rinunciamo al momento intimistico, l’anima del musicista che si apre e immancabile serpeggia tra le note con la voce di Alex che si fa leggera e sussurrata tra una riflessione sull’universo che si espande e un incontro frugale, così uno dietro l’altro in un ordine prestabilito “The Universe Expanded” e “ Brief Encounters” fanno pensare a un ossimoro, intelligenti questi Franz Ferdinand. Siamo alla fine, ai saluti finali con “Goodbye Lovers & Friends”. Brano enigmatico soprattutto per i separatisti che intravedono un velato, e non più di tanto messaggio di congedo. Sono il futuro saprà dirci. Per il momento ci godiamo quest’album con il quale i quattro di Glasgow hanno fatto centro. La mossa vincente è stata ritornare alle sonorità che li hanno resi celebri in tutto il globo abbandonando eccessivi sperimentalismi. Senza dubbio l’assenza dalle scene per un tempo così ampio ha creato grande attenzione intorno a questo album e al tempo stesso a fatto crescere quel vuoto di presenza che necessitava di essere colmato e che ha in qualche modo spianato la strada a Right Thoughts, Right Words, Right Action. Ora per la sacra consacrazione manca sola la controprova live, ma per quella a noi poveri italiani tocca aspettare ad aprile. Stay tuned direbbe qualcuno.
Franz Ferdinand in Italia!
Franz Ferdinand in Italia dal vivo! Dopo un’attesa lunga quattro anni sono tornati con il nuovo album, per Nme il miglior disco della band, e una unica data, il 3 aprile al Mediolanum Forum di Assago.
In vendita dalle ore 10.00 di venerdì 13 settembre su Ticketone.it, dalle ore 10.00 di sabato 14 settembre nei punti vendita Ticketone e dalle ore 10.00 di venerdì 20 settembre in tutte le altre prevendite autorizzate.
Il nuovo album dei Franz Ferdinand in pre-ascolto!
Right Thoughts, Right Words, Right Action è da oggi disponibile per un’anteprima. Il disco, annunciato dal singolo Love Illumination, può essere ascoltato qui.
Su Rockambula in diretta gratuita il Rock en Seine. Parquet Courts.
Grazie alla partnership tra Rockambula e Dailymotion, abbiamo la possibilità di non farvi perdere un secondo alcuni dei momenti più importanti del grande festival Rock en Seine, che inizierà proprio oggi con il concerto degli Alt-J alle 19:45 e si protrarrà per tre giorni.
Il grande appuntamento con il meglio del Rock, giunto all’undicesima edizione quest’anno, richiama un pubblico di oltre centomila fan, che non aspetta altro che di poter raggiungere il Domaine National di Saint-Cloud nella periferia parigina per viversi un weekend all’insegna della musica e dell’arte. Il famoso parco di Château ed i suoi quattro palchi sono pronti ad ospitare stavolta artisti del calibro di Franz Ferdinand, Phoenix, Nine Inch Nails, Eels, System of a Down, Alt-J, V V Brown e Johnny Marr.
La nostra collaborazione vi permetterà di seguire in diretta direttamente da questa pagina alcune di queste esibizioni. In particolare:
Domenica 25 agosto p.v. alle ore 18.45 Parquet Courts
Buon ascolto da Rockambula e Dailymotion.