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Iggy Pop – Every Loser

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“Vorrei che Iggy fosse morto”.
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The Wows – War on Wall Street

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Non è facile capire quanto sia da considerarsi pregio o difetto il possedere o proporre un sound per nulla figlio della propria terra, della società che ci ha cullati e cresciuti, della musica che s’incarna nella parola “italia”. Forse ad alcuni parrà una specie di negazione delle proprie radici, un modo per prendere le distanze, forse per convenienza e opportunismo, da qualcosa che fa parte di tutti, ma non da tutti è accettato di buon grado. Tuttavia le nostre fondamenta, specie quando si parla di musica, i principi che stanno alla base della formazione di ogni ragazzo che si cimenta con pelli e corde e microfoni non sempre sono gli stessi che tengono saldo il paese a una tradizione cantautorale che oltretutto rischia di generare un’eterna ripetizione degli stessi cliché. Ognuno di noi ha le sue origini in ciò che ha amato, in ciò che l’ha fatto diventare quello che è e l’ha spinto ad amare quello che ama e in un’epoca in cui, tra internet e tv, le barriere di spazio e tempo sembrano solo illusioni, le radici possono anche essere lontane tanto quanto dista Sheffield da Verona.

Proprio cosi, nella musica degli italianissimi The Wows non c’è davvero nulla della tradizione cantautorale italiana e pochissimo anche della scena alternativa anni 90 tricolore se si esclude la voce di Paolo Bertaiola che ogni tanto tradisce una pronuncia che, se non imperfetta (questo può dirlo solo un madrelingua o un docente di lingua inglese), quantomeno suona strampalata, dissomigliante da quello che solitamente si ascolta dalle corde vocali dei singer d’oltremanica. Impossibile non richiamare alla mente le dinamiche più garage degli Arctic Monkeys (“Bad Habit”, “You Are the Target Market”) ascoltando questo War on Wall Street cosi com’è difficile non ritrovare nelle ritmiche danzereccie e Rock al tempo stesso lo stile Franz Ferdinand (“Model Soldier”). Qualche richiamo all’Atmospheric Sludge dei Neuroris e allo Stoner più introspettivo (“Harlot’s House”, “Thinking of Business”, “A Fool’s Parade”) si ha negli intermezzi meno spinti e l’America è anche omaggiata in alcune note inserite qua e là e nei passaggi più aggressivi (“Nice Day”) e Folk (“Walls”) ma si tratta di vaghi cenni di qualcosa di meno ostentato di quello che vorrebbero far sembrare perché il nucleo, l’anima è innegabilmente nella Gran Bretagna di fine e nuovo millennio dei già citati (e non), spesso ai limiti del plagio (“Mr. Maginot”). Oltre che tanto Garage Rock Revival, The Wows non si fanno mancare armonie più datate, vicine al Post Punk ma anche alla New Wave (“Thinking of Business”) che non fanno che confermare la loro anima internazionale.

Paolo Bertaiola (voce), Marco Bressanelli (chitarra), Matteo Baldi (chitarra), Fabio Orlandi (batteria) e Pierluca Esposito (basso) vengono da Verona ma la loro musica giunge da molto più lontano, nel tempo e nello spazio e se non vi riuscirà di trovare niente di troppo originale, se nelle loro canzoni non vi parrà di scorgere nulla che non avreste potuto trovare fatto in maniera migliore da qualcuno dei più illustri colleghi britannici e statunitensi, se le chitarre sembreranno scimmiottare senza troppa efficacia e le ritmiche ripetersi con poca scaltrezza, ascoltate comunque il loro War on Wall Street perché un paio di brani quantomeno vi faranno muovere il culo a tempo di Rock e di questi tempi non è niente male.

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