Online su youtube il nuovo video de Lo Stato Sociale del singolo “Io, Te e Carlo Marx”, terzo estratto dall’album L’Italia Peggiore (Garrincha Dischi). La band ce lo racconta così: “Uolli, il regista, è un matto. L’avevamo capito dopo aver visto il suo clip ‘Vamos a la Islanda’ e così gli abbiamo lasciato carta bianca. Volevamo una cosa dal sapore homemade, con un set che coinvolgesse tanta gente, ci piaceva l’idea di andare a girare il video in Friuli, a Udine, dove Lodo ha studiato per tre anni e dove si mangia il frico, dove il bianco lo bevi al posto dell’acqua e i ruscelli attraversano la città. Magari ne facciamo altri, magari in Islanda“. (Lo Stato Sociale)
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“Ho Visto un Nazipunk sul Tram”, anteprima del nuovo disco de L’Officina della Camomilla.
In attesa del nuovo disco de L’Officina della Camomilla, Senontipiacefalostesso Due, in uscita il 4 novembre per Garrincha Dischi, la band ha rilasciato in anteprima una nuova traccia tratta dall’album, dal titolo “Ho Visto un Nazipunk sul Tram”. Il disco come sarà?
Chewingum – Nilo BOPS (recensioni tutte d’un fiato)
In questi giorni mi sono perso in lunghe discussioni sul valore di una recensione e, parallelamente, sulle caratteristiche che rendono l’indie pop italiano un genere cosi prendere o lasciare, “o lo ami o lo odi”. Perché vi dico questo? Perché i Chewingum fanno un album secondo me godibile, divertente, sentito, “di pancia”, in 11 canzoni che stanno tra electro-funk e pop bagnatissimo, testi nonsense spalla a spalla con liriche perfette e dolci come un’alba sul mare, atmosfere eteree e follie senza capo né coda, con una voce che mi si incolla in testa e non se ne va più. Ce ne sono tanti in giro così, lo so, ma rimane un disco che si lascia ascoltare (e ricordare). So anche che molti di voi, a leggere queste righe, faranno una smorfia disgustata: ma mettetevi il cuore in pace, è una recensione, e come spesso accade, l’oggettività si perde dopo i primi quattro aggettivi.
ManzOni – Cucina Povera
“Ho sudato tanto per far sudare meno mio figlio. Ora, nell’era dei numeri soli con gli zero davanti, lui sa tutto sul comunismo, io so che se sarà fortunato avrò il mio posto”. Questo è quello in cui si barcamenavano i nostri padri, le loro illusioni, sgomenti e realtà spogliate dalla falsità dei luoghi non comuni, anzi spesso mai accostati nemmeno col pensiero. “Cucina povera” è il racconto, i racconti della provincia umile e sottoposta ai riflettenti sguardi del coraggio, ed è il disco di Luigi Tenca e i ManzOni, la formazione veneta che giunge al secondo lavoro ufficiale, una prosaica sequela di stati pensierosi e stranianti che fanno, e lo sono, filo conduttore di una fascinazione opaca e grigia, di quella poetica descrittiva alla Olmi della cinematografia, tracce in cui compaiono come fantasmi ricorrenti le vocalità di un Ciampi, qualcosa dei Madrigali Magri e un fitta nebbia o caligine a seconda dal punto di ascolto, un ascolto che si fa attento al passaggio crepuscolare di questa verginità rozza e magnificente.
Un’ottica secca come un rubinetto d’estate, un voce scandaglia storie di non-lavoro, scarsa salute o per niente, la noia, il deliquio, l’essere padrone di niente ed essere niente sotto un padrone, nove tracce ossessive e amare che, come in un rosario laico, fanno novena sociale ed umana, chitarre, fruscii, meccaniche industriali, rumori ripetuti a ritmo incostante fanno la gloria del registrato, una sonorizzazione off che cammina nei borders dell’anima e di una fisicità emaciata e malata; con Tenca, contribuiscono a colorare di fuliggine questo bel disco Ummer Freguia, Fiorenzo Fuolega, Carlo Trevisan ed Emilio Veronese, e quello che hanno messo dentro questa tracklist è alta narrazione neo-realista, una fluida scheggia di vetro tagliente che scaglia armoniche sensazioni Ferrettiane “Dal diario, a mia madre”, “Scusami”, arpeggia acusticamente tra le volte trasparenti di un Paolo Capodacqua “Una garzantina” o si perde galleggiando tra le architetture celestiali alla Steve Howe e dei suoi pindarici voli di corde “Dimmi se è vero”.
Rimane la “ricca” crudezza di un disco che fruga tra le macerie dell’esistente, dello ieri e dell’oggi, scava come una macchina della verità su chiazze di sangue rappreso e di nuove gocce che ne prendono il posto, tracce che “tracciano” non righe da seguire, ma vene turgide che chiedono perdono per la forte e drammatica voglia che hanno di scoppiare.