Giorgio Canali Tag Archive

Metropolis, il nuovo concept album degli Albedo

Written by Senza categoria

Uscirà il 16 marzo in digitale e Cd per etichetta Massive Arts (Fratelli Calafuria, Nadar Solo) e free download per V4V-Records, Metropolis, il quarto disco degli Albedo reduci dal successo di Lezioni di Anatomia (V4V-Records 2013). Metropolis è il quarto disco in studio degli Albedo. Il titolo è un tributo al capolavoro omonimo di Fritz Lang, capostipite della fantascienza al cinema. Metropolis si sviluppa infatti come un racconto, una sorta di moderna Odissea, ambientato nel futuro, in rigoroso ordine cronologico e narrato in prima persona. È la storia di un allontanamento obbligatorio, di un viaggio oscuro dalle terre di origine del protagonista, devastate dalla povertà e dalla miseria, verso un grande agglomerato urbano, Metropolis appunto, alla ricerca di una via d’uscita, di un modo per reagire, per cambiare il proprio destino dettato da una ancestrale profezia. La spinta al benessere materiale, negli anni, tocca territori più profondi nello spirito dell’io narrante, che avvia una disperata ricerca di se stesso: “Chi sono io? Da dove vengo?” Queste domande sorprendono per la loro spiazzante semplicità ma sono solo il principio di una feroce analisi di una civiltà distratta, meccanizzata e spersonalizzata, senza più un Dio a dare conforto o in cui credere, espressa dal punto di vista del protagonista, innocente, puro, giacché giunge da un luogo lontano, diverso e distante dall’inumana Metropolis. Un racconto nel futuro proiettabile a ritroso, nel presente, che attraverso il linguaggio della metafora, riferimento continuo nella poetica della band, svela e analizza vizi e perversioni dei tempi di oggi”.

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La Band della Settimana: Laika Vendetta

Written by Novità

Il progetto Laika Vendetta nasce ad Alba Adriatica (TE) nel Luglio 2011 e inizia a farsi strada nel panorama emergente italiano. Con Laika, Silvia, Jeanne e…le Altre, album autoprodotto, raccolgono un buon consenso di critica e pubblico, passaggi radio su emittenti come Radio Delta 1, Radio Onda D’Urto, Virgin Web Radio e molte altre ancora. Date e collaborazioni con artisti come Paolo Benvegnù, Iosonouncane, Aucan, Sick Tamburo, Giorgio Canali, Niccolò Fabi, Rezophonic, Management del Dolore Post-Operatorio, Niccolò Carnesi e altri ancora. Premiati in diversi Festival come MW Festival 2011, Gulliverock 2012, Free Tribe 2012, Sotterranea 2013, i Laika Vendetta sono una band dove la tensione “si crea tra la poesia decadente dei testi da una parte, e il vitalismo e l’ aggressività della musica dall’altra” (cit. Suono). A febbraio 2013 entrano in studio con Manuele “Max Stirner” Fusaroli (produttore di Tre Allegri Ragazzi Morti, Teatro degli Orrori, Zen Circus, Management, Nobraino, Criminal Jokers, etc). Registrano Elefanti in Fuga, pubblicato a Febbraio 2014 per il collettivo artistico LA NOIA, un disco che si pone da una parte come una critica ai valori professati dalla società dei consumatori, dove la felicità è stata sostituita dal possesso, dall’altra come una spinta vitale a ricercare un Sé più profondo.

Freschi vincitori della seconda edizione di Streetambula Music Contest, sono loro la nostra nuova band della settimana

Sito Ufficiale

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La Noia Collettiva: La compilation di beneficenza [STREAMING]

Written by Anteprime

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Il collettivo artistico La Noia traccia un primo report dell’iniziativa benefica “La Noia Collettiva”, la compilation che ospita al suo interno tanti nomi della scena musicale indipendente italiana (tra cui: Tre Allegri Ragazzi Morti, Linea 77, Giorgio Canali, Nobraino e Management del Dolore Post-Operatorio) con il fine di raccogliere fondi per importanti interventi in Burkina Faso. Un’idea avviata nel dicembre 2013 e che oggi si accresce con nuovi importanti partner: Audiocoop, l’associazione di categoria rivolta a discografici, editori, produttori indipendenti ed artisti, Produzioni dal Basso, tra le principali piattaforme di crowdfunding in Italia, e due importanti webzine d’informazione culturale e musicale: Rockambula e Radiocorsara. La compilation di beneficenza sarà inoltre presentata in occasione del prossimo MEI 2014 (Meeting delle etichette indipendenti, 26 – 27 – 28 settembre, Faenza).

Produzioni dal Basso

Report sull’andamento della compilation

 

1. Don Vito e i Veleno – La vita è un videogame (I)
2. Tre Allegri Ragazzi Morti – La tatuata bella (E)
3. Management del dolore Post Operatorio – La Pasticca Blu (E)
4. Laika Vendetta – Le tue fobie (I)
5. Giorgio Canali – Rossocome (E)
6. Dieci Unità Sonanti – Con tutta calma (I)
7. Kutso – Via dal Mondo (E)
8. Majakovich – Giro di vite (E cover)
9. Giovanni Truppi – 19 Gennaio (E)
10. Nobraino – Le leggi del mercato universale (E)
11. Ilenia Volpe – Preghiera (E)
12. Gabriele Deriu – Carcasse (I)
13. Sikitikis – Hey tu! (E)
14. Alcova – Adelheid (I)
15. Linea 77 – Un uomo in meno (E)
16. At The Weekends – Eastern Lights (E)
17. The Cyborgs – My sharona (E – cover)
18. Train to roots – Mommy’s Boy Gangsta (I)
19. Cosmetic – La cura (demo version) (R )
20. Unorsominore – Ci hanno preso tutto (E)
21. Adji – Pleure d’une femme (E)

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Le Luci della Centrale Elettrica – Costellazioni

Written by Recensioni

È difficile scrivere una recensione di questo disco. Forse perché non stiamo parlando davvero di UN disco, ma di dischi, al plurale. E poi stiamo parlando di Vasco Brondi, che, volenti o nolenti, è stato considerato una voce di punta della fantomatica leva cantautorale degli anni zero. Da questo disco (il terzo) ci si aspetta qualcosa, fosse anche il proseguimento della continuità che c’era tra i primi due, ma più realisticamente si spera in un’evoluzione, un passo avanti nel percorso artistico de Le Luci della Centrale Elettrica. E quindi? Andiamo con ordine. Prima di tutto va detto che il disco è un disco denso. Non è un disco facile da esplorare. Alcuni episodi sono magari più accessibili del solito, ma si ha bisogno di tempo per entrare in tutti i dettagli, e anche scrivendo questa recensione continuo a scoprire cose e a rendermi conto di particolari prima inosservati. Questo fatto è strettamente collegato a ciò che accennavo più sopra: I dischi, non IL disco. Costellazioni (così ammette lo stesso Vasco) ha avuto una genesi travagliata, prima scritto e arrangiato “al computer” con Federico Dragogna dei Ministri, poi registrato in studio con una pletora di (peraltro ottimi) musicisti, ottenendo in pratica due dischi distinti, che in seguito sono stati “fusi” per creare questo prodotto ibrido, che Vasco sente suonare come “canzoni dalla pianura padana lanciate verso la galassia, storie piccole ma che si vedono anche dalla luna”. È un disco in cui convivono tante anime diverse, dove Vasco si è divertito a inseguire i tanti suoi gusti e punti di riferimento (CCCP e Battiato su tutti), dove ha sperimentato cose mai tentate prima (testi narrativi, più focalizzati; il cantato, che prima era esclusivamente parlato o urlato, diventa in alcuni casi più melodico; la chitarra viene spesso relegata in secondo piano, e sostituita con pianoforti, beat elettronici, oceani di synth, archi, fiati). Abbiamo quindi “I Sonic Youth”, una dolce ballata per pianoforte, elettronica e voce, ma anche “Firmamento”, elettrica e aggressiva, dove Vasco riprende “lateralmente” i generi che suonava nella sua adolescenza; c’è “Le Ragazze Stanno Bene”, scritta con Giorgio Canali, più classica, con voce e chitarra acustica a giostrare il marasma, ma anche “Ti Vendi Bene”, che è in pratica un pezzo sfigato dei CCCP (ma non per colpa di Vasco, sono i CCCP che sono inarrivabili).

Insomma, Costellazioni è un pastiche, è caos, è confusionario e sfilacciato, però è anche un disco coraggioso, perché darà nuovo materiale critico ai detrattori, scontentando al contempo quella fetta di seguaci affezionata allo stile sempre identico che Le Luci della Centrale Elettrica aveva reso quasi materiale di barzellette o di generatori automatici di canzoni di Vasco Brondi. In questo io ci vedo coraggio, perché Vasco ha saputo inseguire alcune ispirazioni che lo tentavano, lasciando i lidi comodi e sicuri della sua solita solfa, sperimentando, incastrandosi, cucendo, scucendo e ricucendo i brani. In alcuni casi questo coraggio ha pagato (il primo singolo, “I Destini Generali”, è luminoso e leggero, cosa che non gli era mai riuscita bene in passato, e rappresenta bene il filone di speranza, di “musica sotto le bombe” che attraverso il disco come una lama di luce nel buio; in “Un Bar Sulla Via Lattea” e in “La Terra, l’Emilia, la Luna” è riuscito a rendere bene l’idea di musica rurale e spaziale” tra la provincia, a cui tiene tantissimo, lui emiliano di Ferrara, e le stelle), in altri casi rischia molto di più di spiazzare l’ascoltatore (“Padre Nostro dei Satelliti”, “40 Km”, “Macbeth Nella Nebbia”, per alcuni versi “Uno Scontro Tranquillo”) e di sembrare perso, smarrito nel disorientamento causato da un overload di informazioni, idee, spunti. Il disco, insomma, è un mezzo fallimento, ma al contempo una mezza vittoria: porta Le Luci della Centrale Elettrica fuori dal pantano, verso le stelle. È vero, lo fa spesso con ingenuità e con poca chiarezza del percorso da fare, ma mi sento di dire che ascoltando Vasco parlare durante la presentazione del disco ho percepito che questo, lui, lo sa. Sa che il disco è il risultato di tentativi, di prove, di colpi di reni disperati e molto, molto necessari. E sa (e lo ammette) che il futuro sarà scegliere, tra le numerose vie che questo album-crocicchio ha aperto, quella che saprà convincerlo di più, e prenderla e percorrerla fino in fondo.

Per finire, due considerazioni: la prima è che non scherzavo quando dicevo che il disco è un mezzo fallimento, ma anche una mezza vittoria. Sono I dischi, ricordate? Quindi il mio consiglio per l’ascolto è di approcciare Costellazioni col cuore aperto, e di saper riconoscere quali canzoni riescono a parlarvi, e quali no. C’è per forza qualcosa per voi, lì dentro. Io, per esempio, sono stranamente stregato da “Blues del Delta del Po”, da “Uno Scontro Tranquillo”, da “Le Ragazze Stanno Bene”… insomma, io mi sono creato una sorta di Costellazioni privato, che mi parla in prima persona, lasciando fuori ciò che non mi arriva. In questo senso, l’avere perso focus in favore della varietà e della sperimentazione anche “strana” è stata una mossa vincente. Pezzi così, nel bene e nel male, difficilmente li incontrerete altrove. La seconda considerazione è su Vasco Brondi. In questo disco è chiaro come non mai che definirlo cantautore, se non un errore, è quantomeno un understatement. Vasco fa Punk, fa Rock, ha nelle orecchie gli anni 80, l’elettronica, i sintetizzatori, le distorsioni. Le Luci della Centrale Elettrica può diventare, ancora di più, un progetto trasversale, aperto, capace di tutto. Questo disco è un azzardo, è, se vogliamo, uno sbaglio, ma è dagli sbagli che nascono le emozioni vere. E quindi ascolto questo delirio di disco immaginandomelo con la metà delle canzoni e con una concentrazione più affinata, e so (e spero) di stare ascoltando il prossimo disco, Le Luci della Centrale Elettrica di domani, ed è un bel sperare.

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Le Fate Sono Morte

Written by Interviste

Ciao ragazzi, cominciamo dal principio: chi sono le Fate? E come sono morte?

ANDREA: ciao, Le Fate Sono Morte sono cinque ragazzi che vivono tra Milano e Varese e hanno deciso di fare musica e di creare un progetto personale che potesse esprimere al meglio i propri sentimenti e pensieri. Andrea (voce e chitarra), Giuseppe (batteria), Daniele (violino), Riccardo (basso), Federico (chitarra). Le fate, in fondo, non sono mai morte per noi; il nome sta a rappresentare la fine delle illusioni giovanili, ma allo stesso tempo l’inizio di una crescita interiore. La band si è formata nel 2008 con svariati cambi di formazione che ha portato sino a quella attuale. In realtà per noi la parola morte nel nome non deve esser presa come negativa ma un pensiero positivo che ti possa far pensare che la fine non sia una vera fine ma un nuovo inizio.

Il vostro ultimo album s’intitola La Nostra Piccola Rivoluzione. Di quale piccola rivoluzione stiamo parlando? Che cosa è realmente cambiato dopo l’uscita di questo disco?

PEP: il titolo del nostro album ha un duplice significato. Il primo inteso come rivoluzione nel senso di riuscire a registrare un disco in modo indipendente, senza l’appoggio di nessuno se non delle persone che da anni ci seguono, ci supportano e ci vogliono bene. Il secondo ha un significato più profondo. Quest’album tratta di rivoluzioni personali che, seppur piccole, possono cambiare le nostre vite. Ognuno di noi ha dei sogni e il fare di tutto per realizzarli può portare a una svolta epocale nelle nostre piccole esistenze. Dopo l’uscita del disco è cambiato l’interesse della gente nei nostri confronti, che di giorno in giorno capisce il nostro messaggio e ci supporta e di questo siamo loro sempre più grati. Speriamo di vederli sempre più numerosi ai live.

Leggo sul vostro sito che attingete il vostro suono dal Cantautorato, dal Rock nostrano, dal Post Grunge e dal Pop. Ci fate qualche nome in particolare? Chi sono i vostri riferimenti?

ANDREA: noi veniamo da svariate influenze essendo persone molto diverse una dall’altra e avendo anche età molto varie (18,23,24,32,35). I riferimenti a cui m’ispiro o da cui vengo influenzato posso dire siano band come: Le Luci della Centrale Elettrica, Giuliodorme, Marlene Kuntz, Afterhours, Giorgio Canali, Nadar Solo tra le band della scena underground ma non disdegno neanche i vecchi cantautori che hanno fatto la storia del nostro Paese o quelli contemporanei.

PEP: io amo tutti i gruppi sopra citati da Andrea ma al contempo sono un grande appassionato di elettronica/strumentale (Aucan o Tyng Tiffany per citare qualche band italiana, Crystal Castles, 65days of Static, ecc). Diciamo che dall’incontro di tanti generi differenti è nato questo disco.

Leggo inoltre che traete ispirazione anche dai libri letti. La cosa è molto interessante. Anche in questo caso, di che libri stiamo parlando? In che modo entrano a far parte della vostra musica?

ANDREA: esatto. Penso sia normale che ogni cosa ci possa influenzare, noi diamo molta importanza ai testi e alle parole; questo ci porta anche a leggere spesso libri e a vedere film, mostre ecc, Un po’ tutto aiuta, il cervello è una gran bella macchina che assorbe tutto, lo rielabora e crea uno stile personale. Penso sia così per tutti. Nello specifico, ho inserito il nome di Alda Merini a cui ho dedicato la prima canzone “A Parte il Freddo” in quanto per un periodo le sue composizioni sono state una specie di colonna sonora della mia vita. In un altro brano “In Ogni Mio Sorriso” mi riferivo alla poesia di Giovanni Pascoli “10 Agosto”.

Nel corso del tempo avete cambiato più volte la vostra formazione. Questo ha portato anche a un cambiamento del vostro sound? Se sì, in che modo?

ANDREA: durante gli anni le priorità delle persone e le vite chiaramente cambiano e così, a volte a malincuore, a volte per scelte differenti, abbiamo cambiato elementi della band. Il sound è cambiato perché siamo cresciuti, gli elementi che sono arrivati dopo hanno solo arricchito e reso possibile quello che era il sound a cui volevamo arrivare quando siamo partiti. In futuro cambieremo ancora ed è giusto sia così perché l’esperienza e la vita aiutano anche a migliorarsi o a seguire diverse idee.

La bonus track del vostro ultimo disco s’intitola: “La Storia Non Siamo Noi”. Si tratta per caso di una dichiarazione di guerra a De Gregori?

ANDREA: Ahahah, no direi di no. De Gregori è uno di quei cantautori a cui mi riferivo nella terza risposta. Più che altro è una presa di coscienza del fatto che in questo periodo siamo troppo presi da noi per riuscire a fare qualcosa, ognuno ha la sua storia che va troppo veloce e si fa fatica a pensare ad altro, siamo diventati tutti molto più egoisti negli ultimi anni, delusi, disillusi, si salvi chi può insomma. Il titolo dell’album poi riprende anche questo messaggio. Se ognuno di noi facesse qualcosa di buono nel proprio piccolo per questa società, sarebbe un altro mondo. Spero non sia solo utopia.

PEP: come dice Andrea il messaggio di questo disco è racchiuso soprattutto nei due pezzi finali “La Storia Non Siamo Noi” e “Niente”, al quale sono particolarmente legato. Dire “La Storia Non Siamo Noi”, non significa “non possiamo fare nulla per migliorare il futuro”, ma anzi “la storia non sta nell’individualità e nell’egoismo dei NOI intesi come singoli, ma nella collaborazione, bellissima parola ormai in disuso”.

Dalla vostra musica, dai vostri testi, dai vostri video, emerge un pessimismo denso, una nebbia fitta nella quale è avvolta tutta una generazione, quella che voi e qualcuno prima di voi ha collocato negli “anni zero”. Oltre a constatare questa dura realtà, c’è un modo in cui pensate di combatterla?

ANDREA: più che pessimismo cerco di esser realista. Con gli anni e crescendo sono diventato molto più positivo e credo in un possibile miglioramento di questa situazione, ma su larga scala non saprei in che modo poter migliorare questo mondo, quindi mi limito a cercar di fare il mio ed esser sempre il meglio di quello che posso essere. Cerchiamo di trasmettere, per noi è fondamentale arrivare alle persone e riuscire a far provare qualcosa.

PEP: diciamo che ci limitiamo a descrivere una situazione, quella nella quale noi e tanti altri giovani vivono oggi. Non è un pessimismo fine a se stesso, come detto prima. C’è sempre un soffio di speranza in ogni canzone, una luce alla fine di questa fitta nebbia.

Il vostro logo rappresenta una fata trafitta da una penna che, immagino, le tolga la vita. Il messaggio che ne traggo è che date molta importanza alle parole; per voi possono avere anche un significato mortale. Qual è il messaggio che invece volete trasmettere?

PEP: come dici tu, per noi le parole hanno una potenza incredibile. Sono più forti di un pugno, più violente di qualsiasi gesto, quindi possono fare male. Ma questa potenza può essere usata anche per aprire gli occhi alle persone. Trafiggere la fata vuol dire uccidere le illusioni giovanili. Ma penso che anche dalla disillusione non debba automaticamente nascere un pensiero pessimista (anche se può sembrare quello più scontato). Questo però è un discorso ampissimo, se volete andiamo a prenderci una birra e ne parliamo per ore!

Siamo giunti alla fine. Per concludere, quale domanda importante non vi ho fatto, alla quale avreste voluto rispondere?

PEP: “Siete davvero convinti che non diventerete niente?” Forse, ma noi ce la stiamo mettendo tutta per diventare grandi e forti insieme, alla faccia di chi continua a lanciarci fango addosso.

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La Linea del Pane – Utopia di un’Autopsia

Written by Recensioni

Stranissimo, nel nostro panorama musicale, trovare una band con una profonda matrice cantautorale e un certo distacco dalla canzone di protesta. La Linea Del Pane non ha niente a che vedere con i Ministri, Il Teatro degli Orrori, Il Management del Dolore Post Operatorio. Niente. Né le sonorità, né i testi, né la costruzione delle linee melodiche o delle liriche. A ispirare la band sembrano piuttosto riferimenti del passato: De Gregori, De André (quello delle ballate d’amore più che quello delle canzoni politiche), ma anche il più recente Giorgio Canali, per quanto riguarda i testi, Marlene Kuntz, Negrita, e, stranissimo, persino i Dire Straits, per le sonorità.

Il disco, Utopia di un’Autopsia, si apre con il brano “Apologia della Fine”, in cui si sente anche qualcosa dei romani Eva Mon Amour, tanto nel modo di cantare, quanto nella versificazione. “Urlo di Ismaele” apre con sonorità acustiche che le danno un taglio più pop e leggero, subito controbilanciato dalla grandissima elaborazione del testo, pieno di figure retoriche e costruito su un lessico complesso. Dissonanze alla Marlene Kuntz caratterizzano “Tempo da Non Perdere”: il testo è artificioso, con l’andamento di una ballata, in cui spostamenti di accenti tonici rispetto a quelli ritmici dell’accompagnamento, tradiscono una probabile composizione letteraria antecedente all’arrangiamento strumentale. “Favola non Violenta (Indovinello 1)” è una ballad d’amore (almeno in apparenza, perché è facile, nel corso del brano, trovare spunti riflessivi per altre tematiche), tutta imperniata su un arpeggio un po’ Indie e un po’ pulp; in “Specchio” è impossibile non cogliere un riferimento letterario a Dorian Grey, musicato tra sonorità Alternative anni 90 forse un po’ sentite, ma impreziosite da una certa commistione con timbri Prog. Questi ragazzi sono colti, probabilmente anche un po’ hipster per il compiacimento con cui trasudano la loro conoscenza. Non c’è nulla di male. Anzi. Solo una volta giunti ad “Ambrosia”, se ne ha un po’ le scatole piene di tutto questo artificio retorico, nonostante il crescendo musicale sia veramente efficace e riesca a far ancora sentire il brano con un certo interesse. Certo è che da qui la mia concentrazione è calata. Non è questione di volere a tutti i costi leggerezza o immediatezza. Sarebbe davvero molto superficiale da parte mia e di qualsiasi eventuale ascoltatore. La questione è che sembra che a La Linea del Pane manchi la capacità di accalappiare l’attenzione per poi servire il loro messaggio nella bella confezione articolata, complessa e aulica che gli hanno riservato. Ed è un peccato. L’album prosegue, comunque, con “Occhi di Vetro” e “Gli Alberi d Sophie” in cui si nota quanto il cantato sia impeccabile, ma piuttosto monocorde: lo è stato per tutto il disco, ma qui inizia a pesare anche questo aspetto. Personalmente ho trovato bellissima la successiva “Favola Non Violenta (Indovinello 2)”, con un arrangiamento alla Band of Horses davvero curioso e coraggioso, dato il testo in italiano. Della penultima traccia, “Nekropolis”, voglio sottolineare l’impiego degli archi: difficilissimo nel Pop-Rock inserire nel tessuto strumentale violini e loro parenti senza cadere nella melensa banalità del già sentito, ma La Linea del Pane li sfrutta con grande maestria, tra colpi d’arco e dissonanze dai valori larghi. Ben fatto. Utopia di un’Autopsia chiude con “Solstizio d’Inverno”, malinconica, riflessiva, nostalgica, avvolta attorno alla voce narrante. Non poteva essere diverso, in fondo.

Nel complesso è un disco davvero ben costruito, che risente della staticità di un certo atteggiamento meditabondo e monocorde, aggravato dalla vocalità del frontman, pulitissima e tecnicamente perfetta, ma incapace di slanci melodici e agogici, che puntellino e colorino i brani. L’artificio retorico che sottende la stesura dei testi, poi, è davvero eccessivo in molti casi. La canzone finisce per essere quasi un esperimento linguistico o un arzigogolato scioglilingua tra allitterazioni e rime. Preso singolarmente ogni brano sarebbe una buona speranza per la musica nostrana, l’intero disco non mi fa dire lo stesso.

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Virginiana Miller

Written by Interviste

Lo scorso 17 settembre è uscito per Ala Bianca/Warner il sesto album in studio dei livornesi Virginiana Miller, Venga il Regno. La band ha un curriculum di tutto rispetto: dal 1990 ad oggi hanno ricevuto premi e riconoscimenti, lavorato con personaggi illustri del panorama musicale nostrano come Vittorio Nocenzi del Banco del Mutuo Soccorso, Giorgio Canali, Francesco Bianconi e Rachele Bastreghi dei Baustelle, sperimentato nuove collaborazioni come nel caso della sonorizzazione dei reading letterari dello scrittore Giampaolo Simi e, in ultimo, hanno curato la realizzazione del brano “Tutti i Santi Giorni” per l’omonimo film di Paolo Virzì, che è valso alla band il David di Donatello per la Migliore Canzone Originale. I Virginiana Miller sono al momento impegnati, per la presentazione del disco, nel tour che questa sera farà tappa a Milano, al Biko, con i bresciani Claudia is on the Sofa. Ho avuto piacere di parlare con Daniele Catalucci, bassista dei Virginiana Miller, per scoprire un po’ meglio cosa sia Venga il Regno e in quale direzione stiano andando.

Partiamo subito con una domanda un po’ stronza. In più di vent’anni di carriera avrete avuto modo di conoscere e incontrare parecchi gruppi nostrani. Qual è la band che avrebbe meritato più attenzione da parte del pubblico e della critica, ma non è riuscita ad emergere e quale quella che ha invece avuto un successo secondo voi immeritato?
Abbiamo sicuramente parlato un milione di volte tra noi di band che avrebbero potuto raggiungere risultati più alti ma per un motivo o per l’altro non ci sono riuscite.. Fammi pensare.. Credo che fra tutti i Northpole siano quelli che avrebbero meritato un po’ di più e credo che gli altri della band sarebbero d’accordo con me. Per quanto riguarda una formazione sopravvalutata, do un parere personale: mi sono sempre domandato come mai gli Afterhours sono diventati un caso così eclatante. C’è sicuramente qualcosa di interessante in loro, ma, lo dico con tutta la bontà possibile, mi chiedo se avrebbero avuto lo stesso successo se fossero arrivati da un’altra realtà, anche geografica, o se invece non sarebbe stato molto diverso.

Veniamo al disco. Venga il Regno è una profetica annunciazione o una rassegnazione a uno stato di cose? E questo regno com’è?
Questo è un terreno in cui Simone (Lenzi, frontman e autore dei testi della band, ndr) saprebbe rispondere meglio. Posso dirti a cosa corrisponde secondo me questo regno sul piano musicale, perché abbiamo avuto molto tempo dall’album precedente per occuparci di questo, anche perché Simone era impegnato in altro. Quando ci siamo rincontrati siamo andati dritti al punto, facendo emergere tutta la conoscenza che abbiamo tra noi da anni ed evitando tutte le fasi centrali che di solito ci caratterizzavano. Sai: quelle in cui tendono ad emergere le personalità individuali e che portano anche a scontri e scambi di opinioni. Per Venga il Regno, invece, in venti giorni i brani erano pronti, passati da embrione a canzoni fatte e finite, con una struttura musicale, gli arrangiamenti e il testo. Simone parla di regno intendendo una Apocalisse che è già in atto, un cambiamento, una rinascita. Contestualizzato in ciò che stiamo vivendo tra noi, mi è sembrato calzante: da una fase di stallo a questa nuova creazione.

Com’è stato lavorare con Ale Bavo e Ivan Rossi per la realizzazione di Venga il Regno?
Il loro apporto è il 60% del disco. Ci tengo davvero a sottolineare l’importanza dei loro ruoli, perché sono stati eccezionali. Sono due che hanno capito esattamente dove volevamo andare noi e ci hanno aiutato a tirarlo fuori e, pur essendo oltretutto anche molto diversi tra loro, perché per certe cose sono uno l’opposto dell’altro, hanno messo nel disco cose che continuano a piacermi nonostante lo ascolti praticamente sempre da sei mesi.

Repubblica ha definito Venga il Regno il disco più militante della vostra carriera. La definizione vi piace? E se sì, quali sono i principi della vostra militanza?
È vero. Perché senza rendercene conto e senza aver stabilito delle guide, tra i testi e la musica l’ambientazione politica è più netta rispetto ad altri album e altri brani. Anche l’arrangiamento è più efficace, più giovanile forse, e questo aspetto gli ha dato una certa ruvidità, che ha aiutato ad affrontare tematiche anni 70 in una chiave musicale che anni 70 non è.

La collaborazione con Paolo Virzì ha portato grandi risultati. Qual è il vostro rapporto con il cinema? Cioè: quanta narrazione cinematografica c’è nella costruzione dei pezzi?
La figura di Paolo è stata uno stimolo perché è una celebrità con cui alla fine siamo stati sempre in contatto ed esserci ritrovati a collaborare e soprattutto a soddisfare una sua richiesta è stata una bella soddisfazione. Ha avuto una grande importanza non tanto sul piano musicale puro, quanto perché è stata l’occasione per concentrarci su un aspetto compositivo che abbiamo innato ma che non sempre sfruttiamo consapevolmente. Noi lavoriamo tanto sui timbri e sulle sonorità e ci capita spesso, senza ancora avere un testo, di sentire un nostro brano e dire “Questo è molto cinematografico”. Ci è sembrato quindi di essere calzanti per il compito. E credo anche che l’esperienza abbia cambiato qualcosa anche nel modo di scrivere di Simone, che è sempre stato una bella penna, tanto che lo chiamiamo “Il pavone”, ma che si è semplificato senza rendersi banale: questo l’ha resto più arrivabile anche da parte di un pubblico più ampio. Va subito dritto al punto, non come in brani dei dischi vecchi che a volte mi ricapita di ascoltare e penso “Ammazza quanto è ostico”, tanto nel testo quanto nella musica. Ormai, senza falsa modestia, credo abbiamo raggiunto una certa maturazione.

Spotify, Musicraiser, i Social Network.. Qual è il vostro rapporto con i nuovi media per la promozione?
Non sono un esperto, ma ho capito come funziona Musicraiser e ho visto esempi pratici di persone che lo sfruttano per avere una visibilità che non hanno e di persone che lo impiegano per avere una visibilità che avevano un tempo ma che non hanno più. Questi ultimi mi fanno abbastanza tenerezza, perché se, per esempio, sei stato famoso ma devi organizzare una raccolta fondi per partire con un tour, forse avresti prima dovuto chiederti se quel tour interessa davvero. Altrimenti è come scrivere una letterina a Babbo Natale con la lista dei regali. Per gli artisti emergenti, invece, credo sia una buona cosa, una possibilità in più. I Social Network sono un passatempo e un bel mezzo di pubblicità. Se penso a com’era la situazione quindici anni fa, quando la band aveva a disposizione il suo solo sito internet e raggiungeva solo un pubblico limitato, oggi c’è molto più contatto diretto con le persone. Chi è in grado di utilizzare questi mezzi ne ha senza dubbio un bel rientro in termini di visibilità. Alla fine è un’abilità anche questa.

Stasera suonerete a Milano. Dopo tanti anni di carriera com’è il rapporto coi vostri fan? Cosa si aspettano da voi e voi da loro? Qualcosa è cambiato?
Nel live siamo cambiati sicuramente più noi che il pubblico. Nel 2000, quando sono entrato nella band, avevamo un atteggiamento che definirei più spirituale, silenzioso e concentrato e, forse, sul piano sonoro sentivo un po’ meno energia. Ma con il tour promozionale di Fuochi Fatui d’Artificio le cose sono cambiate. Nel disco usavamo una drum machine, quindi ci siamo sforzati nel live di creare quell’energia che nel disco c’era ed era contenuta nell’artificio. Negli ultimi dieci anni direi che siamo diventati più energici. Forse il pubblico si aspettava questa cosa da sempre al di là del fatto che venga a vedere un nostro concerto perché è già un fan e già ci conosce.

Per la presentazione del disco sono previsti anche set acustici. Si tratta di una necessità dettata dalla mancanza di location adatte all’elettrico o anche di una scelta stilistica?
Un po’ entrambe le cose. Vai in posti dove non è possibile suonare tutti insieme o in elettrico. Non sarebbe neanche bello. La dimensione della band tutta insieme è il palco. Nelle presentazioni in libreria, per esempio, ti adatti, e diventa un modo per sperimentare anche altro, presentare i brani nudi e lasciare anche la curiosità di venire a sentire un nostro concerto per scoprire come sono realmente.

Rockambula sta preparando la tradizionale classifica di fine anno. Ci saluteresti con la tua personale classifica?
Sarò sincero, durante quest’anno ho passato sei mesi in studio e mi sono davvero concentrato poco sulle nuove uscite, anche internazionali. Randon Access Memory dei Daft Punk, però mi ha colpito e sicuramente e ampiamente “Get Lucky” è miglior singolo dell’anno. Mi ha anche molto colpito Black City di Matthew Dear, un disco tutto fatto di sola voce elettronica e basso. L’ho scoperto quest’anno ma è più vecchio. Molto particolare, comunque, una bella novità per me.

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Ex CSI

Written by Live Report

Sabato 5 Ottobre a Mosciano Sant’Angelo (Te) sembrava di essere tornati indietro nel tempo. In fondo la musica era la stessa, gli elementi quasi (mancavano Giovanni Lindo Ferretti e Ginevra di Marco) e tutto il resto era uguale. Chi aveva seguito i C. S. I. negli anni  novanta sapeva che aveva di fronte a sé un gruppo destinato a lasciare il segno, a rivoluzionare l’esito della musica italiana tanto da arrivare ad essere forse il primo gruppo Indie a conquistare il primo posto in classifica. Un risultato dovuto all’epoca anche al breve tour di supporto a Jovanotti che per primo aveva osato credere in loro ma che era certamente giustificato dall’alta qualità musicale. Tornando invece alla serata in questione l’affluenza è stata numerosa ma del resto c’era da aspettarselo essendo questo tour (denominato  Ciò che non deve accadere, accade – Nessuna garanzia per nessuno) forse il più atteso dell’anno a livello di musica italiana.

CSI

Il Pin Up come sempre si è dimostrato un locale all’altezza, in grado di ospitare anche eventi di grande calibro come questo ed ha fatto anche piacere ascoltare prima del concerto selezioni musicali a cura di Pino Morelli ed Emilio Fasciani che hanno inserito nella loro scaletta anche brani di artisti quali Siouxie and the Banshees, Cocteau Twins ed Afterhours.

CSI

Gli anni sono passati ma Gianni Maroccolo, Giorgio Canali, Massimo Zamboni e Francesco Magnelli erano lì con un sound più compatto che mai, granitico, grezzo e selvaggio. Un piccolo tentativo di ritrovarsi sul palco era già avvenuto in occasione della colonna sonora del film Il Fantasma dell’Opera quando tre quarti  di loro si esibirono con Frida Neri alla voce (forse proprio da qui è scaturito il tutto).

Baraldi CSI

Tuttavia il merito della bellezza dello spettacolo spetta in parte anche ad Angela Baraldi che non ha fatto rimpiangere l’assenza di Ferretti con una presenza scenica impeccabile e una voce accattivante e a Simone Filippi che alla batteria scandiva il tempo con una precisione incredibile.

CSI

Stranamente il pubblico è rimasto quasi sempre composto (pochi i tentativi di pogare) quasi fosse rapito ed incantato da una magia musicale che pochi sanno trasmettere sia in Italia sia all’estero.Tanti i tuffi nel passato quindi soprattutto quando hanno ripreso anche un discorso, quello dei CCCP, che fece da prologo all’avventura Csi. “Annarella” e “Emilia Paranoica” emozionavano come al primo ascolto anche se tutti le cantavano a squarciagola fra stupore e meraviglia. Dal repertorio dei Csi sicuramente i momenti più intriganti sono stati quelli all’apertura del concerto con “A Tratti” e quasi in chiusura con “Buon Anno Ragazzi” ma molti sono letteralmente impalliditi durante l’esecuzione di “In Viaggio” e “Cupe Vampe”.

Zamboni CSI

Una ventina di pezzi circa in tutto in scaletta che avranno certamente soddisfatto tutti i presenti senza lasciare l’amaro in bocca a nessuno. E ora si attende che ai quattro giganti si aggiungano anche Ginevra Di Marco e Giovanni Lindo Ferretti in una reunion totaledel gruppo che appare per ora alquanto improbabile (se non impossibile), ma se ci sono riusciti i Sex Pistols… E poi del resto si sa, ciò che non deve accadere accade. Intanto speriamo in una testimonianza su cd o dvd / bluray del tour (sarebbe davvero importante lasciare qualcosa ai fans che per quindici anni avevano atteso di rivederli tutti insieme sul palco).

Ecco la scaletta originale e firmata del concerto con la bestemmia scritta da Canali al posto della sua firma!

scaletta non ripulita

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Dimartino + Stazioni Lunari + The Electric Flashbacks

Written by Live Report

Note Sulle Ali di Farfalla @Teramo (Villa Comunale) 07/09/2013

La mente era lì che viaggiava verso il paradiso, pensando a Federica Moscardelli e Serena Scipione (due studentesse tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila nel 2009), per molti degli accorsi a questa manifestazione che, giunta alla sua quinta edizione, ha saputo fidelizzare il suo pubblico e creare anche un po’ di turismo culturale in una regione come l’Abruzzo. Per loro, e anche gli altri presenti, l’evento aveva quindi un sapore diverso rispetto al classico concerto Rock o al solito festival Indie.

Sembrava quasi, per citare parole alla Battiato “un rapimento mistico e sensuale” quello che sono riusciti a creare gli artisti che vi hanno partecipato. La sera del 7 settembre finalmente lo spettacolo “Stazioni Lunari” ideato da Francesco Magnelli (membro fondatore di BeauGeste, C.S.I. e PGR ed in passato collaboratore dei Litfiba) è approdato in terra abruzzese in occasione della quinta edizione di “Note Sulle Ali di Farfalla – Notte per Federica e Serena”, manifestazione di solidarietà che ha ospitato precedentemente artisti quali Afterhours, Marlene Kuntz, Bandabardò, Brunori Sas, Calibro 35, Offlaga Disco Pax, Bugo, I Cani e Pan Del Diavolo e che si svolge ogni anno a Teramo in ricordo delle due studentesse Federica Moscardelli e Serena Scipione, tragicamente decedute nel terremoto dell’Aquila.

scaletta dimartino

scaletta Dimartino

La cornice dell’evento è stata la Villa Comunale nel quale erano presenti anche stand alimentari, una mostra fotografica curata da Dante Marcos Spurio, un mercatino musicale, un’esposizione artistica di Massimo Zazzara, una di moda a cura di Joele, giovane stilista teramano, con i suoi figurini ideati appositamente per l’occasione e persino una di Alessandro Paolone con le sue creazioni astratte su cotone egiziano. La serata è stata aperta da Dimartino, gruppo musicale indie pop italiano originario di Palermo che prende il nome direttamente dal suo leader, il cantante e bassista Antonio Di Martino.

Qualcuno dei presenti probabilmente lo aveva già visto anche in occasione del Soundlabs Festival a Castelbasso (Te) essendo il target del pubblico lo stesso ma riascoltarlo dal vivo seppure per un breve set di dieci canzoni è stata un’emozione non da poco. La sua scaletta infatti includeva tutte le canzoni più conosciute del gruppo, da “Venga il Tuo Regno” a “Non Siamo gli Alberi” passando per “Poster di Famiglia” e “Maledetto Autunno”.

Dopo circa trentacinque minuti di spettacolo è stata poi la volta dell’attesissimo progetto Stazioni Lunari che in passato ha ospitato artisti del calibro di Bugo, Teresa De Sio, Piero Pelù (Litfiba) e  Daniele Sepe (per citarne solo alcuni) e che per l’occasione ha riunito oltre ai soliti Francesco Magnelli e Ginevra Di Marco, Cisco (ex Modena City Ramblers), Cristina Donà e Cristiano Godano (voce, chitarra e anima dei Marlene Kuntz). Il format è lo stesso di sempre, Ginevra di Marco a fare gli onori di casa, padrona in movimento da una stazione all’altra che determina successioni, movimenti e favorisce commistioni fra i diversi mondi musicali degli ospiti che sono disposte su tre pedane disposte su un palco con una scenografia tanto minimalista ed essenziale quanto attraente.

scaletta stazioni lunari

scaletta stazioni lunari

Lo spettacolo è aperto da “Del Mondo”, proveniente dal repertorio dei C.S.I. che recentemente hanno deciso di riunirsi senza il loro cantante Giovanni Lindo Ferretti per un breve tour che porterà Gianni Maroccolo, Francesco Magnelli, Giorgio Canali e Massimo Zamboni in giro per l’Italia fino a dicembre accompagnati alla voce dalla carismatica Angela Baraldi.

Tornando invece alla serata del 7 dicembre c’è da dire che massiccia è stata la partecipazione del pubblico che si rivelerà sempre educato e composto (nessun tentativo di pogo, neanche durante i pezzi più animati). La scaletta in questo caso ha incluso invece pezzi provenienti dal repertorio dei singoli artisti (ad esempio “Lieve” e “Trasudamerica” dei Marlene Kuntz) e persino un sentito omaggio al genio musicale di Lucio Dalla (“Com’è Profondo il Mare”) e brani tradizionali della nostra penisola.

Gradita ed inaspettata sorpresa è stata la ricomparsa sul palco verso la fine del concerto di Antonio Di Martino che ha voluto lasciare così un suo ulteriore contributo alla serata che si è conclusa con l’esibizione al laghetto della Villa Comunale del nuovo progetto di  Tito, leader dei Tito & the Brainsuckers, The Electric Flashbacks e con un dj set a cura di VxVittoria C. & Marco Mattioli (COSEPOP). “Note su ali di farfalla – Notte per Federica e Serena” quest’anno ha supportato il centro antiviolenza “ La Fenice”, di cui è intervenuta anche una rappresentante che ha spiegato le attività che svolge durante una breve intervista.

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CIO’ CHE NON DEVE ACCADERE, ACCADE! “ Nessuna garanzia per Nessuno”. Il ritorno dei CSI

Written by Senza categoria

GIORGIO CANALI – FRANCESCO MAGNELLI – GIANNI MAROCCOLO – MASSIMO ZAMBONI 

CIO’ CHE NON DEVE ACCADERE, ACCADE

              “ Nessuna garanzia per Nessuno”

con : Angela Baraldi (Voce) Simone Filippi (Batteria)

Dopo 15 anni i Canali-Magnelli-Maroccolo e Zamboni ritornano assieme per riproporre il repertorio CSI.

Il piacere di ritrovarsi sullo stesso palco a riproporre brani entrati ormai nella memoria collettiva, canzoni straordinariamente attuali. Una occasione unica per riascoltare il “suono CSI”, unico e mai ritrovato in nessun altro progetto musicale, e a cui il pubblico ha dimostrato sempre grande attenzione e partecipazione. Ai pochi concerti in programma non è previsto nessun seguito su cd o dvd.

Come sottolinea Massimo Zamboni :

Ritrovarsi sullo stesso palco, dopo una quindicina d’anni. Un concerto, poche date uniche, assieme. Ci sono ottime motivazioni forti, per farlo. Scriveranno alcuni: “Ex-CSI”. “Reunion”, scriveranno altri. Pazienza. Occorrerebbe maggior fantasia nel valutare, ma va bene così. Sembra impossibile ritrovarsi, nell’Italia di oggi, dove tutto induce a perdersi, a rinchiudersi in storie private – che possono anche essere languorose e di soddisfazione – ma sempre più soltanto personali. E sempre più difficile è pronunciare una parola facile: “Noi”. Noi, ci siamo. Senza nostalgie di futuro, senza progetto costituito, senza smanie, ci siamo perchè è bello esserci, e giusto. Abbiamo assistito a un degrado esasperante del nostro Paese, in questi quindici anni; ognuno di noi a suo modo ha dato una forma pubblica, condivisa, al malessere che governa tutti. Ciò che non doveva accadere, accade quotidianamente, in forma progressiva e asfissiante. “Nessuna garanzia per nessuno”, dicevamo in una nostra canzone, Buon anno ragazzi, ricordate? Quello che sembrava impensabile, ansia d’artisti, oggi è pratica giornaliera. Fragorose, pesanti, monolitiche, apocalittiche, le nostre canzoni segnalano ancora le paure e le premonizioni del nostro declino. Spegnere il video, uscire di casa, muoversi, vivere, sognare, ritrovarsi, guardarsi, esserci, noi, voi, è ancora una volta l’antidoto migliore.

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Sakee Sed – Ceci N’Est Pas un Ep

Written by Recensioni

I Sakee Sed sono un duo bergamasco formatosi nel 2010. Il cantante e chitarrista Marco Ghezzi e il batterista Gianluca Perucchini determinano il centro di una formazione che a seconda dei concerti si allarga con Marco Carrara alle tastiere, synth e cori, Jonathan Locatelli al basso e Guido Leidi alla chitarra. Il loro viaggio, come stavamo dicendo, inizia nel 2010 e dopo i primi LP Alle Basi della Roncola, Bacco EP e A Piedi Nubi lo scenario cambia e si allarga verso l’apertura dei concerti dei Verdena, Bud Spencer Blues Explosion, Zen Circus, Giorgio Canali e la creazione della loro etichetta discografica Appropolipo Records.

Anche il 2013 comunque si arricchisce con l’uscita di Ceci N’Est Pas un Ep, lavoro formato da una copertina molto vintage e sei brani. Primo tra tutti “Boccaleone”, orecchiabile, incalzante, che apre l’immaginario sonoro a una vocalità piena di effetti e che mira, attraverso il video ufficiale, a sottolineare il loro essere sempre in tour e le loro influenze visive, come la leggendaria passeggiata dei Beatles sulle strisce pedonali, riproposta da tutti e in mille salse diverse. Si prosegue con “Il Mio Altereggae” che centra l’intenzione di riproporre il genere Reggae qui in versione molto Blues, con un marcatissimo levare e synth sempre presenti che arricchiscono il tutto.E si cambia scenario con “Metal Zoo” molto anni settanta dai toni forti e dalle chitarre aggressive, e con “Olderifa Express” dall’inizio destabilizzante che poi si concretizza in una delicata ballata Rock, nella quale però la voce appare poco chiara. “Jimmy è Perso Nel Delirio” invece è un breve cavalcata Rock’n’Roll/Country, al contrario dell’ultimo brano “Strappi Bianchi” che racchiude in se un po’ tutto l’Ep, dal sapore Blues e con cori sempre molto centrati.

Insomma i Sakee Sed sono un gruppo volenteroso, come direbbero le maestre di una volta, per l’indubbia voglia di fare, di studiare e riproporre in chiave più contemporanea il Rock anni settanta con delle contaminazioni stilistiche interessanti e molto centrate.Un gruppo ironico che sa prendersi in giro e sempre pronto a registrare, mixare e masterizzare i loro lavori, soprattutto Ceci N’Est Pas un Ep che verrà stampato anche in vinile e in edizione limitata.

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Il video della settimana: Æmæt – “The Iconoclast”

Written by Senza categoria

Il rock degli Æmæt esplode prepotentemente da emozioni intestine e subconscie: rabbia, risentimento, oppressione emergono improvvise in un graffio sul volto, in uno sguardo avido e rabbuiato. Dalle tristi vicende della realtà nasce l’indagine della band intorno al sentimento di rivalsa e alla profonda tristezza che le condizioni attuali della società provocano non solo sulla coscienza, ma sul subconscio dell’umanità.

Questi sono i temi affrontati embrionalmente nel primo EP della band, Muse of Lust (2011) e dispiegati in tutta la loro complessità nel primo vero lavoro del gruppo, Human Quasar, pubblicato il 18 marzo 2013 con la collaborazione dell’indie label Red Cat Records.

Il 9 aprile viene pubblicato il videoclip del primo singolo, “The Iconoclast”, diretto da Paola Rotasso, con Valentina Reggio e la fotografia di Davide Manca. Questa la scelta per il Video Della Settimana che potrete visionare nell’apposita sezione della nostra homepage.

Ininterrotta l’attività live della band, in particolare nella capitale, dove ha suonato nei migliori locali tra cui Locanda Blues, Jailbreak e Stazione Birra.
La band ha avuto modo di condividere il palco con personalità musicali affermate come 24 Grana, Giorgio Canali e Iosonouncane.

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